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Il punto sulla situazione umanitaria dei rifugiati ucraini in Europa Centrale

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Successivamente all’attacco russo del 24 febbraio 2022, la situazione per la popolazione  dell’Ucraina, soprattutto nel suo versante est, è mutata in maniera radicale. In realtà, quella che potrebbe essere definita come diaspora ucraina ha inizio già nel 2014 con le rivendicazioni indipendentiste nel Donbass e in Crimea da parte della componente etnicamente russa della popolazione. La migrazione vede come principali destinazioni paesi post-sovietici e membri del gruppo Visegrad, da sottolineare soprattutto lo spostamento verso il nord della Polonia e la zona orientale della Slovacchia, ma sono stati individuati anche notevoli percentuali di immigrati dall’Ucraina nel continente americano. 

L’attuale situazione vede circa 8 milioni di civili che hanno lasciato l’Ucraina per dirigersi in altri Paesi; altrettanti 8 milioni sono invece le persone sfollate all’interno della nazione. Poco meno di 16 milioni di persone hanno attualmente bisogno di una protezione e assistenza umanitaria. 

Quella in Ucraina è stata definita come la più grande crisi europea dal secondo conflitto mondiale, andando a creare un afflusso di profughi che supera da solo la somma di quelli creati dalle guerre nei Balcani (1991-1995), dalla guerra in Kosovo del 1999 e dalla crisi dei migranti del 2015. Tale situazione ha già agli inizi di marzo prodotto l’attivazione, da parte dei governi UE, del meccanismo di protezione temporanea per i profughi: una soluzione di emergenza esistente dal luglio 2001 e che non era stata mai presa in considerazione prima di adesso. Lo status di protezione temporanea permetterebbe a chi scappa dalla guerra in Ucraina di soggiornare, lavorare e usufruire di istruzione e assistenza sanitaria su tutto il territorio dell’Unione, senza la previa domanda di asilo politico, per un periodo che va dai sei mesi ai tre anni. Tale decisione, insieme all’impegno di Paesi come la Polonia, da sempre fautrice di una forte politica anti-immigrazione, hanno sviluppato una serie di accuse ai danni dell’Unione, accusata di adottare un doppio standard rispetto a chi chiede asilo politico. 

Le destinazioni dei rifugiati ucraini in Europa Centrale 

Ad oggi, la Polonia è il primo target di arrivo per i rifugiati: secondo i dati dell’UNHCR, alla fine di giugno sono stati registrati 4 milioni di ingressi, un flusso dieci volte maggiore di quello che la Serbia ha ricevuto durante la crisi migratoria del 2015. La maggior parte dei rifugiati sono minori sotto i 18 anni (48%) e donne in età lavorativa (45%), in quanto molti uomini – ma si ritiene anche un alto numero di donne – abbiano deciso di tornare in Ucraina per combattere l’esercito russo come volontari. Per far fronte alla massiva ondata migratoria (ma anche in risposta ad un consolidato passato di migrazione per motivi lavorativi), la Polonia ha fortemente ridotto la sua burocrazia migratoria, permettendo di accedere nel Paese tramite una serie di documenti più varia rispetto alle stringenti regole in vigore prima di febbraio 2022. Riguardo agli altri Paesi centroeuropei direttamente confinanti con l’Ucraina, sempre secondo l’UNHCR, la Slovacchia ha visto arrivare 548mila profughi, mentre l’Ungheria ha accolto circa 860mila persone. La Repubblica Ceca ha ad oggi visto un transito di circa 382mila persone, e ha promulgato il 17 marzo la “Lex Ukrajina”, tramite la quale la popolazione ucraina potrà avere un processo agevolato nell’ottenimento del diritto di residenza e nell’accesso ai servizi sanitari; un quarto dei migranti si è stanziato a Praga, nonostante la più grande migrazione di ucraini in Cechia si sia sempre registrata nella zona dei Sudeti. Infine, l’Austria ha visto l’arrivo di circa 150mila ucraini, dei quali 90mila hanno richiesto asilo politico al Paese, mentre una buona percentuale ha deciso di spostarsi verso altre nazioni. 

