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TematicheRussia e Spazio Post-sovieticoLa Russia in Libia dallo scoppio della guerra in...

La Russia in Libia dallo scoppio della guerra in Ucraina: il controllo di Mosca sulla Cirenaica destabilizza l’Italia e l’Unione Europea 

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A febbraio 2022, l’invasione russa dell’Ucraina è coincisa con la fine del governo di unità nazionale in Libia, istituito dal “Libyan Political Dialogue Forum” (LPDF) a Ginevra nel gennaio 2021. Per cercare di capire la connessione tra lo scoppio della guerra in Ucraina e il ritorno della divisione della Libia tra Tripolitana e Cirenaica, bisogna fare un passo indietro e considerare il principale obiettivo del Cremlino: tornare ad essere una potenza mondiale. A questo proposito, nel corso del 2022, e in particolare durante i mesi estivi, l’instabilità politica libica e il controllo del Cremlino della Cirenaica attraverso i mercenari del Gruppo Wagner si sono rivelati cruciali nel destabilizzare l’Italia e, di conseguenza, nel disarticolare l’unità europea.

Mosca tra dichiarazioni ufficiali e il supporto del Gruppo Wagner 

Nonostante lo stallo della guerra in Ucraina, condannata fin dal principio dai governi di Tripoli e di Tobruk, la Russia è rimasta impegnata a preservare la sua influenza in Libia. Il 5 ottobre 2022, il viceministro degli esteri russo Bogdanov ha rinnovato l’intenzione di Mosca di riaprire la propria ambasciata nella capitale libica; l’ambasciata russa, infatti, era stata rilocata in Tunisia in seguito all’attacco militare subito nell’ottobre del 2013 da parte di alcuni uomini armati. In un’intervista all’agenzia di stampa ufficiale russa “Tass”, Bogdanov ha inoltre riaffermato l’obiettivo del suo Paese ovvero ripristinare la propria presenza in tutta la Libia, riportandola “a quella che era prima della disgregazione dell’ex Unione Sovietica”. 

Sembra quindi che il Cremlino stia riconsiderando la propria politica nei confronti della Libia, in particolare del Governo di Unita Nazionale (con sede a Tripoli) guidato dal primo ministro Dbeibah. Per anni la Russia ha infatti attivamente sostenuto le forze militari attive nell’est del Paese, soprattutto quelle del generale Haftar, acerrimo avversario del governo di Tripoli. Inoltre, Mosca è stata uno dei primi Paesi a riconoscere il Governo di Stabilità Nazionale (quello non riconosciuto dalla comunità internazionale e con sede a Tobruk) guidato da Bashagha, eletto primo ministro dal Parlamento di Tobruk a febbraio 2022. Questo recente cambio di strategia sembrerebbe proprio risultare dai diversi tentativi fallimentari di Bashaga di prendere la capitale: Mosca, pur di poter giocare un ruolo rilevante nella politica interna libica, sembrerebbe quindi disposta a sostenere il governo di Dbeibah. 

Malgrado le dichiarate intenzioni russe di voler trasformare il proprio ruolo in Libia da militare e logistico in sempre più diplomatico, la presenza dei mercenari della società di sicurezza “Gruppo Wagner” in Libia rimane consistente. Pur essendo privato, il Gruppo Wagner, fondato da un ex ufficiale delle forze per le operazioni speciali della Federazione russa, Dmitry Uktin, e finanziato dall’oligarca russo Evgenij Prigozhin, è la compagnia mercenaria utilizzata ufficiosamente da anni dal governo di Mosca per perseguire i propri scopi politici e militari. Per esempio, il Gruppo Wagner ha partecipato attivamente alle operazioni in Ucraina nel 2014, ricoprendo un ruolo importante di ausilio alle forze speciali ed impedendo ai rinforzi di Kiev di accedere alla penisola della Crimea. Arrivato poi in Libia nel 2015, il Gruppo Wagner ha addestrato la “Libyan National Army” del generale Haftar e partecipato attivamente all’assalto di Tripoli. Successivamente, la milizia è stata dispiegata a protezione di una serie di infrastrutture energetiche nella Cirenaica, tra le città di Tobruk, Bengasi, Derna e Sirte. 

Considerando il continente africano una delle priorità della politica estera russa, il Cremlino ha iniziato a impiegare attori come il Gruppo Wagner per cercare, da una parte, di approfondire le relazioni con i paesi africani a tal punto da renderli dipendenti dalle risorse militari fornite da Mosca, e dall’altra, di accedere alle loro abbondanti risorse naturali. La strategia impiegata è piuttosto semplice: i mercenari offrono ai governi in difficoltà o, come nel caso della Libia, alle fazioni più inclini al dialogo con la Russia, i propri servizi con l’obiettivo di condurre operazioni militari contro il rivale locale. In cambio, il Gruppo Wagner chiede, sempre per conto del Cremlino, il pagamento in concessioni sulle risorse naturali, contratti commerciali sostanziali, o accesso a infrastrutture strategiche, come porti e aeroporti. 

Sebbene molteplici media internazionali, come il Financial Times, riportino che il gruppo Wagner stia ritirando la propria presenza in Libia per sostenere il Cremlino nella guerra in Ucraina, i combattenti Wagner sono in realtà rimasti in controllo di basi militari e giacimenti petroliferi chiave nella Cirenaica, pronti a combattere per l’Esercito Nazionale Libico del generale Haftar per rovesciare il governo di Tripoli. 

