Dal XVII secolo, quando la Russia volle darsi una connotazione più europea chiamando architetti italiani per costruire gli edifici di San Pietroburgo, le relazioni italo-russe iniziarono a prendere forma. Nei decenni, i due Paesi hanno intrecciato per la maggior parte saldi rapporti in ambito economico ed energetico, soprattutto per quel che concerne l’approvvigionamento di gas. Anche in ambito politico i rapporti si sono sempre caratterizzati da una volontà di apertura e di dialogo tra Roma e Mosca. Tuttavia, con l’invasione russa in Ucraina le relazioni italo-russe si sono incrinate, complici le scelte politiche prese dal governo italiano e la crisi energetica.
I “caldi” rapporti italo-russi durante la Guerra Fredda
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, nonostante l’inasprimento dei rapporti tra Stati Uniti e Unione Sovietica e la scelta atlantica del governo De Gasperi, in Italia si era affermato il più grande partito comunista d’Occidente, il Partito comunista italiano (Pci). Palmiro Togliatti, uno dei suoi esponenti più prominenti, nonché segretario di partito dal 1927 al 1964, fu anche dirigente del Comintern, l’organizzazione internazionale dei partiti comunisti. I quadri dirigenti del Pci, inoltre, si formavano a Mosca e conoscevano il russo. Non solo partiti di sinistra avevano stretto forti legami con l’Unione Sovietica, ma anche il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, esponente della Democrazia Cristiana, nel 1960 andò in visita di Stato a Mosca, diventando il primo Capo di Stato di un Paese del blocco occidentale a superare la cortina di ferro durante la Guerra Fredda. L’Italia affermava così i suoi rapporti con l’URSS in un periodo storico in cui il “Red Scare” e la russofobia erano predominanti. Per questo non sorprende che, malgrado il Pci fosse ritenuto una minaccia comunista in Occidente, soprattutto da Stati Uniti e Regno Unito, e si fosse cercato in tutti i modi di ridurre la sua influenza politica in Italia (si veda anche la Conventio ad excludendum ai danni del PCI da ogni possibilità di ingresso nel Governo), le relazioni economiche italo-russe crebbero a pari passo con quelle politiche. Per esempio, nel 1965 la Fiat concluse un accordo per costruire uno stabilimento automobilistico a Tol’jatti (città della Russia europea così denominata in onore proprio di Palmiro Togliatti); l’accordo fu considerato da molti come l’“affare del secolo” e permise a molti italiani di attraversare la cortina di ferro. Ancora, nel 1969 l’Eni concluse un accordo con la Russia per l’importazione di gas naturale: sei miliardi di metri cubi all’anno per vent’anni – accordo che è durato fino allo scoppio della guerra in Ucraina. Tuttavia, con la fine della distensione, la relazione tra i due Paesi peggiorò: a livello internazionale, per citare alcuni esempi, l’Italia si allineò con la politica dell’amministrazione Carter rispetto la crisi degli Euromissili (1979) e boicottò con le altre nazioni europee le Olimpiadi di Mosca (1980).
