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La crescita dell’influenza russa nel continente africano dall’era dell’Unione Sovietica ad oggi

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La Russia aveva già un’ influenza molto forte sull’Africa durante la Guerra Fredda. Dopo un lungo periodo di ritiro in seguito alla caduta dell’Unione Sovietica, da tempo ormai i russi stanno sviluppando una politica di ritorno nel continente africano. Il punto culminante di questa politica è stato l’importante vertice “Russia-Africa” tenutosi a Sochi nell’ottobre 2019, che intendeva suggellare ufficialmente il ritorno della Russia nel continente. Ad oggi la presenza russa in Africa non è solo economica, ma anche militare e persino paramilitare con la società di sicurezza privata Wagner e l’uso quasi esclusivo di mercenari.
Articolo precedentemente pubblicato nel primo numero della newsletter “Prisma Africano”. Iscriviti qui.

Una questione prevalentemente ideologica per l’Unione Sovietica

Per molto tempo, l’Africa per i russi è stata soprattutto la lontana Etiopia, ma la Guerra Fredda e la decolonizzazione risvegliarono improvvisamente l’interesse di Mosca per un continente fino ad allora ignorato e che stava diventando un campo di battaglia nella guerra dei blocchi. Anche nella sua lotta contro l’imperialismo, l’URSS ha scoperto l’Africa solo in ritardo, paradossalmente al momento della decolonizzazione. La base dell’influenza russa era costituita dai movimenti di liberazione marxisti e antimperialisti, che erano stati coltivati a lungo prima di arrivare al potere: più la decolonizzazione andava avanti, più cresceva l’influenza sovietica, come nel caso delle ex-colonie portoghesi, che furono soggette a lunghe guerre fino al 1975. In Angola, il campo socialista è stato mobilitato contro i portoghesi e poi contro il Sudafrica, ancora sotto il regime di apartheid. La Russia sovietica si stabilì anche in Etiopia, con la quale aveva legami di lunga data. L’importante caratteristica di essere uno Stato consolidato da tempo e soprattutto l’ideologia marxista-leninista del Derg, il potere militare emerso dal colpo di Stato del 1974 contro l’imperatore Hailé Selassié, ne facevano un alleato prezioso. Nel 1974, la Repubblica del Dahomey, colonia francese dal 1894 al 1960, aderì al marxismo-leninismo, si allineò all’URSS e divenne la Repubblica Popolare del Benin sotto il presidente Kerekou.

Ma la diplomazia sovietica non si limitava ad appoggiare regimi più o meno marxisti-leninisti. L’URSS ha stretto alleanze con l’Egitto nazionalista di Nasser (sostegno alla nazionalizzazione del Canale di Suez nel 1956, fornitura di armi, trattato di amicizia e cooperazione del 1971), con l’Algeria di Boumediene (fornitura di armi) e con il Marocco (visita del segretario generale del Partito Comunista Breznev nel 1961). Il sostegno russo all’effimero “Gruppo di Casablanca” (Algeria, Ghana, Guinea, Mali, Sudan, Libia, Marocco), che nel 1961 aveva cercato di promuovere l’unità africana sotto la bandiera dell’emancipazione anticoloniale, aveva dato il via a questa evoluzione. Già a quei tempi apparivano anche i primi interessi economici, come la bauxite della Guinea, crediti e forniture di armi, la costruzione di grandi infrastrutture, come la diga di Assuan in Egitto per la quale nel 1958 in piena guerra fredda l’URSS si propose di pagare un terzo dei costi e di fornire assistenza sia a livello tecnico che progettuale o l’esportazione di prodotti agroalimentari. La presenza russa, tuttavia, non è sopravvissuta all’indebolimento e al successivo crollo dell’URSS, né al dominio incontrastato del mondo occidentale e degli Stati Uniti per un certo periodo.

