Il Presidente russo Vladimir Putin ha annunciato la mobilitazione parziale, atto che coinvolge 300.000 riservisti da inviare in Ucraina dopo un periodo d’addestramento ed aggiornamento. Si tratta di una scelta militare che fa il paio con quella politica di indire un referendum nel Donbass e negli Oblast di Kherson e Zaporizhzhia per sancire l’annessione di quei territori alla Federazione Russa.
Sia la mobilitazione parziale che il referendum sono segnali di debolezza per Putin, ma sono anche espressione della volontà dei circoli governativi moscoviti di arrivare a chiudere in fretta la partita ucraina, fermando militarmente e politicamente la controffensiva di Kiev. Infatti, scegliere di indire un referendum in territori sotto attacco, con una situazione fluida sul campo, indica tutta l’urgenza della Russia di arrivare, in tempi rapidi, ad una “pietrificazione” della nuova cartina dell’Ucraina. Da strumento confirmatorio di eventuali assetti post-bellici sanciti da una pace vittoriosa, il referendum d’annessione si è trasformato in un atto politico con funzioni contingenti, legate alla necessità di escalare il conflitto.
Secondo molti esperti, il referendum e la mobilitazione aprono, insieme, alla possibilità di un utilizzo delle armi nucleari tattiche da parte russa. Del resto, l’arma nucleare tattica è parte integrante della dottrina militare russa ed il suo utilizzo è stabilito in due casi: qualora il territorio russo fosse direttamente attaccato e se sul campo di battaglia si verificasse uno “stallo operativo” tale da richiedere l’intervento di armi in grado di sparigliare le carte e ribaltare la situazione.
A partire dal 2000, con la pubblicazione della Dottrina Militare della Federazione Russa, la dottrina post-sovietica e la strategia di sicurezza nazionale datate 1993, che ponevano seri limiti all’utilizzo delle armi atomiche, ristretti ai casi in cui ad essere messa a rischio fosse l’esistenza stessa della Russia, di fatto sono state abbassate notevolmente le soglie al di sotto delle quali è consentito e ritenuto accettabile l’uso di armi nucleari. Nel documento del 2000 c’è scritto a chiare lettere che Mosca “si riserva il diritto di utilizzare armi nucleari per rispondere a tutti gli attacchi delle armi di distruzione di massa ”, ma anche “in risposta all’aggressione su larga scala utilizzando armi convenzionali in situazioni critiche per la sicurezza nazionale della Federazione Russa”. Dunque, ad un attacco con armi convenzionali, la Russia può rispondere con la bomba atomica.
Posto che un utilizzo sul campo della bomba atomica dovrebbe essere ben ponderato e che non se ne possa parlare come un semplice caso di scuola, è evidente che la Russia abbia abbandonato, in questa terza fase della guerra contro l’Ucraina, il vecchio assioma di “escalate to de-escalate”, proprio della strategia di deterrenza nucleare sovietica, in favore di una escalation verticale che punti ad una guerra totale fino all’esaurimento fisiologico delle risorse ucraine in corrispondenza dell’aumento dell’intensità dello scontro. Fondamentale in questa fase sarà il supporto che l’Occidente potrà fornire all’Ucraina.
Circa la mobilitazione parziale proclamata, occorre fornire qualche cifra, basandosi sui dati evidenziati dal Ministro della Difesa russo Sergei Kuzhugetovich Shoigu. Per il Ministero della Difesa russo, la mobilitazione parziale è necessaria per il controllo della linea del fronte di 1.000 km e dei territori occupati in Ucraina e riguarderà coloro che hanno prestato servizio nell’esercito, coloro che hanno esperienza di combattimento e specialità militari. Verrà mobilitato l’1,1% delle risorse totali di mobilitazione, il cui bacino è all’incirca di 25 milioni di uomini.
Alla Russia di fatto servono soldati in grado di combattere in prima linea, non per semplici compiti presidiari o di polizia nei territori occupati. Inoltre molti dubbi sorgono sulle capacità del sistema logistico russo di supportare e sopportare un numero di truppe tali da superare ampiamente quelle attualmente impiegate e per le quali esso era già entrato in crisi per ben tre volte in sette mesi di guerra. Crisi che si è ripresentata violentemente di fronte all’offensiva ucraina che ha portato alla riconquista di Kharkiv, in particolare nei giorni 8-11 settembre.
Inoltre, i 300.000 riservisti mobilitati non saranno pronti alle armi prima di qualche mese e questo ne condizionerà tempi e modi di schieramento ed utilizzo. Sul campo, nel breve periodo, cambierà poco e l’iniziativa resterà nelle mani degli ucraini.
Dunque della mobilitazione e dei referendum non va discusso tanto il significato “tattico” quanto quello strategico, legato, come già scritto, all’idea russa di voler accelerare verso la fine della guerra non rallentando le ostilità ma aumentandone l’intensità. Sono atti con un significato politico, prima ancora che militare, ben preciso.