I recenti sviluppi del conflitto russo-ucraino riportano in auge una tematica già nota agli osservatori internazionali, ossia quella riguardante l’Unione Interstatale tra Russia e Bielorussia. Difatti, i due governi hanno annunciato congiuntamente lo spostamento di armi nucleari tattiche dal suolo russo a quello bielorusso, pur lasciando un controllo esclusivo da parte della Russia sulle armi. Quest’ultimo rappresenta un ennesimo episodio che sembra rafforzare l’idea un’entità sovranazionale di cui si è promesso molto, ma la cui attuazione non risulta ancora immediata.
La genesi dell’Unione Interstatale
L’Unione Interstatale è, formalmente, un insieme di accordi stipulati tra gli Stati di Russia e Bielorussia per favorire la creazione di un organismo sovranazionale. Il progetto affonda le sue radici sin dal 1995, pochi anni dopo la definitiva dissoluzione dell’Unione Sovietica. Proprio in quell’anno venne firmato il trattato che contribuiva alla nascita di una “Comunità tra Russia e Bielorussia”, firmato dall’allora presidente della Federazione Russa Boris Yeltsin e Alijaksandr Lukašėnka, tuttora presidente della Repubblica Bielorussa. A questo trattato ne seguirono altri due, rispettivamente nel 1997 (il Trattato per la formazione dell’Unione) e nel 1999. Proprio quello firmato e sottoscritto nel 1999, denominato Trattato per la Creazione dell’Unione Statale, viene individuato come il momento di massima formalizzazione del nascente rapporto tra i due Stati. Difatti, il trattato prevedeva, oltre alla cooperazione in ambito economico, commerciale, la circolazione delle merci e dei cittadini, anche la costituzione di organi che avrebbero sancito una piena unità politica: il Consiglio Supremo di Stato, il Consiglio dei ministri, il Parlamento dell’Unione, la Corte dell’Unione e la Camera di controllo. Questo tentativo unificatore non trovò mai una reale applicazione, in particolare con l’ascesa di Putin, il quale ristabilì nuovamente i controlli doganali – precedentemente aboliti – nel periodo 2001-2010. In pochi anni, il progetto sembrava naufragato.
L’Unione Interstatale sembra possa aver ritrovato un’attenzione grazie agli sviluppi della politica estera russa, la quale, per poter essere intesa a pieno, deve essere inquadrata in due livelli di analisi: un livello identitario e un livello strategico.
La dimensione identitaria
La retorica putiniana è sempre stata caratterizzata da una forte enfasi sulla forza propria e della Russia, sul suo – ritrovato o da ritrovare – ruolo di attore politico determinante nel sistema internazionale e, in particolar modo, sull’idea di alterità russa rispetto all’Occidente. Tutte queste matrici sono facilmente ritrovabili anche nel rinnovato teatro russo-ucraino, il quale sta costituendo il terreno di scontro tra il mondo occidentale e il mondo russo. La distinzione propugnata da Putin è di carattere ideologico: la Russia, nella sua visione, non può piegarsi alla mercè dell’Occidente, il quale, mediante l’accerchiamento dell’Unione Europea e, in particolare, della NATO, minaccia la sicurezza russa.
Questa premessa è necessaria per capire il primo motivo di rinnovato interesse della questione dello dell’Unione Interstatale tra Russia e Bielorussia. Ma procediamo con ordine: a seguito della conferenza del 10 settembre del 2021, i due Stati hanno presentato il programma dello Stato dell’Unione in 28 punti – riguardo cooperazione ed armonizzazione macroeconomica, finanziaria, commerciale, del mercato energetico (gas e petrolio), delle politiche agricole e industriali – escludendo completamente la dimensione politica degli accordi. Le risposte a questa mancanza da parte di Putin furono chiare: “Non bisogna ripetere gli errori fatti dall’UE, in cui tutti litigano e scalpitano. Bisogna prima pensare ad un’unione economica. Quella politica verrà”. A cui si aggiunse Lukašėnka con “i temi politici non sono nell’attualità”.
