Il flusso di fonti di energia tra Russia e Paesi dell’Unione Europea non è mai stato così basso negli ultimi settant’anni, qualcosa che la maggior parte degli analisti non si sarebbe mai aspettata un anno fa. Ad un anno dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, si può affermare che un nuovo tempo – inedito – della partita del gas (o dell’energia più in generale) si sia completamente instaurato tra Russia ed Europa.
Gazprom è declassato ormai a fornitore marginale e l’embargo dell’Unione Europea ha bloccato le importazioni di petrolio, carburanti e carbone russi in pratica totalmente. Ciononostante, la situazione non è ancora stabile per l’Europa, che sembra essere in grado di superare l’inverno senza eccessivi problemi, ma che non ha ancora trovato un equilibrio “post Russia”.
La situazione in Europa
Germania, Slovacchia, Ungheria e Repubblica Ceca sono stati tra i paesi più interessati dalla riduzione di importazioni di gas russo, insieme all’Austria. Questi cinque paesi dell’Europa centrale sono anche quelli più a rischio, a causa della precedente dipendenza da importazioni dalla Russia e l’assenza di infrastrutture e forniture alternative per sostituire la repentina diminuzione. Questi cinque paesi saranno quasi totalmente dipendenti dal gas proveniente dalla Norvegia e dalle connessioni dei gasdotti belgi e olandesi. I Paesi Bassi hanno ancora un livello ragionevole di produzione di gas, anche se in calo, e possono coprire la domanda belga, anche se a fatica. Infatti, i paesi finora nominati formano una sub-regione dell’UE in cui le infrastrutture reali e i vincoli di approvvigionamento iniziano a mostrare le difficoltà dello sganciamento dalla Russia (Europe’s Infrastructure and Supply Crisis, OIES).
Ma una combinazione di clima mite, aumento delle importazioni di gas naturale liquefatto (GNL) e un forte calo del consumo di gas sta permettendo all’UE di prevedere una riserva di più di 50 miliardi di metri cubi (bcm), che dovrebbero rimanere in deposito entro la fine di marzo, secondo un’analisi della Commissione Europea (Putin is staring at defeat in his gas war with Europe, POLITICO). Nell’UE sono stati installati cinque nuovi terminali galleggianti di GNL – nei Paesi Bassi, in Grecia, in Finlandia e due in Germania – che forniscono 30 miliardi di metri cubi in più di capacità di importazione di gas, con altri che entreranno in funzione quest’anno e il prossimo. Tuttavia, la capacità dell’UE di riempire gli stoccaggi al 90% prima del prossimo inverno (obiettivo UE) dipenderà da se e come verrà raggiunta un’effettiva riduzione del consumo di gas.
Misure e provvedimenti
Le evoluzioni del contesto geopolitico sui prezzi dell’energia hanno comportato decisioni drastiche ed un ripensamento delle politica energetiche nazionali e comunitarie che vanno oltre la situazione emergenziale. Tra le misure prese dalla maggior parte dei Paesi europei ci sono: crescita dell’utilizzo di biometano e di green gas, lancio di nuove esplorazioni per assicurare l’accesso a nuove riserve di gas anche attraverso la realizzazione di nuove interconnessioni fisiche (EastMed–Poseidon per l’Italia, per esempio), progetti e provvedimenti all’interno del pacchetto REPowerEU, realizzazione di un’infrastruttura adatta anche al trasporto di idrogeno.
Bisognerà anche ripensare a come sostituire le importazioni di gasolio che, negli ultimi anni, proveniva per circa il 40% dalla Russia. Nel 2022, l’UE ha importato circa 2 milioni di tonnellate di gasolio dalla Russia ogni mese. Ma da febbraio 2023, l’UE ha iniziato ad applicare un embargo sui prodotti petroliferi russi, compreso il diesel. L’UE dovrà quindi sostituire le importazioni russe, che rappresentano circa l’8% dell’offerta mensile totale, riducendo la domanda o aumentando le importazioni da altri Paesi.
L’altro lato del campo: Mosca
Nell’ultimo anno, i principali importatori russi di combustibili fossili sono stati l’UE (186 miliardi di euro), la Cina (134 miliardi di euro), l’India (43 miliardi di euro), la Turchia (32 miliardi di euro) e la Corea del Sud (16 miliardi di euro). Il petrolio greggio e i prodotti petroliferi erano le principali esportazioni dalla Russia verso questi paesi. Nel 2022, la Russia, sia a causa delle sue politiche che delle sanzioni imposte, ha perso parte del suo mercato dei combustibili fossili e quindi è stata privata delle entrate per il suo bilancio, rendendo più difficile finanziare la sua aggressione militare in Ucraina. A gennaio 2023 i ricavi dall’esportazione sono scesi a 20 miliardi di euro. Si tratta del calo più significativo dall’inizio della guerra.
Mosca sta cercando alternative all’Europa: un compito non semplice ma possibile, soprattutto considerando il possibile aumento di domanda da parte della Cina. La Russia dovrà dotarsi di un maggiore numero di navi per l’esportazione di GNL, un circuito assicurativo proprio e accettabile ai porti di destinazione e una diversa valuta di riferimento (magari lo yuan). Ma ci vorrà tempo per raggiungere tutto ciò, un lasso che potrebbe mettere a rischio l’economia di un Paese che basa la maggior parte della sua economia sull’esportazione di idrocarburi.
Se l’emergenza energetica sembrava mettere in ginocchio l’Europa e portare in vantaggio il Cremlino, il medio termine potrebbe riportare il vantaggio alla parte europea, lasciando la Russia in balia del gigante cinese. Ma come si è visto negli ultimi mesi, il mercato energetico è imprevedibile e soggetto a rovesciamenti repentini. Solo la capacità di adattarsi rapidamente permetterà di vincere la partita energetica.