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Rojava. Il Kurdistan siriano tra l’utopia indipendentista e il confederalismo di Öcalan

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La guerra civile esplosa nel 2011 e le vittorie contro lo Stato Islamico hanno generato nuove opportunità per la minoranza curdo-siriana. Essi, con la vittoria governativa ormai prossima, stanno tentando di proteggere l’autonomia conquistata.

Nel 2012, a seguito dell’inasprimento della guerra siriana, le forze governative, per proteggere il cuore del paese, furono costrette a ritirarsi dalle aree abitate dalla minoranza curda. Il nordest del paese passò sotto il controllo delle milizie curde dell’Unità di Protezione Popolare (YPG), ala militare del Partito dell’Unione Democratica (PYD). Protagonisti della resistenza di Kobanê e di numerose vittorie contro l’ISIS, i curdi dichiararono l’autonomia dei cantoni di Afrin, Jazira e Kobanê. Con questi importanti avvenimenti, il Kurdistan siriano acquisì autonomia politica de facto, con i cantoni di Kobanê, Jazira, Şehba e Afrîn, riuniti dal 2016 nella federazione autonoma democratica Rojava (in curdo: Rojavayê Kurdistanê, “Kurdistan Occidentale”). Il Rojava è una federazione con un sistema repubblicano parlamentare pluralista e decentrato, diviso in quattro cantoni basati sui principi dell’autogoverno.

Il Confederalismo di Öcalan

La forma di governo del Rojava è basata sulla teoria del confederalismo democratico formulata dal leader curdo-turco Abdullah Öcalan, nei saggi scritti in isolamento in prigione, Democratic Confederalism (2012) e Liberating Life: Woman’s Revolution (2014). Il confederalismo democratico teorizzato da Öcalan è ispirato ai principi del municipalismo libertario e della democrazia senza Stato orientata al femminismo e all’ecologismo di Murray Bookchin, alla teoria del sistema-mondo di Wallerstein e alle teorie del nazionalismo di Benedict Anderson. Öcalan ha più volte dichiarato la sua conversione ideologica verso obiettivi che non conducessero più alla lotta armata e a uno Stato totalmente indipendente per i curdi, ma solo all’ottenimento di una maggiore autonomia e diritti per il suo popolo. Öcalan ha teorizzato la sua società ideale come una società democratico-ecologista che superi il concetto di Stato-nazione. Essa deve fondarsi su un’autonomia in cui i processi decisionali siano totalmente in mano al popolo e in cui le donne occupino un ruolo essenziale. Concetti necessari sono, inoltre, il rispetto dei diritti umani, delle libertà fondamentali, della partecipazione democratica, del pluralismo etnico, religioso e linguistico. Öcalan nei scuoi scritti afferma di essersi reso conto che è possibile superare l’idea di Stato-nazione, poiché «le nazioni stesse erano la realtà più insignificante, formate sotto l’influenza del capitalismo», giacché «il modello di Stato-nazione era una gabbia di ferro per le società» e «la libertà e la comunità sono concetti più importanti». Öcalan scrive, inoltre, che il partito-stato gerarchico, rappresentato dal PKK, era una contraddizione rispetto alle ambizioni del popolo curdo di democrazia, libertà ed eguaglianza. Egli abbandona, dunque, l’idea di uno Stato-nazione per i curdi, generato a suo dire dell’ideologia del capitalismo mondiale, e propone un modello di “dual power”, fondato su una confederazione dei curdi e degli altri popoli che vivono nella regione, tramite un autonomia delle strutture statali e «la creazione di strutture alternative di governance politica ed economica». […] Ciò che differenzia nettamene il confederalismo democratico proposto da Öcalan è l’idea della liberazione della donna e la sua centralità all’interno della società. Per il leader curdo, la donna è «combattente durante la rivoluzione», ma «le strutture del patriarcato tendono inevitabilmente a riportarla ai suoi ruoli tradizionali di moglie e madre». Öcalan, invece, teorizza che «la soluzione ad ogni problema sociale in Medio Oriente deve tenere in considerazione la posizione della donna». La liberazione della donna e il suo pieno inserimento nel contesto istituzionale e sociale, possono condurre alla soluzione sia della questione curda, che a quella della debolezza degli Stati Arabi e mediorientali.