L’intermezzo dopo il crollo dell’impero sovietico

L’influenza russa era già fortemente diminuita prima della caduta del Muro di Berlino. Nel 1972 l’Egitto, incapace di ottenere le armi promesse dall’URSS in base a un trattato firmato tra i due paesi un anno prima, decise di licenziare ventimila consiglieri militari sovietici. I regimi marxisti cominciarono a scomparire gradualmente, trasformandosi spesso in vere e proprie dittature. In Mali, il socialista panafricano Modibo Keita, insignito del Premio Lenin nel 1963, fu rovesciato nel 1968. Il Congo, dove il socialista Marien Ngouabi fu assassinato nel 1977, cessò di essere una Repubblica Popolare nel 1992. Nel 1992, l’Angola eliminò ogni riferimento al marxismo-leninismo dalla sua nuova costituzione e rifiutò il nome di “Repubblica Popolare”, aprendosi alle compagnie petrolifere occidentali. La Repubblica Popolare del Benin, dopo il fallimento economico riconosciuto dal presidente Mathieu Kerekou, rifiutò il “lassismo-leninismo”, come era conosciuto localmente, e si orientò verso un regime liberale nel 1990. In ogni caso, anche se alcuni Paesi si ispiravano apertamente all’URSS nella loro gestione economica e politica, il “socialismo africano” era soprattutto caratterizzato da nazionalismo, panafricanismo e poteri forti. Non implicava necessariamente un allineamento internazionale con le posizioni di Mosca, tranne che per l’Angola all’inizio, Mozambico, Etiopia e più tardi la Somalia. Numerosi Stati africani hanno a lungo lamentato il fatto che la Russia non fornisse alcun aiuto allo sviluppo, sottolineando solo il suo sostegno alle lotte emancipatorie contro il colonialismo. I fallimenti economici della nazionalizzazione, il potere delle economie occidentali, l’abbondanza dei loro aiuti finanziari e l’attrattiva del loro modello politico hanno contribuito a far svanire l’influenza russa.

Il ritorno della Russia guidato dal pragmatismo economico

C’è voluto del tempo perché la Russia post-sovietica tornasse nel continente africano. Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, la neonata Federazione russa si era vista costretta a ridimensionare le proprie ambizioni globali, incluse quelle nel continente, dove nel 1992 vennero chiuse nove ambasciate e quattro consolati. A partire dagli anni 2000, però, vi è stata una decisa ripresa delle relazioni economiche e politiche tra Russia e Paesi africani, tanto che l’interscambio commerciale è aumentato del 470% tra il 2005 e il 2018 (da 3,4 miliardi di dollari nel 2005 a 19,5 nel 2018). Le visite del Presidente Putin in Sudafrica – che nel 2011 è entrato  a far parte  nel gruppo BRICS (Brasile-Russia-India-Cina-Sudafrica) – e in Marocco nel 2006, poi in Libia nel 2008, hanno segnato l’inizio del ritorno di Mosca. Il suo successore temporaneo, Dmitry Medvedev, ha allargato il cerchio visitando Egitto, Angola, Nigeria e Namibia nel 2009. Nel 2010 è stato organizzato un incontro di ministri e parlamentari africani a Mosca e le ambasciate sono state riaperte una dopo l’altra. Ad oggi 40 ambasciate russe sono  mobilitate in Africa per promuovere gli interessi economici di Mosca. L’obiettivo era quello di aprire la porta alle grandi imprese russe del settore minerario e metallurgico e vendere armi e cereali. Le imprese russe hanno iniziato così a censire le risorse del continente. Oltre alla presenza di lunga data del colosso minerario russo Rusal in Guinea-Conakry e in Nigeria, gli imprenditori russi del Consorzio AAR (Alfa-Access-Renova) sono apparsi in Namibia, Sudafrica e Gabon per il manganese, in Angola e nella Repubblica Centrafricana per i diamanti con il gruppo Alrosa, per l’oro in Sudafrica, Botswana e in Sudan, e in Libia e Ghana per il petrolio con la compagnia Lukoil. In quest’ultimo Mosca ha consolidato la sua presenza attraverso il progetto Deepwater Tano/Cape Three Points, situato al largo del Ghana nel Golfo di Guinea, al confine con la Costa d’Avorio. La banca VTB, una delle più grandi banche russe, costretta nel 2019 a sbarazzarsi della sua filiale africana a causa delle sanzioni economiche dopo l’annessione della Crimea, ha firmato nello stesso anno un accordo con la Afreximbank del Cairo, che finanzia le sue operazioni di import-export in tutta l’Africa.