Le attività del Gruppo Wagner, visibilmente in contraddizione con le dichiarazioni ufficiali del Cremlino, riflettono in realtà i più ampi obiettivi geopolitici russi in Libia (e più in generale in tutto il continente africano): aumentare l’influenza russa e diminuire quelle Occidentali, in particolare degli Stati Uniti e dell’Unione Europea. Inoltre, il sostengo del Gruppo Wagner al governo di Tobruk rivela come la Russia non sia minimamente interessata alla stabilizzazione e pacificazione nazionale, ma piuttosto al mantenimento dello status quo. Il controllo di importanti giacimenti di petrolio e di gas naturale da parte del Gruppo Wagner permette al Cremlino di sorvegliare il razionamento delle forniture di gas naturale. Allo stesso modo, l’instabilità politica libica rende ancora più incontrollabili i flussi migratori vero l’Europa. Entrambe le conseguenze di questi fenomeni possono poi essere facilmente strumentalizzate dalla Russia per fare pressione sulle potenze occidentali e costringerle verso risultati politici favorevoli al Cremlino. 

L’Italia (e l’Unione Europea) nel mirino del Cremlino 

Nel corso dell’estate 2022 l’Italia è stato il Pease che ha risentito di più della presenza del Cremlino in Libia, sia dal punto di vista dell’approvvigionamento energetico che dal non governo dei flussi migratori. Dall’inizio del conflitto in Ucraina, nel tentativo di tagliare le proprie importazioni di gas russo, l’Italia avrebbe interesse ad aumentate le importazioni energetiche dalla Libia. Tuttavia, nel 2022 la Libia, le cui principali risorse di gas naturale sono sotto il controllo del Gruppo Wagner, ha ridotto del 27% le forniture all’Italia. Il gasdotto in questione, il “Greenscreen”, è da anni in sottoutilizzo: potrebbe far arrivare in Italia 10 mld di Mc di gas naturale, ma nel 2021 ne ha fatti arrivare soltanto 3, ridotti a poco più di 2 nel 2022. Ci sarebbero quindi circa 8 mld di Mc di gas disponibili all’anno che, a causa della situazione politica in Libia, non possono essere immessi nella rete italiana.  

Per quanto riguarda invece il non governo dei flussi migratori, durante i mesi estivi, in particolare dopo la caduta del governo Draghi, il “Telegraph” riporta che sono stati migliaia i migranti ad aver lasciato le coste libiche per intraprendere l’ultimo tratto della rotta del Mediterraneo Centrale: 39mila contro le 27,771 del 2021. La maggior dei barconi arrivano dalla Cirenaica, principalmente dalla città costiera di Tobruk, regione libica dove ci sono tra 2000 e 5000 uomini del Gruppo Wagner (non sorprendentemente, la riduzione dei flussi dall’est del Paese era stata garantita fino allo scoppio della guerra in Ucraina dall’Egitto e dalla Russia). Si tratta di numeri di migranti assolutamente gestibili, ma che se inquadrati in ottica elettorale possono essere potenzialmente soggetti ad una speculazione mediatica e allarmistica. Il 29 luglio 2022, una fonte qualificata dei servizi segreti italiani ha dichiarato a “La Repubblica” che la Libia “è un cannone puntato sulla campagna elettorale. L’immigrazione è forse l’arma più potente per chi ha interesse […] a interferire sul voto di settembre”.  

La strumentalizzazione dei migranti rende inoltre evidente la necessità dell’Unione Europea di sviluppare un efficace piano comunitario per la gestione delle migrazioni: finché i flussi migratori verranno gestiti singolarmente e per mezzo degli strumenti di esternalizzazione, vale a dire delegando ai Paesi di origine e di transito la gestione dei flussi migratori in cambio del sostegno economico da parte dell’Unione Europea e degli Stati membri, i Paesi terzi (sia di origine che di transito) continueranno ad utilizzarli come arma di ricatto per raggiungere i loro obiettivi politici ed economici. Nel caso dei flussi in partenza dalla Libia, il loro aumento non ha solamente indebolito la coesione a livello europeo, ma anche garantito il rinnovo del tanto contestato Memorandum Italia-Libia, a vantaggio delle milizie libiche alleate con il Gruppo Wagner. Anche dietro queste dinamiche si può facilmente identificare la mano del Cremlino: l’accusa che la Russia stia usando i migranti libici per destabilizzare l’Italia e quindi l’Unione Europea arriva meno di un anno dopo l’invio, da parte del Presidente bielorusso Lukashenko, fedelissimo alleato di Putin, di migliaia di migranti provenienti dal Medio Oriente (per la maggior parte dall’Iraq) verso i confini con Lettonia, Lituania e Polonia, causando la costruzione di un muro tra Polonia e Bielorussia e scatenando una lite all’interno dell’UE sulla tutela dei diritti umani. 

Tramite questi meccanismi, la Libia, pur essendo un Paese geograficamente lontano dalla Russia e dal conflitto in Ucraina, nel corso del 2022 è stata trasformata da Mosca in un altro “campo di battaglia”, dove, tra tagli alle forniture energetiche e controllo dei flussi migratori, vengono colpiti gli interessi socioeconomici dell’Italia e conseguentemente dell’Unione Europea. 

Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul numero di Matrioska del 21/12/2022

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