Dopo diverse indiscrezioni rilanciate da varie testate internazionali, su possibili tentativi di dialogo tra Arabia Saudita e Iran tramite l’intermediazione irachena, negli ultimi giorni vanno registrati segnali di apertura ufficiali. Le parole del Principe ereditario saudita sull’Iran segnano un cambio di passo rilevante, così come la volontà espressa dal Ministero degli Esteri iraniano: proviamo ad analizzare quali scenari di cooperazione possono aprirsi nel breve periodo.
Il Medio Oriente è una regione dalle geometrie diplomatiche estremamente variabili: tentare di cristallizzare ogni tipologia di interazione tra le parti – violenta o meno – in un’ottica settaria e pertanto non modificabile rischia di essere fuorviante. Sarebbe stato impossibile prevedere, qualche anno fa, soltanto l’architettura degli accordi di Abramo e il conseguente tentativo di distensione regionale con Israele. Passando in rassegna le varie fratture che hanno caratterizzato il Medio Oriente contemporaneo, influenzando e modificando le alleanze tra Paesi, ci ricordiamo dell’alto grado di volatilità – diplomatica – interna all’area.
Le dichiarazioni ufficiali
Il 27 aprile, in occasione del quinto anniversario del lancio di Saudi Vision 2030, è andata in onda un’intervista del Principe ereditario al “Liwan Al Mudaifer Show” sulla Tv di stato saudita. Tra i vari argomenti toccati, Mohammed bin Salman (MBS) ha parlato anche del rapporto con l’Iran, e le parole utilizzate sono certamente distensive rispetto a quelle sentite sino ad oggi. Bin Salman ha chiarito che l’Arabia Saudita “sta cercando di avere buone relazioni con l’Iran”, e ha sottolineato che il Regno “mira a vedere un Iran prospero, e stiamo lavorando con i nostri partner nella regione per superare le nostre differenze con Teheran”.
Anche nei confronti degli Houthi in Yemen, premessa la ferma condanna per il colpo di stato del 2014 e chiarito che Riad non accetta milizie armate al proprio confine, il Principe ereditario ha dichiarato che i miliziani sono sì legati all’Iran, ma sono attori yemeniti, che possono avere un ruolo nei futuri negoziati di pace. Dichiarazioni, quelle della principale figura politica dell’Arabia Saudita, che si collocano certamente in scia rispetto ai tentativi di cooperazione e dialogo con l’Iran registrati nelle scorse settimane a Baghdad, grazie all’intermediazione irachena. Colloqui non ufficiali, ma che segnano la volontà di creare nuovi spazi di cooperazione tra l’Iran e gli attori del Golfo. Colloqui concreti, però, a giudicare non solo dalle parole di Bin Salman, ma anche da quelle espresse dal portavoce del Ministero degli Esteri iraniano, Saeed Khatibzadeh, in una conferenza stampa della scorsa settimana: “l’allentamento delle tensioni tra i due principali paesi musulmani nella regione del Golfo è nell’interesse di entrambe le nazioni e della regione”, ha sottolineato il portavoce, aggiungendo che “l’Iran accoglie con favore la risoluzione dei problemi che sono esistiti tra i due paesi” e che “convoglierà tutti gli sforzi necessari per raggiungere l’obiettivo”.
Anche il Segretario di Stato degli Stati Uniti Blinken ha accolto con favore il tentativo di dialogo, dichiarando al Financial Times che “parlare, provare ad abbattere le tensioni, cercare di vedere se c’è un modus vivendi, cercare di convincere i paesi a modificare comportamenti che ledono gli interessi altrui è un fattore certamente positivo”. Si arriverà a dama? Su questo Blinken sembra più cauto: “questa è un’altra domanda”. Ma l’apertura al dialogo è un inizio di un lungo processo di distensione.
Come si è arrivati a questo punto?
E’ cosa nota che Iran e Arabia Saudita, in special modo dal 1979 in poi, si sono confrontati all’interno di una competizione egemonica regionale. Tra alti – pochi – e bassi – molti – il rapporto tra i due paesi è stato un rapporto tra rivali: la potenza arabo sunnita che controlla i luoghi santi dell’Islam da una parte, e lo Stato persiano dall’identità sciita che dal 1979 ha intrapreso una politica revisionista dell’ordine regionale, dall’altra. Tale confronto è stato fortemente influenzato dalla postura che gli Stati Uniti hanno negli anni assunto nei confronti del Medio Oriente. E proprio la consapevolezza, maturata durante le ultime due amministrazioni americane, che Washington è sempre meno interessata agli affari mediorientali, ha influito sull’idea di tentare di stabilire una nuova cooperazione regionale. Già nel 2017, durante la visita di Moqtada Al Sadr in Arabia Saudita, si era discusso di possibili modalità di distensione tra Riad e Teheran. In quell’occasione diversi analisti hanno considerato tale azione diplomatica anche come un tentativo saudita di avvicinarsi all’Iraq, per allentare l’influenza crescente dell’Iran sul paese, ma è altrettanto vero che in seguito Al Sadr si è reso pubblicamente disponibile a cooperare con il Qatar per mediare fra l’Arabia Saudita e l’Iran.