I rapporti con il governo siriano

Il presidente siriano al-Assad e il suo governo, quando i curdi-siriani iniziarono a occupare diverse città nel nordest del paese e a organizzarsi politicamente e militarmente, non si opposero, sia perché non avevano uomini e mezzi per combattere su più fronti, sia per la loro mancata alleanza con l’opposizione, considerandoli il problema minore rispetto ai ribelli e ai terroristi islamisti. In Siria, ove i curdi rappresentano l’11% della popolazione totale, per anni la lingua curda non ha goduto di alcun riconoscimento legislativo e quindi non poteva essere adoperata nelle scuole pubbliche, nei canali televisivi e nelle stazioni radiofoniche. Negli ultimi anni, con l’aggravarsi della guerra in Siria e con l’ascesa di PYD e YPG, il governo di Baššār al-Assad, consapevole dell’importanza curda nella lotta allo Stato Islamico e alla difesa dei confini nordorientali, ha disposto alcune concessioni alla popolazione curda, tra cui il riconoscimento della cittadinanza siriana e la possibilità di festeggiare il Newroz, la festa nazionale curda. La motivazione di tali riconoscimenti è da rintracciare, inoltre, nel fatto che il governo di Damasco era ben consapevole che un eventuale indipendenza del Rojava, avrebbe comportato notevoli danni economici al paese. Il Kurdistan siriano, infatti, è passaggio geostrategico fondamentale per le pipeline di petrolio e gas che dovrebbero arrivare in Europa, sia dai paesi del Golfo Persico che dall’Iran. L’importanza dell’area è dovuta anche alla consistente presenza di risorse idriche e cerealicole. Il Kurdistan siriano forniva, infatti, sino al 2011 il 70% del fabbisogno cerealicolo dell’intera Siria. Nell’area è considerevole, inoltre, la presenza d’importanti giacimenti petroliferi, quali: Al Omar, Kerashuk, Ramelan e Zarbe. La vittoria totale del governo di Damasco, ormai prossima, condurrà ovviamente a una resa dei conti con i vertici curdi. Al-Assad e i vertici governativi e militari, non sono mai stati un alleato e i curdi sanno che Damasco, risolta l’incognita di Idlib e delle ultime sacche di resistenza jihadista, tornerà ad occuparsi anche del nordest.

Esiste una soluzione?

In tale contesto, il destino dei curdi-siriani è nelle mani degli attori internazionali loro alleati. Difficilmente però USA, GB e Francia, con la Russia sempre più protagonista da un punto di vista diplomatico, potranno continuare a sostenerli qualora dovesse cadere l’elemento giustificativo della lotta allo Stato Islamico. L’autonomia legata al confederalismo democratico proposto da Öcalan è una potenziale soluzione, poiché permetterebbe la creazione di regioni autonome (gli attuali cantoni) con alla base la società civile organizzata in assemblee e consigli locali autogestiti, che porterebbe a un miglioramento sia della situazione dei diritti umani che della gestione economica, delle risorse energetiche e economiche. Il leader curdo nei scuoi scritti afferma che la richiesta curda è quella di «[…] una nazione democratica che rispetti i popoli, le culture ed i diritti». I curdi «devono essere liberi di organizzarsi in modo tale da poter vivere la propria lingua e cultura e da potersi sviluppare economicamente ed ecologicamente». Quanto pensato dal leader curdo è possibile soltanto con una costituzione democratica e una struttura giuridica che garantisca il rispetto delle diverse etnie. Da quando il governo di Damasco ha ripreso il controllo di gran parte del paese, sono stati avviati i primi contatti con i vertici curdi del Rojava, che si sono detti disposti a trattare con il governo centrale. Essi hanno chiesto la piena autonomia dei cantoni, l’aiuto dell’esercito governativo nella battaglia contro le forze filo-turche a Idlib e Afrîn e il ritiro immediato di tutti i militanti iraniani nel paese.

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