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TematicheRussia e Spazio Post-sovieticoRussia-Armenia, un rapporto difficile nel "great-game" caucasico

Russia-Armenia, un rapporto difficile nel “great-game” caucasico

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La guerra tra Armenia ed Azerbaijan nel Nagorno Karabakh del 2020 ha aperto una profonda frattura nel rapporto tra Erevan e Mosca, considerato uno dei più solidi (quasi vitale per gli armeni) nel Caucaso.

Il conflitto iniziato il 27 settembre 2020 e terminato il successivo 10 novembre ha visto le truppe azere avanzare rapidamente in sette distretti dell’Artsakh, ribaltando il risultato della guerra del 1992-1994. La Russia e la Turchia – potenze “garanti” di armeni ed azeri – si sono impegnate per il cessate-il-fuoco e peacekeepers russi sono stati dispiegati nel Nagorno Karabakh, dal corridoio di Lachin fino ad Aghdara, nell’estremo nord della provincia separatista.

Gli scontri armati armeno-azeri del settembre 2022, con l’occupazione da parte di Baku di importanti snodi stradali per il controllo dei varchi lungo la linea di contatto, e la chiusura del corridoio di Lachin nel dicembre dello stesso anno da parte azera è stata una operazione volta a spingere, senza azioni armate, i circa 120.000 armeni dell’Artsakh ad abbandonare la propria terra o ad accettare la sottomissione, hanno esacerbato nuovamente la situazione nel già instabile Caucaso.

In questo contesto i russi, le cui energie erano (e sono) volte all’Ucraina, non sono intervenuti a sostegno degli alleati armeni, generando un profondo risentimento nel governo di Erevan. Nel novembre scorso, qualche giorno prima del blocco azero di Lachin, il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, si è rifiutato di firmare una dichiarazione congiunta del Csto caldeggiata da Putin e Lavrov. 

Ai turbolenti eventi di fine 2022 deve essere ricondotta la crisi nelle relazioni tra Mosca ed Erevan, con la seconda arrivata ormai alla conclusione che il vecchio “nume tutelare” non avrebbe più potuto – né voluto – garantire la sua sicurezza e la sua indipendenza di fronte all’assertiva e militarmente temibile Azerbaijan. 

La questione è più ampia della disputa sul Nagorno Karabakh, anche perché i combattimenti del 2022 sono avvenuti non nei territori della repubblica separatista ma lungo la “vera” frontiera armeno-azera. Segno tangibile di una chiara volontà del governo di Ilham Aliyev di annichilire l’Armenia sfruttando lo sgretolamento della “copertura politica” russa.

Ad inserirsi nella complessa vicenda sono stati gli Stati Uniti, con una esercitazione congiunta con l’Esercito armeno, proprio mentre il corridoio di Lachin viene riaperto dall’Azerbaijan

La presenza di 85 soldati statunitensi in Armenia ha scatenato l’ira di Mosca, con il ministro degli Esteri, Lavrov, che ha parlato di “tentativo della Nato di infiltrarsi nel Caucaso meridionale”. Le bandierine atlantiche non sono state piazzate sulla mappa del Caucaso solo da Washington, ma anche da Ankara, che pure nella regione gioca una partita autonoma. 

Pur essendo il grande sponsor dell’Azerbaijan nel nome della comune radice culturale e del ruolo di Baku nei progetti neo-ottomani/panturanici di Erdogan, la Turchia ha intenzione di tenere separate la questione dell’Artsakh – dove riconosce le aspirazioni azere – e quella dell’Armenia, i cui legittimi confini vanno tutelati.

La Turchia ha ripreso il dialogo con l’Armenia – i paradossi della storia – nel momento in cui la Russia – che dei cristiani armeni è sempre stata considerata la potenza protettrice, nonostante le concitate fasi della guerra civile seguita alla rivoluzione bolscevica ed alla guerra contro la Turchia del 1920 – ha scelto di abdicare “de facto” al suo storico ruolo.

I recenti lungo la frontiera armena hanno allarmato anche l’Iran, attore interessato all’evoluzione della situazione politico-militare caucasica e decisamente ostile all’idea di un rafforzamento turco nella regione. Basti pensare all’attenzione che Teheran mostra per l’evoluzione della situazione nella provincia di Syunik nota come “Corridoio di Zangezur”

I turbinosi fatti legati al conflitto azero-armeno mostrano una realtà diversa rispetto a quella dei blocchi che la guerra d’Ucraina ha, per certi versi, cristallizzato. Nel Caucaso il “grande gioco” non è semplice storia ma è “storia operante”, ancora d’attualità. 

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