Con un post su Instagram si è dimesso il ministro degli esteri iraniano Zarif: è stato l’artefice dell’accordo sul nucleare, e il diplomatico della Repubblica Islamica maggiormente apprezzato dalle cancellerie europee.
Come un fulmine a ciel sereno sono arrivate le dimissioni di Javad Zarif, ministro degli esteri dell’Iran. Tramite un post su Instagram, l’ormai ex ministro ha annunciato di essere “inabile a continuare il servizio”. Questa la motivazione ufficiale: una frase criptica, che lascia spazio a diverse interpretazioni. Una delle prime ricostruzioni fatte, è quella che riporta di una insanabile frattura con l’ayatollah Khamenei. Nella giornata di ieri, la Guida Suprema iraniana ha escluso Zarif dall’incontro a Teheran tra alti funzionari iraniani e la delegazione siriana presieduta da Assad,. Il leader siriano ha incontrato proprio Khamenei, in seguito il presidente Rohani e il Generale Soleimani, comandante della divisione Quds dei Pasdaran. Un’avvisaglia di quello che sarebbe avvenuto di lì a poche ore: era infatti sembrato strano che il responsabile della politica estera della Repubblica Islamica non venisse interpellato su una questione come quella siriana, teatro principale dell’azione estera dell’Iran. Da qualche mese a questa parte, cioè da quando gli Stati Uniti si sono defilati dall’accordo sul nucleare, la politica estera iraniana, specialmente in territori di conflitti, è stata sempre più delegata in seno agli alti comandanti delle IRGC. Una pressione dei falchi conservatori, tornati alla ribalta dopo il fallimento del JCPOA (per la verità mai digerito dall’ala più intransigente dell’establishment iraniano) sul presidente Rohani, che ora chiedono maggiore risolutezza contro i “nemici di sempre”. Una politica, questa, che comporta l’inevitabile delegittimazione dell’attuale ministro degli esteri.
Diventato ministro nel 2013, dopo la vittoria di Rohani, istruzione occidentale (ha conseguito un dottorato presso l’Università di Dever), Zarif era considerato rappresentante dell’ala moderata dell’amministrazione iraniana. Fautore di una rappresentazione dell’Iran maggiormente dialogante, e quindi inserito nel gioco della diplomazia internazionale, è stato uno dei principali artefici dell’accordo sul nucleare del 2015. Anche dopo le elezioni di Trump, e la conseguente uscita degli Stati Uniti dall’accordo, Zarif ha continuato a difendere la bontà del JCPOA, pressando e lavorando sotto traccia con i paesi europei affinché questi continuassero ad onorare il trattato.
Proprio in Europa gode di un’ottima reputazione: non a caso i principali paesi europei si sono affrettati a garantire all’Iran il rispetto dell’accordo. Ad inizio febbraio è stato presentato Instex, uno speciale meccanismo ideato per continuare a commerciare con l’Iran dopo le sanzioni imposte dagli Stati Uniti. Il sistema, istituito da Francia, Germania e Gran Bretagna, consentirà alle imprese di condurre transazioni finanziarie dirette con l’Iran, in contrasto con la linea dura del presidente degli Stati Uniti Donald Trump a Teheran.
Le dimissioni di Zarif, se accettate, comportano uno spostamento della politica internazionale su un binario maggiormente radicale. L’ala conservatrice iraniana spinge per un maggior interventismo in Siria e in Iraq, così come tutto l’apparato legato alle Guardie della Rivoluzione. Rohani, che oltre a una battaglia sullo scacchiere internazionale gioca uno scontro aperto col il fronte conservatore, si ritrova nella condizione di dover cedere su alcune tematiche, alla luce dei recenti malumori figli della critica situazione economica.
Il rischio di una crisi sociale, cavalcata dall’ala conservatrice, è molto alto, e il doppio fronte, interno ed esterno, può risultare fatale per la leadership di Rohani.
La maggioranza del parlamento iraniano, d’altro canto, nelle ultime ore sembra aver chiesto il rifiuto delle dimissioni di Zarif, segno inequivocabile dell’alta reputazione di cui il diplomatico gode tra le istituzioni.
La situazione resta in continua evoluzione: il premier israeliano Netanyahu ha accolto con felicità le dimissioni di Zarif, parlando di una “liberazione”. Anche Pence si è dichiarato soddisfatto, ma ha sottolineato come i politici iraniani siano in realtà privi di potere decisionale, nelle mani del solo Khamenei. L’amministrazione Trump ha trattato il dossier Iran con decisione, arrivando a uno scontro frontale: un nuovo ministro degli esteri, più intransigente, rientrerebbe nel piano della Casa Bianca. Un Iran maggiormente isolato sulla sfera internazionale gioverebbe, non poco, al progetto statunitense.
Il Medio Oriente, nonostante la chiusura di un importante capitolo della guerra in Siria, quello relativo allo Stato Islamico, rischia una nuova escalation di violenza.