Ma la presenza russa non si è limitata alle materie prime; si è manifestata anche con la costruzione e il potenziamento di ferrovie in Algeria e in Libia (progetto firmato durante la visita di Putin nel 2008 per la costruzione di una linea ferroviaria tra Sirte e Bengasi, oltre a tutta una serie di altri accordi tra cui la risoluzione del debito libico, e messo alla prova dall’intervento occidentale contro Gheddafi), la vendita di quattro reattori nucleari all’Egitto e la firma di accordi di cooperazione nucleare con una ventina di Stati africani, tra cui Nigeria, Sudan, Etiopia e Rwanda. Questa serie di azioni è stata politicamente sancita al Vertice russo-africano di Sochi nell’ottobre 2019, dove circa 40 capi di Stato sono accorsi per presentare i loro progetti, ottenere sostegno, sviluppare il commercio, affrontare le questioni di sicurezza e negoziare il sostegno nelle votazioni delle Nazioni Unite. La nuova presenza russa non ha suscitato inizialmente particolari preoccupazioni in Occidente, in quanto si inseriva nell’ambito dell’apertura economica del continente al mondo, in settori in cui la Russia era competitiva ed entrava nel normale gioco della concorrenza. La situazione era diversa per i problemi di sicurezza.

Sicurezza e influenza: la mossa della Russia

Tradizionalmente la Russia vendeva agli Stati africani equipaggiamenti militari. Questi contratti facevano parte di accordi di cooperazione militare – principalmente per l’addestramento – i primi dei quali sono stati rinnovati con i tradizionali “clienti” della Russia (in particolare Mozambico e Guinea-Conakry). La Russia è così diventata il principale fornitore di armi dell’Africa. Ma il processo si è accelerato dall’inizio della crisi ucraina nel 2014. Ha preso una piega più aggressiva nei confronti dell’Occidente, in particolare della Francia. A fronte di meno di una dozzina di accordi prima del 2017, la Russia ha firmato, nei tre anni successivi, dieci nuovi accordi con Paesi che non avevano mai firmato un accordo di cooperazione militare con Mosca (Niger, RCA, Tanzania, Zambia, Madagascar, Botswana, Burundi, Guinea-Bissau, Sierra Leone, Eswatini). Inoltre, va notato che questi accordi sono di tipo nuovo. Oltre alle tradizionali voci sull’addestramento, la fornitura di equipaggiamento, lo scambio di intelligence, la lotta al terrorismo, alla criminalità o alla pirateria, spesso prevedono implicitamente o esplicitamente l’impiego di consiglieri militari per proteggere le personalità al potere, se necessario con milizie private o mercenari del gruppo Wagner guidato da Yevgeny Prigozhin, uno stretto collaboratore di Putin. Garantire la sicurezza presidenziale contribuisce a perpetuare poteri autoritari vicini agli interessi russi, come il Presidente Touadéra nella Repubblica Centrafricana, dove il Ministero della Difesa russo ha una rappresentanza permanente. Una volta firmato, un accordo di questo tipo trasforma il Paese in un alleato quasi inespugnabile di Mosca. Lo stesso vale per il dispiegamento di consiglieri, militari o mercenari, intorno a siti economici di interesse per la Russia: è il caso del Sudan,  del Mali o del Madagascar. L’installazione di una rete di punti di appoggio economico-militare è accompagnata da un’efficace campagna mediatica che mette in evidenza il contributo della Russia allo sviluppo e alla difesa del Paese, il suo passato coloniale senza macchia, la sua passata partecipazione alla lotta antimperialista e soprattutto il suo rifiuto di dare lezioni di democrazia e di condizionare tutti gli aiuti ad essa. Mentre l’Africa diventa sempre più connessa, i social network vengono utilizzati intensamente per diffondere fake news, informazioni inventate o voci malevole sulle ex potenze coloniali. Questo approccio ha avuto inizialmente risultati spettacolari, soprattutto nell’Africa francofona. 