Altro importante passaggio è avvenuto nel 2019: in un momento di massima escalation tra Riad e Teheran, in seguito all’imponente attacco all’impianto petrolifero di Abqaiq di Saudi Aramco, secondo diverse fonti internazionali l’Iran avrebbe tentato di aprire un ponte di dialogo informale con il Regno, proprio per allentare l’escalation sul fronte Sud saudita. Come riporta Reuters, inoltre, citando anonime fonti diplomatiche, negli ultimi mesi l’Iran avrebbe avuto un ruolo importante nel disinnescare sul nascere diversi piani di attacco dei miliziani Houthi nei confronti di Riad.
Esistono convergenze di interessi?
Se si prendono in considerazione gli interessi dei due paesi in questione, si possono provare a tirare delle linee su possibili scenari di cooperazione.
L’Iran, nel breve periodo, deve risolvere due ordini di problemi, fortemente legati tra loro:
1. Abbassare la quota di “nemici” nella regione. L’obiettivo deve essere quello di uscire dall’isolamento regionale, e conseguentemente internazionale, che le politiche di massima pressione esercitate negli ultimi 5 anni da Israele e Arabia Saudita – con la spalla sicura degli Stati Uniti – hanno causato.
2. Il più importante: risolvere la grave crisi economica che attanaglia il paese da anni, e che la pandemia ha ulteriormente accelerato. La questione delle sanzioni internazionali non è più rimandabile per la politica iraniana, e forti sponde regionali possono essere certamente utili in una fase di trattativa diplomatica internazionale.
Anche l’Arabia Saudita, d’altro canto, ha l’urgenza di risolvere alcuni punti:
1. Migliorare la propria architettura di sicurezza nazionale. Il fronte aperto al confine Sud ha rappresentato un problema per il Regno: dispendioso dal punto di vista economico, ma soprattutto vulnerabile alle risposte che l’Iran ha condotto in maniera asimmetrica alle politiche di pressione dell’Amministrazione Trump. In sintesi: Riad non può pagare da sola i costi delle pressioni internazionali e regionali su Teheran. La soluzione più semplice, e immediata, per raggiungere una condizione di maggiore sicurezza è quella di iniziare un dialogo con l’Iran, e congelare il conflitto nello Yemen, anche per dare via a un processo di ricostruzione del paese che vedrà certamente Riad protagonista.
2. L’Arabia Saudita ha diversi e imponenti piani economici regionali, con l’obiettivo finale di diventare un vero e proprio hub di collegamento finanziario, turistico e commerciale tra Asia, Medio Oriente e il mondo occidentale. I piani regionali sauditi hanno bisogno di una stabilità regionale: un Medio Oriente in equilibrio facilita l’attuazione della “visione” di Riad.
Quali sono gli scenari possibili?
Passati in rassegna alcune problematiche che i due paesi devono affrontare a stretto giro, e che possono facilitare un processo di cooperazione, vediamo in che modo possono tradursi tali tentativi di dialogo.
1. Un precedente è sicuramente quello rappresentato dall’Accordo di sicurezza dell’aprile del 2001, firmato dal Ministro dell’Interno saudita Naif, e dall’omologo iraniano Abdolvahed Mussavi-Lari. Quell’accordo aveva come fine quello di combattere il traffico di droga e la criminalità organizzata, ed ha rappresentato un processo di distensione diplomatica iniziato con l’elezione di Khatami alla presidenza iraniana. Un tale precedente storico può essere preso ad esempio per un nuovo tentativo di cooperazione: un accordo quadro contro il terrorismo, di contrasto alla possibile recrudescenza delle attività dell’Isis in Siria e in Iraq – che sarebbe lesiva degli interessi sia di Riad che di Teheran – potrebbe essere un punto di partenza diplomatico.
2. L’istituzione di un forum di dialogo tra Iran e Paesi del Golfo per affrontare le dinamiche connesse all’epidemia: un memorandum di intesa sanitario, che possa preventivamente affrontare le possibili riacutizzazioni del problema o gestire l’approvvigionamento vaccinale. L’intra-mobilità regionale tra i diversi paesi è un obiettivo che, alla luce dei piani di sviluppo anche infrastrutturale, è un elemento che va certamente messo in sicurezza.
3. Un piano di pace per lo Yemen: come ribadito da MBS, gli “Houthi hanno forti relazioni con l’Iran, ma alla fine sono yemeniti e speriamo di avere una soluzione yemenita per porre fine al conflitto”. La milizia potrebbe avere un ruolo nelle trattative di pace, e chiaramente, per quanto sia forte la loro identità araba e yemenita, sono legate all’Iran. Arrivare a un tavolo negoziale che comporti una stabilità nel paese arabo, è un obiettivo con una duplice valenza per Riad. Da una parte permette la messa in sicurezza del suo fronte Sud, dall’altra dà il via ai numerosi piani di ricostruzione annunciati dall’Arabia Saudita nel dicembre del 2020 dal valore di oltre 80 milioni di dollari.
Conclusioni
Abbiamo descritto uno scenario difficilmente pronosticabile qualche anno fa, ma che con insistenza inizia a farsi strada tra le varie possibilità che la regione mediorientale offre. Il processo di cooperazione tra Arabia Saudita e Iran segue di pari passo il dialogo tra Teheran e Washington sulla questione nucleare. Secondo diverse fonti citate da Reuters l’Iran spera proprio in un appoggio saudita nello sbloccare la situazione di stallo con gli Stati Uniti. Un tentativo di dialogo è pertanto iniziato, e le possibili convergenze di interessi rendono plausibile uno sviluppo: da considerare, però, la variabile rappresentata dalle prossime presidenziali in Iran. I prossimi due mesi ci diranno tanto sul futuro a breve termine della regione.