Questo passaggio ci rende molto chiaro come tra i due Stati vi siano delle affinità nelle volontà prospettiche future, ma dimostrano allo stesso tempo una distanza da non sottovalutare. Da un lato, si nota la presenza di un leader come Putin che asserisce la sua presa di posizione netta contro l’Occidente, tacciato come litigioso e ostile e da cui prendere le distanze, puntando verosimilmente verso un nuovo modello, mentre dall’altro si osserva un presidente quasi soggiogato al potere russo. In particolare, a seguito delle violente proteste del 2020, la Bielorussia ha sperimentato un forte isolamento internazionale e, pertanto, un ancor più profondo legame con Mosca.
Questo legame si è reso evidente anche dal cambio di atteggiamento di Minsk in riferimento all’Europa. Proprio la Bielorussia ha da sempre cercato di essere una sorta di “Paese di mezzo” tra l’Unione Europea, mostrando le proprie simpatie verso quel modello d’integrazione (con l’intenzione di provare a renderlo tale anche con la Russia), e la Russia stessa, ma a seguito delle proteste e della pesante repressione messa in atto dal governo bielorusso, si è concretizzato inevitabile un completo spostamento nell’area pienamente russa.
La dimensione strategica
La questione del cosiddetto senso d’insicurezza russo è ben nota e, mediante un’analisi storica attenta, si percepisce come si stia ripresentando una dinamica molto simile. Dopo la fine della guerra fredda e la dissoluzione dell’Unione Sovietica, la Russia ha visto arretrare i propri confini per centinaia di chilometri, allontanandola progressivamente dal cuore dell’Europa. Inoltre, la percezione di un accerchiamento militare adoperato dalla NATO, con l’espansione verso est a partire dagli anni ’90 in poi, non hanno fatto che aumentare quel senso di paranoia tanto enfatizzato anche da Putin stesso.
L’aggressione all’Ucraina risponde a questa logica, almeno nel suo intento iniziale. Inoltre, in questa visione di allargamento dei confini non può non rientrare il progetto dello Unione interstatale con la Bielorussia. La prospettiva di spostare verso ovest il confine, avvicinandosi verso quel corridoio di Suwalki che ha creato non pochi problemi alla Russia lo scorso anno, sembra un’alternativa del tutto plausibile.
Per di più, da un punto di vista meramente tattico-militare, la Bielorussia ha già mostrato tutta la sua importanza. Difatti, quest’ultima, pur non partecipando direttamente al conflitto, si è dimostrata un terreno utile al dispiegamento di forze militari russe, favorendo l’invasione dalla direttrice del confine settentrionale ucraino alla fine del febbraio del 2022. In secondo luogo, lo spostamento di armi nucleari tattiche sul suolo bielorusso risulta rispondere al comportamento dell’Alleanza Atlantica sul territorio ucraino mediante l’invio di armamenti al governo di Kyiv, secondo il ministro della difesa russo Shoigu.
L’utilizzo delle armi nucleari tattiche per la deterrenza è chiaro, ma com’è possibile che ciò avvenga? Tutto questo è possibile grazie alla modifica della costituzione bielorussa apportata nel marzo 2022, la quale – tra le altre cose – prevede la fine dello stato di neutralità nucleare della Bielorussia, consentendo il dispiegamento di armi atomiche sul proprio territorio.
Qual è il destino dell’Unione Interstatale?
Nonostante il processo d’integrazione russo-bielorusso risulti essere ancora non pienamente definito, le probabilità che lo l’Unione interstatale si formalizzi come attore di diritto internazionale unitario non è molto remota. Molto dipenderà dalla capacità di collaborazione tra i due Stati, i quali presentano entrambi dei governi fortemente personalizzati, ma di cui i rapporti di forza sono asimmetrici, tendendo a delineare un rapporto di subalternità molto forte della Bielorussia nei confronti dello Stato più potente, ossia la Russia di Putin. Infine, le prospettive di un consolidamento dipenderanno in larga parte dall’esito del conflitto in Ucraina. Questa guerra può rappresentare a tutti gli effetti uno spartiacque per la politica estera russa, stretta tra desideri di espansionismo, sicurezza e dominio.