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Russia, USA e Arabia Saudita uniti per salvare il petrolio (e l’OPEC)

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Doveva essere, secondo le parole del presidente americano Donald Trump, una semplice “diatriba tra Mosca e Riad” ma si è capito (quasi) subito che la guerra intorno al prezzo del petrolio avrebbe assunto ben presto una dimensione mondiale, tanto da arrivare a coinvolgere i Paesi del G20 in quello che è il più grande taglio della produzione di petrolio della storia.  

Lo scontro tra Russia e Arabia Saudita 

Ad inizio marzo, davanti all’inarrestabile crollo del prezzo del petrolio, l’Arabia Saudita aveva proposto un taglio di 1-1,5 milioni di barili al giorno, di cui 500.000 barili in capo ai Paesi non Opec. Una scelta, quella di Riad, dettata dal fatto di non poter sopportare a lungo un costo del greggio inferiore (di troppo) agli 80 dollari al barile, un prezzo che rappresenta il break-even per i sauditi. La proposta dell’Arabia Saudita si è scontrata però contro l’opposizione di Mosca che, forte di un break-even intorno ai 40 dollari al barile, ha provato a sfruttare l’occasione per eliminare dal mercato, per quanto possibile, i produttori di shale oil americani, già fortemente indebitati. La contromossa di Riad che ha deciso a quel punto di incrementare la propria produzione giornaliera ha dato inizio ad una vera e propria guerra dei prezzi, che ha portato il costo del petrolio addirittura intorno ai 20 dollari al barile e messo in crisi il meccanismo dell’Opec Plus.   

Un mercato del petrolio in crisi 

Lo scontro tra Mosca e Riad si è inserito in un contesto in cui il mercato petrolifero risultava già fortemente indebolito dagli effetti della diffusione a livello globale del virus Covid-19. Senza alcuna certezza circa i tempi necessari a neutralizzare la minaccia sanitaria in corso, l’Agenzia internazionale per l’energia (IEA) ha già ridotto, per l’intero 2020, di un terzo la previsione di crescita della domanda: ci si aspetta, in particolare, un aumento di (solo) 825 mila barili al giorno, che sarebbe il più basso dal 2011. Le misure per contenere il contagio, infatti, non solo hanno semiparalizzato la Cina, un gigante che assorbe oltre il 10% dell’offerta totale di greggio, ma stanno provocando ripercussioni a catena su scala internazionale, con un impatto significativo sui trasporti e sul turismo. In una simile situazione, solo un accordo tra i principali protagonisti del mondo petrolifero avrebbe potuto fornire qualche garanzia di ripresa per il settore.  

Il petrolio “sotto zero” 

Il crollo del prezzo del petrolio intorno ai 20 dollari al barile ha aperto la strada verso quella che da più parti viene vista come una catastrofe, ovvero una discesa dei prezzi in territorio negativo. Una situazione da scongiurare, sia perché per l’Europa, nonostante la crescita della domanda di gas, il petrolio resta ancora la principale fonte utilizzata per soddisfare il proprio fabbisogno energetico, sia perché a fondarsi sul petrolio sono le economie di quei Paesi del Medio Oriente dove fondamentale è garantire la stabilità della regione. Prezzi negativi significa che i produttori possono liberarsi del greggio solo pagando. In realtà, non sarebbe la prima volta che succede nel settore energetico: anche prima della pandemia è già successo più volte di vedere il segno meno davanti al prezzo dello shale negli Stati Uniti, così come sui mercati dell’elettricità. Ma nel caso del petrolio la questione sarebbe più complessa, dal momento che l’eccesso di offerta rischia di terminare rapidamente lo spazio disponibile per il suo stoccaggio. E conservare il petrolio costa sempre più caro.  

L’accordo mondiale per il petrolio 

Ed è così che dopo una settimana di negoziati, sempre sull’orlo del fallimento a causa delle (rigide) posizioni di alcuni Paesi, si è arrivati ad un accordo che ha visto il coinvolgimento non solo del sistema Opec Plus ma anche dei Paesi del G20. Più precisamente, secondo un primo accordo, si era deciso che a maggio e a giugno la produzione mondiale di petrolio sarebbe diminuita di 10 milioni di barili al giorno. A fronte della perdurante opposizione del Messico, si è arrivati alla decisione di tagliarne una quantità leggermente inferiore, pari a 9,7 milioni di barili al giorno. Si tratta comunque di un dato molto significativo, che rappresenta ben un decimo dell’offerta totale attuale e quasi il doppio rispetto alla quantità tagliata in occasione della crisi finanziaria globale del 2007-2009.  

L’attivismo di Donald Trump 

Determinante per l’intesa è stata la mediazione del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. È stato lui, infatti, a spingere sin dall’inizio verso un possibile nuovo incontro dell’Opec Plus, trovando anche una soluzione all’opposizione messicana. La diffusione del Covid-19 sta mettendo a dura prova il sistema sanitario americano e, soprattutto, la tenuta della sua economia, tanto che recenti sondaggi accreditano lo sfidante di Trump alla Casa Bianca, Joe Biden, in vantaggio di ben 11 punti. Il vantaggio intravisto da Trump in un prezzo del petrolio così basso, ovvero una sensibile diminuzione del costo della benzina per i consumatori (ed elettori) americani, si è rivelato ben presto relativo, dal momento che a causa del lockdown i cittadini americani non possono circolare. Ed è così che Trump ha presto messo da parte i meri calcoli elettorali, per concentrarsi sui possibili (devastanti) effetti provocati da un eventuale crollo dell’industria petrolifera americana sulla sicurezza nazionale.  

L’incognita messicana 

L’accordo è stato a rischio sino all’ultimo a causa dell’opposizione messicana. Il ministro dell’Energia messicano Rocio Nahle, infatti, ha chiesto e, alla fine, ottenuto un compromesso in base al quale potrà ridurre la sua produzione di 100 mila barili al giorno, molto meno di quanto previsto all’inizio. Il Messico, inoltre, rivaluterà la sua posizione dopo due mesi dall’entrata in vigore dell’intesa. Dietro all’opposizione messicana, la volontà del presidente Lopez-Obrador di incrementare gli investimenti nel settore petrolifero per portare la produzione di greggio sino a 2 milioni di barili al giorno, unico modo per poter sostenere le politiche sociali annunciate durante la campagna elettorale. Il compromesso si è reso possibile solo grazie all’intervento del presidente americano Trump, che ha proposto di conteggiare il taglio della produzione degli Stati Uniti come una riduzione del Messico. Per fare ciò, però, è stato necessario superare a sua volta l’opposizione dell’Arabia Saudita, intimorita che altri paesi avrebbero potuto avanzare richieste simili. Alla fine, però, a prevalere è stato il buon senso di tutti e, soprattutto, la volontà di salvare, ancora una volta, l’Opec.

Fabrizio Anselmo,
Geopolitica.info

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