La morte di Soleimani è un attacco all’influenza iraniana nella regione. La mezzaluna sciita non esiste. La Realpolitik di Soleimani nella mezzaluna persiana.
L’uccisione del comandate delle brigate Qods delle Guardie della Rivoluzione Islamica, Qassem Soleimani, con un raid aereo ad opera degli USA a Baghdad, durante la notte tra il 2-3 gennaio, ha aperto de facto una nuova fase degli equilibri geopolitici non solo tra Teheran e Washington ma in tutto il Medio Oriente dall’Afghanistan all’Iraq fino alle Monarchie del Golfo.
Al di là della “narrativa” createsi intorno al presidente americano, secondo la quale Washington sarebbe ostaggio di un “tiranno” che viola la costituzione permettendosi di bypassare sia il Congresso sia il Pentagono, il raid militare contro Soleimani è stato un attacco chirurgico e organizzato da tempo. Dopo l’uccisione di Abu Bakr al- Baghdadi, il Pentagono ha ricominciato a condurre operazioni manu militari contro l’Iran in territorio iracheno, venuta meno la necessità di un’alleanza contro Daesh.
L’assillo americano è quello di evitare il consolidamento della cosiddetta mezzaluna sciita, ovvero la sfera di influenza persiana, eliminando uno dei genus loci della regione, Soleimani, nella speranza di indebolire la posizione geopolitica di Teheran, ostracizzando il regime degli ayatollah per costringerlo forzatamente ad un nuovo accordo che abbia come suo casus foederis il programma missilistico persiano, il vero tormento di Israele e Arabia Saudita.
Ma in realtà si è proprio sicuri che la mezzaluna sciita esista?
Nelle ultime settimane si è sentito parlare molto di mezzaluna sciita cioè di questa grande alleanza di tutti i popoli sciiti della regione con al vertice l’Iran contro le potenze sunnite, quasi fosse strictu sensu un conflitto settario. Ma in realtà la mezzaluna sciita non esiste, o meglio, è una semplificazione della realtà per interpretare la complessità del Medio Oriente. Le alleanze dell’Iran rispondono alla logica della Realpolitik e non alle esigenze dell’appartenenza religiosa. E’ quindi l’interesse del momento che orienta le alleanze e infatti ad un’analisi più accurata si scopre che più che mezzaluna sciita si dovrebbe parlare di mezzaluna persiana proprio per l’eterogeneità degli attori che la compongono e per il fatto che è una realtà puramente geopolitica con a capo l’Iran.
Durante la guerra tra Iran-Iraq (1980-1988), gli iracheni sciiti entrarono in guerra contro Teheran mentre i curdi iracheni vennero appoggiati dall’Iran, in funzione anti-Baghdad, con l’obbiettivo di indebolire la stabilità interna del regime di Saddam Hussein, spingendo per la nascita di uno stato curdo indipendente. Nella guerra tra Armenia e Azerbaigian (1991-1994), per il controllo del Nagorno-Karabak, la Persia sciita appoggiò la cristiana Armenia contro l’Azerbaigian sciita o ancora durante la guerra in Afghanistan (2001) Teheran ha finanziato l’Alleanza del Nord, composta principalmente da Tagiki sunniti, per proteggere i propri confini dalla minaccia talebana. Quindi si constata come lo sciismo è un elemento secondario che è assoggettato alla logica di potenza.
La capacità di Soleimani è stata quella di coniugare gli interessi nazionali iraniani con l’eterogeneità del Medio Oriente, sfruttando anche gli errori americani dal 2003 in poi.
Hezbollah, pur essendo un’organizzazione sciita, di fatto accetta combattenti libanesi di qualsiasi credo, compresi tantissimi cristiani, nella convinzione, secondo il leader Nasrallah, che i libanesi siano prima libanesi e poi cristiani e mussulmani. La compattezza di Hezbollah è quindi la “longa manus” per la proiezione di Teheran nella regione sia come strumento di deterrenza nei confronti di Israele sia per il rafforzamento del regime di Damasco.
In Yemen, l’alleanza con gli Houthi non è da studiare con gli “occhiali” dell’appartenenza religiosa. Gli Houthi non sono propriamente sciiti, come spesso esplicitato nei talk show, ma sono zaiditi. Lo zaidismo è un filo della religione mussulmana sui generis che integra elementi dell’islam sunnita e dell’islam sciita. Per il regime iraniano il vero leitmotiv dell’alleanza ad hoc è l’indipendentismo delle milizie degli houthi perché mette sottopressione la stabilità degli adiacenti confini dell’Arabia Saudita e impegna Riyad attivamente nella guerra civile yemenita, distraendola dallo scacchiere del Siraq.
Anche dal punto di vista delle relazioni tra stati, Soleimani “dettava” gli accordi in base alle esigenze geopolitiche e non religiose.
L’alleanza con il regime degli Al-Asad è un’alleanza storica. Il governo di Damasco è alauita, una setta religiosa non proprio sciita né tantomeno sunnita, la cui special relationship con l’Iran deriva dal “metus hostilis” nei confronti di Israele e, dallo scoppio della guerra civile (2011), dalla volontà di impedire l’ascesa di un regime in Siria filo saudita.
Inoltre Teheran è riuscita a instaurare importanti alleanze con due potenze sunnite della regione (Turchia e Qatar), inserendosi all’interno delle diatribe del mondo mussulmano sunnita per contrastare l’Arabia Saudita.
Con la Turchia sunnita l’Iran, pur essendo una potenza sciita, coopera perché entrambi hanno la necessità di mantenere i propri limes stabili e impedire che l’indipendentismo curdo turco si unifichi a quello persiano.
Così come il Qatar che, dopo essere stato isolato dalle altre monarchie del Golfo, ha visto nell’Iran una sponda per uscire dall’isolamento.
In conclusione, le proteste in Iraq e gli scontri mostrano ancora una volta come l’appartenenza religiosa sia friabile nel determinare gli schieramenti. Nei confronti dell’Iran, il mondo sciita iracheno è fortemente spaccato e questo alimenta ancora di più l’instabilità del paese, alimentato da raid americani contro le milizie irachene filo-iraniane, gettando le basi per una nuova proxy war tra Washington e la mezzaluna iraniana.