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TematicheStati Uniti e Nord AmericaCambiamento climatico e sicurezza: due facce della stessa medaglia

Cambiamento climatico e sicurezza: due facce della stessa medaglia

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Secondo alcuni nuovi report della Casa Bianca, del Dipartimento di Difesa e delle agenzie di intelligence americane, il quadro climatico che si profila all’orizzonte non è affatto roseo e costituisce una minaccia ogni giorno maggiore per la sicurezza nazionale statunitense. La situazione è particolarmente tesa, soprattutto con l’inizio della Cop26, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.

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Nelle ultime settimane L’Office of the Director of National Intelligence (ODNI) ha pubblicato un nuovo report sul rapporto tra cambiamenti climatici e sicurezza nazionale all’interno del quale si sottolinea che tale dossier non farà altro che alimentare le tensioni a livello globale. Secondo l’elenco fornito dal report, tra gli undici paesi che risentiranno in modo particolare dei rischi e delle difficoltà derivanti dal climate change figurano Afghanistan, India, Pakistan, Corea del Nord ed Iraq. Stando a quanto riportato nel documento, “il cambiamento climatico inasprirà sempre di più i rischi per gli interessi di sicurezza nazionale statunitensi man mano che aumenteranno gli impatti fisici e le tensioni geopolitiche”. Ciò è probabile che avverrà in maniera più prepotente dopo il 2030, ed i paesi e regioni chiave affronteranno i rischi crescenti di instabilità e conseguente necessità di assistenza umanitaria. 

Inoltre, un declino delle entrate provenienti dal petrolio e da altri combustibili fossili affaticherà con ogni probabilità in maniera ulteriore i paesi del Medio Oriente, che patiranno un caldo estremo e siccità più lunghe.

Ad ogni modo, già ad inizio ottobre ben 23 report prodotti da agenzie federali avevano preso in esame gli aspetti di rottura che il cambiamento climatico avrebbe apportato. Nello specifico, proprio il presidente Biden aveva richiesto – attraverso un ordine esecutivo dello scorso gennaio – a ciascuna agenzia di preparare un report dettagliato circa le modalità con cui il cambiamento climatico avrebbe toccato ogni aspetto quotidiano di ciascun individuo. Tra le varie unità, vi sono i Dipartimenti di Agricoltura, Difesa, Sicurezza Interna, Educazione e Trasporti: ognuno ha sottolineato come il cambiamento climatico stia già influenzando negativamente l’operato del governo. 

L’analisi prodotta dal DoD sottolinea che l’aumento delle temperature rischia di aggravare alcuni fattori che potrebbero, a loro volta, portare a conseguenze disastrose per la sicurezza statunitense, rendendo questi elementi due facce della stessa medaglia. In particolare, il report spiega come ad un “climate hazard”, definito come “un processo fisico o un evento che può danneggiare la salute umana, gli esseri viventi o le risorse naturali”, corrispondano serie implicazioni per la sicurezza. Si pensi, a titolo di esempio, che il cambiamento nel livello delle precipitazioni (Climate hazard) è probabile che causi fenomeni di siccità sempre più frequenti ed intensi in alcune parti del mondo. Dunque, il primo impatto della siccità includerà sicuramente una riduzione della disponibilità di acqua. Un secondo impatto includerà una riduzione dei campi coltivabili che, in alcuni casi, può contribuire al fenomeno migratorio delle popolazioni. E quando gli “azzardi climatici” convergono e peggiorano, si creano delle sfide senza precedenti per il governo, a cui occorre rispondere. Nel caso appena considerato, più siccità significherebbe più possibilità di incendi boschivi, il che a sua volta porterebbe a più inondazioni, provocando danni critici alle infrastrutture. Alcune delle implicazioni sulla sicurezza sarebbero, indubbiamente, la competizione per le risorse naturali, che a questo punto sarebbero diminuite in maniera esponenziale; una maggiore richiesta di assistenza sanitaria; per non parlare delle tensioni sociali e politiche che ne risulterebbero, con conseguenti competitor che potrebbero sfruttare a proprio vantaggio un’eventuale situazione di instabilità. 

Nonostante questi report rappresentino il primo tentativo di studiare l’impatto del cambiamento climatico a livello unitario da quando l’Amministrazione Obama condusse una ricerca simile, i risultati non fanno che riprendere quelli prodotti dall’allarmante report di agosto delle Nazioni Unite, nel quale viene esplicitamente affermato che “è inequivocabile il fatto che l’influenza dell’essere umano abbia riscaldato l’atmosfera, l’oceano e la terra”.

D’altronde, il presidente Biden ha inserito il cambiamento climatico come top priority all’interno della sua campagna elettorale, proponendo il programma Clean Energy Performance come perno legislativo sul riscaldamento globale. Proprio per questo motivo, di recente tra le diverse fazioni del Partito Democratico si respira un’aria di tensione proprio perché Biden sta cercando un accordo per fare approvare questo provvedimento al Congresso. Un grande ostacolo in tale senso proviene dal senatore democratico dello Stato della West Virginia Joe Manchin, che sta bloccando l’approvazione del piano dell’amministrazione Biden. In particolare, Manchin è contrario alla misura più importante del progetto dei democratici, cioè quella che spingerebbe i fornitori di corrente elettrica ad abbandonare i combustibili fossili privilegiando, al loro posto, l’energia solare, eolica o nucleare. Manchin, il cui voto sarebbe decisivo per fare passare la legge al Senato, sostiene invece di volere difendere il suo stato, che è proprio uno dei maggiori produttori di carbone e gas degli Stati Uniti. La questione è cruciale, poiché la misura a cui di fatto Manchin si sta opponendo potrebbe rappresentare davvero l’ultima spiaggia per il Congresso di ridurre le emissioni prima che gli effetti della crisi climatica diventino catastrofici ed irrimediabili. La misura dell’amministrazione Biden andrebbe a premiare i fornitori che accetteranno di passare a fonti rinnovabili, e penalizzerebbe invece quelli che non lo fanno. L’obiettivo principale di questa strategia è di raddoppiare la quantità di energia prodotta da fonti eoliche, solari e nucleari entro il 2030, passando dal 40 all’80%. 
A rendere ancora più cruciale questi obiettivi è lo svolgimento, in questi giorni, della ventiseiesima Conferenza delle parti (Cop26) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, il trattato firmato nel 1992 per limitare il riscaldamento globale e ratificato da 196 paesi. Questo appuntamento, oltre ad essere il più importante per quanto riguarda la diplomazia internazionale sul clima dall’accordo di Parigi del 2015, rappresenta anche l’occasione per l’amministrazione Biden di celebrare il rientro degli Stati Uniti nell’accordo da cui il suo predecessore decise di ritirarsi. Cambiamento climatico e sicurezza sono diventati inscindibili. E saranno proprio queste due settimane ad essere decisive per frenare il riscaldamento globale, prima che diventi irreversibile.

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