L’implosione dell’URSS: una nuova chance
Il triennio 1989-1991 e la conseguente implosione dell’URSS determinarono la fine della Guerra Fredda. Questo rese possibile un riavvicinamento tra l’Italia e la neonata Federazione Russa; infatti, nel 1994 i due Paesi siglarono il Trattato di Amicizia e Cooperazione. Roma coadiuvò anche l’integrazione della Russia nel nuovo ordine mondiale: sotto l’egida dell’allora Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che intrattenne buone relazioni anche personali con Vladimir Putin, nel 2002 a Pratica di Mare venne istituito il Consiglio Nato-Russia. Quest’ultimo aveva la funzione, da una parte, di consentire il dialogo tra la Nato e Mosca e dall’altra di rassicurare la potenza russa sull’allargamento dell’Alleanza Atlantica, superando i meccanismi di cooperazione formali avviati nel 1997 con il Nato-Russia Founding Act. Ciò perché tra il 1999 e il 2004 molti Stati dell’ex blocco orientale, tra i quali Polonia, Ungheria e Romania, dopo aver intrapreso un percorso di avvicinamento all’Occidente, aderirono alla Nato provocando un crescente risentimento da parte di Mosca, che si sentiva minacciata dall’espansione delle potenze occidentali nei suoi ex territori, in particolar modo degli Stati Uniti. Con l’annessione russa della Crimea, le operazioni del Consiglio Nato-Russia sono state sospese e dal 2014 ad oggi ci sono stati solo undici incontri, ma solo a livello di ambasciatori, interrompendo quindi le iniziative di cooperazione congiunte. L’ultimo incontro del Consiglio si è tenuto poco prima dell’inizio della guerra in Ucraina, il 12 gennaio a Bruxelles, dopo ben tre anni dall’ultimo del luglio del 2019.
Sempre l’Italia, nonostante il peggioramento delle relazioni tra l’Occidente e Mosca tra il 2007 e il 2008, cercò di mantenere il dialogo aperto con la Russia. Roma, infatti, fu molto critica – insieme a Germania e Francia – sia del piano dell’allora amministrazione Bush di schierare un sistema di difesa antimissile in Europa orientale (fortemente osteggiato dalla Russia) sia della volontà del Presidente americano di favorire l’ingresso nella Nato della Georgia e dell’Ucraina attraverso il Nato Membership Action Plan (Map), dichiarata durante il vertice di Bucarest del 2008. L’opposizione italiana, francese e tedesca si basava sul fatto che l’inclusione dei due Paesi esteuropei avrebbe portato a un deterioramento delle relazioni con la Russia, senza aggiungere nessun beneficio tangibile all’Alleanza. Roma è sempre stata cauta rispetto al coinvolgimento nelle istituzioni euroatlantiche delle ex-repubbliche sovietiche. Infatti, anche quando l’Unione europea decise nel 2009 di coinvolgere Ucraina, Bielorussia, Moldavia, Georgia, Armenia e Azerbaigian in un comune sistema di cooperazione politica e regole commerciali, la c.d. Eastern Partnership, l’Italia accettò riluttante.
In campo economico, l’Italia in quel periodo approfondì i suoi legami con la Russia. Per esempio, nel 2007 il governo guidato da Romano Prodi siglò un’intesa con Putin per la costituzione della società “South Stream”, società controllata per metà da Eni e per l’altra metà da Gazprom, finalizzata alla costruzione di un gasdotto che avrebbe collegato direttamente l’Italia e la Russia.
L’annessione della Crimea: il punto più basso delle relazioni?
Nel 2014 le proteste di Euro-Maidan, che chiedevano una maggiore integrazione dell’Ucraina nell’Unione europea, portarono l’allora Presidente filorusso Viktor Yanukovich a dimettersi. In tutta risposta la Russia annesse la penisola della Crimea e diede sostegno politico-militare ai separatisti delle regioni del Donbass e del Lugansk. Tali azioni inficiarono i rapporti tra la Russia e l’Occidente, tant’è che, insieme agli Stati Uniti, l’Ue decise di adottare un regime sanzionatorio contro Mosca, al quale aderì anche l’Italia, la cui revoca sarebbe dipesa dall’adempimento russo degli accordi di pace di Minsk (2015). Roma, però, pur rimanendo formalmente allineata alla politica dell’Unione, nel 2015 chiese e ottenne in sede al Consiglio europeo che le sanzioni alla Russia non fossero rinnovate automaticamente, ma ridiscusse ogni sei mesi. Significativo nel dimostrare i legami comunque presenti tra le due Nazioni fu il fatto che il Presidente Enrico Letta fu l’unico leader europeo a partecipare all’inaugurazione delle Olimpiadi a Sochi nel 2014. Non sorprende quindi che già nel 2016 in seno alla Nato l’Italia chiedesse per la ripresa dei lavori del Consiglio Nato-Russia al fine di riprendere il dialogo tra le due parti e aumentare la fiducia reciproca. Sempre nel 2016, il Presidente Matteo Renzi fu il solo leader europeo a partecipare al forum economico di San Pietroburgo. L’Italia e la Russia, infatti, dalla fine della Guerra Fredda hanno cominciato a sfruttare a pieno la complementarità delle loro economie, a tal punto che gli scambi commerciali tra i due Paesi nel 2017 sono ammontati a 20,3 miliardi di euro. Se le relazioni politiche hanno subito un lieve rallentamento dopo l’annessione della Crimea, i legami economici tra Mosca e Roma non sono mai cessati.