La crisi della politica di accoglienza

Nonostante la forte gara di solidarietà in tali Paesi, la situazione sembra però  diventare precaria rispetto alle politiche di accoglienza. Tali criticità possono essere legate allo sforzo economico e sociale. Un esempio è la Slovacchia, dove tra la popolazione è presente una percentuale di cittadini pro-Russia e una crescente polemica sui “privilegi” che i rifugiati ucraini avrebbero rispetto alla popolazione locale. A tal proposito, Euractive ha riportato in un suo articolo di maggio 2022 le parole dell’attivista slovacco Branislav Tichy, il quale ha affermato che le comparazioni con la crisi migratoria del 2015 e le richieste di “pensare prima agli slovacchi” stiano iniziando ad emergere. Ma anche la Polonia, che come precedentemente affermato è quella che insieme alla Romania ha visto il flusso di rifugiati più grande, sta vivendo momenti difficili; nonostante tale afflusso umanitario abbia risolto la situazione lavorativa in settori come manifattura e logistica, dove si riscontra una grande carenza di lavoratori, nel Paese centroeuropeo uno dei problemi più segnanti è senza dubbio quello abitativo: nonostante un massivo numero di famiglie ucraine sia stato ospitato da civili, tale soluzione non può essere considerata come una scelta di lungo termine, e gli ucraini che nell’imminente futuro cercheranno una soluzione alternativa andranno ad aumentare il problema della saturazione abitativa già presente in molte città polacche come Varsavia. 

In aggiunta alla situazione economica, a creare ulteriori problematiche nella zona centroeuropea è anche la posizione dei cittadini e dei governi rispetto alla guerra in atto; oltre alla posizione di neutralità dell’Ungheria (Paese fortemente dipendente dal gas russo), che si sospetta possa traghettare il Gruppo Visegrad verso una rottura definitiva, Paesi come Slovacchia e Bulgaria hanno una posizione tendenzialmente pro-russa, la quale può creare un rafforzamento della dialettica anti-immigratoria verso la popolazione ucraina rifugiata. Come riportato dal think-tank slovacco GLOBSEC, solo  il 51% degli slovacchi e il 48% degli ungheresi sono d’accordo nell’affermare che la Russia ha invaso l’Ucraina, cifre che risultano basse se comparate al 78% della Repubblica Ceca e all’87% della Polonia. Inoltre, il 18% degli ungheresi e il 16% degli slovacchi pensano che l’attacco russo sia stato scaturito dall’oppressione portata avanti dal governo di Kiev nei confronti della popolazione russofona, a cui si va ad aggiungere la convinzione -rispettivamente del 18% e 28%- che la Russia sia stata provocata e abbia attaccato primariamente a causa di continue provocazioni dell’Occidente. 

L’odierna situazione sembra quindi creare una panoramica ancor più evidente della eterogeneità delle politiche dei Paesi centro europei che va oltre alla situazione in Ucraina: una tale spaccatura soprattutto nelle società dei Paesi V4 esprime in maniera chiara come ognuno dei quattro membri stia intraprendendo un percorso di sviluppo (interno e di politica estera) che potrebbe creare una frattura irreparabile nella loro coalizione. Da una parte vediamo infatti una Polonia coerente alle sue posizioni critiche verso Mosca, nonostante le difficoltà nella gestione della crisi umanitaria; dall’altra Ungheria e Slovacchia rimangono in una condizione ambigua, con la prima fortemente dipendente dall’energia russa e la seconda con una minaccia populista; infine, la Repubblica Ceca con il nuovo governo di Petr Fiala sembra essere sempre più convinta di mettere al secondo posto gli interessi del gruppo Visegrad per imporsi maggiormente sia come Stato membro UE, che come indipendente da coalizioni e gruppi che possano creare situazioni scomode. 

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