I tentativi di riavvicinamento tra la Federazione Russa e il Giappone sono ormai diventati un appuntamento ciclico. Fin dai primi giorni in carica, il primo ministro giapponese Yoshihide Suga non si è smentito e ha riaffermato la necessità di stringere rapporti non solo economici con il vicino russo. Gli ostacoli per il reset sono però più strutturali e insormontabili di quanto si pensi.
L’eterna questione tra Russia e Giappone è ancora una ferita aperta. Nel corso del tempo entrambe le parti hanno cercato di tamponarla in un modo o nell’altro. È quello che sta facendo anche l’attuale Primo Ministro giapponese, almeno verbalmente.
Alla fine del Secondo conflitto mondiale, i territori delle Curili del Sud o Territori settentrionali furono occupati dalle forze sovietiche. Con il Trattato di San Francisco del 1951, il Giappone rinunciava formalmente alle proprie rivendicazioni territoriali, ma queste isole rimasero comunque oggetto di discussione. Solo nel 1956 fu firmata una Dichiarazione congiunta, secondo la quale il Giappone avrebbe ottenuto la sovranità su Habomais e Shikotan a seguito della firma di un trattato di pace. Trattato che, tuttavia, ancora oggi non è all’orizzonte.
Sulla scia del proprio predecessore, Yoshihide Suga ha fin da subito rinnovato l’intenzione di porre fine a tale disputa. Già qualche giorno dopo l’inizio del proprio incarico, Suga ha alzato la cornetta per contattare Putin. A inizio febbraio, poi, ha espresso nuovamente l’intenzione di tornare al tavolo delle trattative con Mosca. “Il mio Paese eredita quello che è stato discusso nel summit di Singapore nel 2018 […] basandoci su quegli accordi tra i due Paesi, continueremo con le negoziazioni”, queste le sue parole.
Il peso dell’era Abe
Lo scorso agosto, le dimissioni dell’ex Primo Ministro giapponese avevano infatti interrotto un lungo percorso portato avanti con i vicini russi. L’eredità di Abe è un peso importante e si fa sentire ancora oggi. La spinta di Abe arrivava in seguito alla “parentesi Medvedev” (2008-2012), non troppo gradita a Tokyo soprattutto per la visita a gamba tesa nelle isole della discordia tra i due Paesi. Cinque mesi dopo l’inizio del suo incarico, Abe visitò la Russia per la prima volta accompagnato da oltre 120 dirigenti di alto livello e 30 amministratori delegati. L’ex premier giapponese fu uno dei pochissimi leader a partecipare alla cerimonia di inizio delle Olimpiadi invernali di Sochi nel 2014 e si trovò di fronte ad un bivio. Le sanzioni internazionali proposte da Washington andavano infatti a minare un possibile riavvicinamento tra i due Paesi.
Il 2016, in particolare, fu un anno di svolta. L’incontro di aprile tra i rispettivi ministri degli Esteri, Lavrov e Kishida, gettò le basi per raggiungere quella volontà politica necessaria a creare relazioni più distese. Hiroshige Seko, l’allora Ministro dell’Economia, arrivò addirittura ad assumere la carica di Ministro per la Cooperazione economica con la Russia, una carica istituita ad hoc quasi a sottolineare il rapporto privilegiato con i vicini russi. A dicembre dello stesso anno fu poi la volta dell’incontro tra Putin e Abe. La visita del presidente russo in Giappone dopo ben 11 anni aveva riacceso le speranze. Durante l’incontro, si parlò delle negoziazioni, di sviluppare progetti economici congiunti e di studiare possibili miglioramenti per la libertà di movimento degli abitanti delle isole contese.
Il vertice nippo-russo di Singapore nel 2018 spinse poi verso un’accelerazione delle trattative. Russia e Giappone non guardavano però ad un ipotetico accordo con lo stesso punto di vista. Se Tokyo lo vedeva direttamente come una soluzione finale, Mosca percepiva una maggiore cooperazione bilaterale come il fondamento per arrivare ad un trattato vero e proprio in futuro
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Cooperazione tra sicurezza ed economia
Le opportunità di cooperazione a livello economico sono innumerevoli, a partire dalla questione energetica e dall’Artico. Il Giappone ha investito più di 5 miliardi di dollari nel progetto Arctic LNG-2 della Novatek, acquistandone poi una quota del 10%. Ulteriori trattative nel settore energetico riguardano invece l’idrogeno, risorsa da tenere in considerazione nell’ottica di un futuro più green. Altro ambito di cooperazione riguarda invece il framework trilaterale che include anche l’India e che mira a sfruttare le risorse dell’Estremo oriente russo.