La guerra in Ucraina e le sue implicazioni
Prima del 24 febbraio, il legame politico ed economico tra Russia e Italia era più forte che mai. Basti ricordare che in Russia sono attualmente presenti 400 imprese italiane e che, nel 2018, l’Italia era il sesto Paese per forniture a Mosca e il settimo Paese per importazioni russe. Con l’invasione russa dell’Ucraina, però, i rapporti hanno subito un brusco peggioramento. Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha subito allineato il Paese alla linea della Nato e ha accordato a livello europeo le sanzioni economiche contro la Russia. Significativamente, l’Italia di Draghi ha mandato armi all’Ucraina e ha confiscato i beni in Italia degli oligarchi russi, invitando anche gli altri Stati europei a fare altrettanto. Non ultimo il Presidente ha sostenuto l’entrata di Kyiv nell’Unione europea. La quasi totalità dei partiti italiani, di qualsiasi colore, ha condannato l’invasione, ma non è stato altrettanto univoco l’appoggio a certe decisioni prese dal governo rispetto alle misure intraprese per affrontare la crisi energetica ed economica scatenata dalla guerra. Infatti, il governo tecnico ha perso la maggioranza per governare e l’Italia è andata a elezioni a fine settembre. Nonostante la caduta, il governo Draghi ha impresso un cambiamento nei rapporti italo-russi: l’Italia si schiera con l’Unione europea a sostegno dell’Ucraina e contro la Russia. Il divorzio dalla Russia è stato finalizzato dal neoeletto governo Meloni. Il capogruppo di Fratelli d’Italia nel suo discorso di insediamento ha affermato che “[…] saremo garanti, senza ambiguità, della collocazione italiana e dell’assoluto sostegno all’eroica battaglia del popolo ucraino”, seguendo così la politica di Draghi di allontanamento politico da Mosca.
Un ipotetico distacco dalla Russia non è così facile: le sanzioni stanno duramente colpendo l’Italia, soprattutto a causa della dipendenza di quest’ultima dal gas russo; i media italiani, inoltre, hanno dato ampio spazio alle parti più russofile del Paese. Tant’è vero che, secondo un report dell’Ipsos, dopo sei mesi dall’invasione, il supporto degli italiani è calato del 50%. Il malcontento del popolo italiano è anche causato dall’aumento del prezzo dell’energia e più in generale dall’aumento dei costi della vita.
In conclusione, l’Italia ha dimostrato di cercare ripetutamente un dialogo con Mosca sia a livello politico che a livello economico. Come nel caso della Crimea nel 2014, le relazioni italo-russe hanno subito una battuta di arresto dopo l’invasione del 24 febbraio. Tuttavia, malgrado il governo Meloni abbia assicurato l’allineamento dell’Italia con le politiche della Nato e dell’Unione europea, i problemi a livello energetico – rappresentati dalla difficoltà nel diversificare le fonti di gas – e a livello economico (l’economia europea sta affrontando una fase di recessione) uniti ai sentimenti russofili latenti sia nella élite politica (di destra e di sinistra) sia nella popolazione, prospetterebbero un ritorno di fiamma tra Roma e Mosca.
Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul numero di Matrioska del 21/12/2022