In Africa, i confini di molti stati sono stati disegnati a tavolino, durante molteplici congressi susseguitisi nel corso degli anni e la questione Sahara Occidentale-Marocco ne è un esempio evidente.
Il Sahara Occidentale è un territorio prettamente desertico, ricco però di fosfati e le sue coste, grazie a particolari correnti atlantiche, risultano molto pescose; i suoi confini seguono meridiani e paralleli dell’area, come da decisione delle diplomazie europee durante la Conferenza di Berlino del 1884-85. Le popolazioni nomadi, i cui posteri sono le attuali tribù locali, facevano parte della grande famiglia etnica dei Saharawi ed erano islamici sunniti. L’arabizzazione della zona ha lasciato, poi, tracce evidenti nella loro lingua, l’Hassaniya, molto simile al Modern Standard Arabic.
La storia coloniale del Sahara Occidentale ha origine, come detto, con il 1885, quando, in occasione della succitata Conferenza di Berlino, oltre a sancire i confini territoriali, la Spagna ottenne le due aree, Sagui el-Hamra e Rio de Oro, in cui era suddiviso il Paese, per controbilanciare la presenza francese nel Maghreb. La colonizzazione iberica procedette fino alla fine degli anni ’60 del XX secolo, quando, con l’indipendenza algerina, ebbe inizio il processo di decolonizzazione.
Già nel 1960 l’ONU riconosce il diritto all’autodeterminazione dei popoli e, 3 anni dopo, anche i territori del Sahara Occidentale vengono inclusi tra quelli in cui è riconosciuto tale diritto. Contestualmente, il Marocco chiese alla stessa ONU di poter annettere il Sahara per presunte ragioni storiche. I venti neo-nazionalisti iniziarono, così, a spirare anche nel Sahara Occidentale con le prime rivolte armate contro gli occupanti spagnoli da parte di nuclei composti da membri delle tribù autoctone.
Nel 1973, i ribelli si organizzarono in un vero e proprio movimento di resistenza anti-colonialista di ispirazione socialista: il Fronte Polisario. La Spagna, alle prese con i problemi interni legati alle condizioni di salute del caudillo ed alle richieste di democratizzazione, subì numerose sconfitte sul campo e decise, nel febbraio ’76, di lasciare il Sahara Occidentale. Appena prima di abbandonare, però, gli spagnoli si accordarono in gran segreto con Marocco e Mauritania per la cessione dei territori e la loro spartizione tra i due Stati frontalieri. Il Polisario, così, si preoccupa (un po’ come Hamas in Palestina) di fornire sostegno alle popolazioni locali che fuggono in massa, specialmente dopo le bombe ed il napalm marocchini; venne così allestito un primo campo profughi presso l’oasi di Tindouf, nel deserto, al confine con l’Algeria. In tale occasione, i ribelli locali dichiararono l’indipendenza del Sahara e la nascita della Repubblica Araba Saharawi Democratica (RASD), con capitale la stessa Tindouf.
Nel 1979, il governo di Nouakchott decise di riconoscere la RASD e lasciò i territori occupati, mentre il Marocco, in risposta, invase tutto il Sahara Occidentale, senza considerare alcuna norma di diritto internazionale. Il Polisario, nel 1982, ottiene un riconoscimento prestigioso, venendo ammesso all’Organizzazione per l’Unione Africana come stato membro. Proprio durante la guerriglia degli anni ‘80 tra Polisario e Marocco, quest’ultimo decise di “spingere” la popolazione locale verso l’interno, raddoppiando lo sforzo di controllo dell’area costiera e, soprattutto, erigendo un muro di 2.720 km. I saharawi, di fatto, vivono in una striscia di deserto tra l’oasi di Tindouf ed il muro stesso, difeso da quasi 10 milioni di mine anti-uomo e migliaia di metri di filo spinato e bunker. Si pensi che, secondo le stime dell’Associazione Saharawi di Vittime di Mine, “esse causano ogni anno tra i 20 e i 30 decessi”.
Per far sì che gli scontri cessassero, fu necessario l’intervento nel 1991 delle Nazioni Unite, con l’operazione MINURSO, conclusasi in un accordo per cui sarebbe stato indetto un referendum, con il beneplacito di Rabat e della RASD. La popolazione sarebbe stata chiamata a scegliere tra l’indipendenza o l’integrazione del Marocco. Tale strumento di democrazia diretta non è stato mai concretamente utilizzato poiché le due parti non si sono mai accordate su chi avesse il diritto di voto. Per dovere di cronaca politica internazionale, va ricordato poi che la Francia (partner storico di Rabat) pose il veto in seno al Consiglio di Sicurezza ONU circa l’indizione del referendum. Nel 1996, l’Organizzazione delle Nazioni Unite (dove il Sahara Occidentale occupa un posto da osservatore) ha, quindi, deciso di interrompere le trattative per la definizione dei requisiti degli aventi diritto al voto, suggellando una “crisi congelata”.
Lo scorso 27 febbraio, a Tindouf, si è tenuto il quarantennale della nascita della RASD con una enorme sfilata di carrarmati, missili, mezzi anfibi e più di 25.000 uomini. Il Primo Ministro del Fronte Polisario ha quindi dichiarato: “Con la sfilata delle nostre forze militari vogliamo far vedere di avere un esercito bene armato e preparato. La lotta armata per l’indipendenza è una possibilità che non è esclusa e per la quale ci stiamo preparando”. La guerra non è quindi terminata ed il processo di democratizzazione dell’area è tutt’altro che realizzabile. Anzi, i nuovi problemi dell’area (infiltrazioni terroristiche di AQMI) affliggono un sempre più solo Fronte Polisario, costretto a schierare unità anti-terrorismo lungo il confine per combattere l’avanzata dei jihadisti islamici.
Dopo lunghi anni di attesa per un referendum che non si è mai tenuto, l’insofferenza dei Saharawi si fa lampante, nonostante i numerosi tentativi di Ban Ki-Moon di convincere Rabat.