La risoluzione della disputa territoriale pone di fatti anche l’accento su un desiderio di maggiore indipedenza nella politica estera giapponese, segnata ormai da decenni di protezione statunitense. Probabilmente, un riavvicinamento con il vicino russo non porterebbe ad un cambiamento radicale. Tokyo non si discosterà da Washington, ma almeno potrebbe portare avanti una sorta di cooperazione, seppur limitata. Tale processo si potrebbe, ad esempio, tradurre in un consolidamento di quel dialogo in ambito di sicurezza avviato nel 2013, quando venne creato il format 2+2 con i rispettivi ministri della Difesa e degli Esteri. Nel Foreign Policy Concept del 2016, la Federazione riaffermò infatti la necessità di promuovere relazioni amichevoli con il Giappone anche con lo scopo di stabilizzare la regione dell’Asia nord-orientale. Quest’ultima pone i due Paesi di fronte a minacce comuni: dalla Corea del Nord alla sicurezza marittima, energetica ed ambientale. Nel 2020, ad esempio, i due Paesi hanno condotto un’esercitazione antipirateria congiunta nel Mar Arabico.
I limiti del reset
Il Giappone vede le isole della discordia come parte integrante della propria identità nazionale, mentre la Russia non può permettersi di lasciar andare la corda per una questione di onore, per non mostrarsi debole agli occhi della comunità internazionale. Gli emendamenti costituzionali dello scorso anno confermano questa posizione, vietando ogni concessione territoriale.
Ma dietro queste due visioni c’è prima di tutto un interesse sia economico che strategico. Il controllo delle isole ha risvolti importanti per la Flotta del Pacifico russa con base a Vladivostok e per la sua ampiezza di movimento per uscire dal Mare di Ochotsk. Inoltre, la Russia ha schierato i propri sistemi di difesa missilistica S-300V4 proprio su Iturup, l’isola più vicina al Giappone. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti bramano all’idea di una propria militarizzazione dei Territori settentrionali.
Avvicinarsi alla Russia per strapparla alla Cina. Questa è la tattica del Giappone. Lo ha confermato anche Abe in un’intervista rilasciata qualche settimana fa. Le relazioni tra Tokyo e Mosca, dunque, passano inevitabilmente da Pechino, ma anche da Washington.
Washington, dal canto suo, non vede questo riavvicinamento di buon occhio. Una maggiore cooperazione tra Russia e Giappone potrebbe addirittura ostacolare il mix di sanzioni e isolamento politico nei piani della Casa Bianca. Ragionamento che prende ancora più campo in un momento in cui i rapporti tra i due Paesi hanno raggiunto un livello bassissimo. Se l’estensione del trattato New START aveva riacceso un barlume di speranza, questo è stato spazzato via con la questione Naval’nyj e gli attacchi SolarWinds. L’attuale stallo tra Russia e Stati Uniti mette così a repentaglio anche la più remota opportunità di riappacificazione col Giappone. Anche l’opinione pubblica dei due Paesi conferma l’impasse e fatica a guardare oltre. Secondo un recente sondaggio, tre quarti dei giapponesi non crede in un ipotetico progresso nelle relazioni tra i due Paesi, mentre il 77% dei russi è totalmente contrario al trasferimento dei territori nelle mani giapponesi. Nonostante i passi in avanti degli ultimi anni, sia per ragioni interne, che internazionali, entrambi gli attori coinvolti sembrano non essere assolutamente disposti a scendere a patti e risolvere la questione una volta per tutte. Verrebbe da chiedersi: e se fosse troppo tardi per la risoluzione della disputa territoriale? L’ipotesi più accreditata sembra ancora essere quella di una maggiore cooperazione su più livelli, senza mai toccare questo nervo scoperto.