Nel Sahel, Mosca non ha esitato a porsi come concorrente della Francia, considerata ostile su molte questioni (Siria, Libia, Ucraina, Bielorussia). È vero che l’intervento francese contro i jihadisti, inizialmente accolto con favore, è stato oggetto di numerose critiche per la sua presunta inefficacia, denunciata più e più volte dalla propaganda russa, mentre l’intervento russo è invocato dall’opinione pubblica. Il nuovo governo maliano del colonnello Goïta ha chiesto il ritiro della forza francese Barkhane (dispiegata nella regione dal 2014 e terminata ufficialmente nel novembre del 2022) e ha fatto appello alla compagnia privata russa Wagner, che sta occupando con grande successo i campi evacuati dalla Francia, mettendo al contempo le mani sui giacimenti d’oro. In RCA, Wagner ha ottenuto la gestione delle risorse doganali per pagare i suoi servizi e si è appropriato della produzione di diamanti attraverso la società diamantifera Diamville. Dei 35 Stati che si sono astenuti dal voto il 2 marzo 2022 all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, circa la metà erano africani, segno di un sostegno silenzioso e di un successo della diplomazia russa. La Russia sta facendo la sua parte in Africa.

I limiti della spinta russa

L’offerta di sicurezza russa è certamente in competizione con la politica francese. Ma finora i “consiglieri militari privati”, su cui fa affidamento per la maggior parte, non combattono molto, limitandosi in linea di principio all’addestramento e alla sicurezza dei presidenti. L’influenza russa si sta diffondendo con poche risorse (qualche migliaio di mercenari sul continente) e un grande senso di opportunità. La situazione potrebbe cambiare, visto che finora le prestazioni di Wagner hanno avuto risultati a dir poco contrastanti. Infatti, oltre ai numerosi abusi documentati dalle Nazioni Unite, il gruppo Wagner è stato  costretto ad evacuare, dopo perdite significative, dalle zone di combattimento in Mozambico contro i ribelli islamisti che vietano lo sfruttamento del gas da parte del governo. Infine, il gruppo non è riuscito a impedire il cambio di potere in Sudan. 

La guerra in Ucraina ha lasciato perplessi molti governi africani che si sono mostrati ben disposti verso Mosca. 16 Stati africani – la maggior parte dei quali ha accordi di cooperazione militare con Mosca ad eccezione dell’Etiopia – si sono astenuti dal votare la risoluzione dell’Assemblea Generale del 2 marzo 2022 che chiedeva il ritiro delle truppe russe dall’Ucraina. Le sanzioni economiche occidentali limiteranno la crescita degli affari russi e la redditività degli investimenti esistenti. Sottoposta alla concorrenza di nuovi partner (Cina, Turchia, India) e di quelli vecchi (Francia, Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Giappone), forse la Russia non riuscirà a estendere ulteriormente le sue mire geopolitiche ed economiche nel continente. Le capacità finanziarie e l’influenza economica di Mosca sono state duramente colpite dalle sanzioni. Inoltre, il deterioramento dell’immagine della Russia che ha seguito l’invasione dell’Ucraina non potrà non avere degli effetti. Il confronto, ormai scontato, limiterà probabilmente le sue possibilità. Infine, rispetto al Medio Oriente, all’Asia o all’Europa, l’Africa non gode di un alto livello di priorità agli occhi delle autorità russe, il che potrebbe spiegare l’uso quasi esclusivo di mercenari per la cooperazione sul campo. La Russia è tornata, la sua influenza politica sta crescendo, la sua presenza economica si sta rafforzando, i suoi soldati privati si stanno diffondendo, ma ha probabilmente raggiunto il limite della sua espansione nel continente.

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