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Il ruolo dell’Africa nella governance della salute pubblica tra vocazione continentale e burden of disease

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Il binomio Africasalute è uno di quelli che da sempre ha suscitato una forte attenzione da parte della comunità internazionale. A più di 30 anni di distanza dalla liberazione dell’Africa australe, il continente ha aumentato notevolmente il proprio interesse e la propria consapevolezza verso il tema. Tuttavia, ad oggi non sono stati registrati progressi tali da costituire una radicale svolta nel settore sanitario, mentre la crisi pandemica del Covid-19 sembra aver ulteriormente aggravato la situazione.

L’agenda strategica dell’Africa per il diritto alla salute

A partire dagli anni Novanta, in concomitanza con la conclusione del processo di decolonizzazione, le istituzioni continentali africane iniziarono gradualmente ad ampliare e ritagliarsi un proprio spazio d’intervento nel settore sanitario, culminato soprattutto in seguito all’introduzione dei Millennium Development Goals (MDGs) e alla fondazione dell’Unione Africana (UA). Ad oggi, la sua azione è fondamentale a garantire una visione condivisa che possa gettare le basi per una regolazione coerente e coordinata delle politiche sanitarie degli Stati africani e, non meno importante, al riconoscimento e alla promozione dei diritti annessi allUniversal Health Care (UHC).

Il più rappresentativo indirizzo strategico di policy è dato dall’Africa Health Strategy 2016-2030, un documento programmatico che raccoglie e rinnova l’impegno a perseguire tutti gli obiettivi relativi alla salute (nella più ampia estensione concettuale del termine) elaborati nelle varie arene continentali e multilaterali: su tutti, è doveroso menzionare l’Agenda 2063 dell’UA e, naturalmente, il quadro fornito dai Sustainable Development Goals (SDGs). La strategia nel complesso poggia su alcuni principi essenziali: coerentemente col passaggio dai MDGs ai SDGs, il diritto alla salute integra l’idea base di lotta e prevenzione delle malattie con la piena accettazione della sua natura di diritto umano fondato sull’idea di UHC, ponendo quindi un forte accento sugli aspetti legati alla piena accessibilità e alle effettive capacità dei servizi sanitari; l’adozione di un approccio olistico che riconosca il potenziale della salute come fattore di sviluppo; un’azione guidata da una visione di unità in senso pan-africano.

Nella pratica, anche se la guida delle istituzioni africane costituisce sicuramente un aspetto determinante per il successo della politica sanitaria del continente, essa non ha una forza normativa vincolante; sono i singoli Stati africani a rimanere depositari del potere decisionale sulle proprie politiche interne in materia di salute pubblica, al netto delle limitate capacità finanziarie a loro disposizione. In altre parole, il connubio della governance della salute si regge sull’azione congiunta di un’importante forza di indirizzo ed advocacy rappresentata dall’UA (in congiunzione con OMS e ONU) e nella sua capacità di creare le condizioni per un efficace coordinamento delle politiche nazionali dei suoi Stati membri, fermo restando l’importanza degli attori della cooperazione internazionale, sia multilaterale che bilaterale.

Uno sguardo sullo stato di salute dell’Africa

Al netto delle premesse positive descritte sin qui, la realtà sanitaria dell’Africa appare ancora drammatica: sebbene ci sia un consenso condiviso nel riconoscimento dei progressi registrati nel corso degli ultimi decenni, è altrettanto vero che il continente continua a registrare la peggior performance tra le varie aree regionali del globo.

Secondo il più recente rapporto annuale dell’OMS, il World Health Statistics 2022, nel 2019 le morti legate a malattie trasmissibili, maternità e malnutrizione in Africa costituivano più del 50% del totale, la percentuale più alta tra le varie regioni del mondo.

Anche sul versante delle infrastrutture sanitarie si registrano conclusioni negative: al 2020, gran parte dell’Africa sub-sahariana registrava una densità di posti letto degli ospedali al di sotto della soglia minima di 18 per 10000 abitanti; la spesa pubblica destinata alla sanità da parte dell’Africa (così come delineata secondo il raggruppamento del relativo ufficio regionale OMS) nel 2019 si attestava al 5,3% del PIL, garantendole una quinta posizione su sei regioni, che resta tuttavia insufficiente se messa in relazione con le effettive esigenze della regione, che è stata capace di assicurare solamente il 47,4% dell’accesso potenziale ai servizi essenziali.

Salute e sviluppo in Africa tra covid e cooperazione internazionale

Le condizioni di costante persistenza delle limitate capacità dell’Africa riguardo alla salute sono largamente influenzato da dinamiche geopolitiche negative che attraversano il continente: crisi climatiche, fragilità socio-politiche, conflitti armati sono tutti fattori che inevitabilmente compromettono la qualità dei servizi sanitari messi a disposizione da diversi Stati africani. Si tratta di tutti quei fattori non direttamente collegati alla sfera della salute che, come specificato in precedenza, rientrano nelle ragioni del riconoscimento di un approccio olistico al diritto alla salute, ovvero che ne riconosca la multidimensionalità.

Ed è sotto questa lente che l’Africa si inserisce in un contesto internazionale dove il peso delle disuguaglianze tra le regioni appare particolarmente evidente: lo stress sanitario patito dall’Africa in termini di burden of disease, o “il peso della malattia”, diventa paradossalmente sia causa che conseguenza degli stessi limiti del settore sanitario. Ma l’elemento di divergenza della cooperazione internazionale nell’ambito della salute si è sicuramente ampliato in seguito alla pandemia globale del Covid-19: essa ha rappresentato un maggiore game-changer nelle politiche di cooperazione allo sviluppo per la salute. Con la diffusione dell’emergenza sanitaria nei paesi del Nord del mondo hanno ridefinito e riscritto i “tradizionali” schemi di intervento nel settore sanitario, mossi dalle esigenze di contenimento della recessione economica interna ai propri Paesi. Una delle conseguenze più immediatamente visibili di questo aspetto è data sicuramente dalla controversa gestione della distribuzione dei vaccini, che l’attuale direttore generale dell’OMS – l’etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus – definì un potenziale «catastrofico fallimento morale».

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