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Il ritiro americano dall’Afghanistan nella prospettiva di Russia e Cina

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Il ritiro americano dall’Afghanistan, dopo venti anni di permanenza, ha aperto nuovi scenari per quanto riguarda lo scenario della sicurezza regionale. La Russia e la Cina hanno considerato il ritiro come un ulteriore segno del declino occidentale e una possibilità di giocare un nuovo e più rilevante ruolo in Asia centrale. In questo articolo si analizzano i punti di vista di Mosca e Pechino.

L’Afghanistan condivide i confini con l’Iran, il Pakistan, la Cina e tre repubbliche ex sovietiche, rientranti sotto l’influenza della Federazione Russa. Questi paesi sono interessati ad uno stato afghano stabile, che non rappresenti una base per gli estremisti islamici né origine di flussi di profughi causati dalla guerra civile. Inoltre le ricchezze minerali afgane, soprattutto rame e litio, esercitano una forte attrazione, per cui l’Afghanistan è destinato a rimanere un punto caldo dello scenario geostrategico.    

Il ritiro americano visto da Est

Il ritiro americano dall’Afghanistan nell’agosto 2021 è stato interpretato dalla Russia come un ulteriore segno di declino dell’egemonia americana e della debolezza dei sistemi democratici occidentali. Secondo questa visione, il ritiro dall’Afghanistan approfondisce la crisi dell’identità americana e testimonia la crescente instabilità e vulnerabilità delle democrazie occidentali e della loro politica estera. Agli occhi di Mosca si è trattato della prova che l’ordine mondiale unipolare seguito al crollo dell’URSS è in via di disfacimento e un nuovo mondo multipolare è prossimo. Il fallimento occidentale in Afghanistan è visto da Mosca come un’ulteriore pietra miliare sulla strada per un ordine mondiale multipolare in cui gli Stati Uniti sono solo una grande potenza tra le altre, subendo tra l’altro, pressione cinese. Il ritiro delle truppe della NATO è quindi il simbolo della nuova inaffidabilità di Washington nelle relazioni con i suoi partner e alleati in tutto il mondo, secondo la Russia, un avvertimento rivolto primo luogo all’Ucraina, da tempo attratta verso l’occidente.

Pechino ha condiviso la lettura russa del ritiro, senza però farsi sfuggire la possibilità, oltre che la necessità, di avere un ruolo più attivo nella regione. Infatti gli Stati Uniti sono stati per anni un fattore di stabilizzazione nell’area e il loro ritiro si configura come il classico buck-passing, che costringe le potenze rivali a impegnarsi in uno specifico teatro rimanendo in disparte. La ventennale presenza americana in Afghanistan, inoltre, ha consentito alla Cina un impegno limitato in Asia centrale, dandole maggiori possibilità di manovra nell’Indo-Pacifico. In controtendenza alla propria storia millenaria, Pechino ha investito ingenti risorse economiche nell’ampliamento e modernizzazione della propria flotta. Negli ultimi anni la marina cinese ha infatti aggiunto alla propria flotta l’equivalente dell’intera flotta di superficie del Giappone e potrebbe arrivare ad avere quasi il doppio delle navi di superficie della Marina degli Stati Uniti entro la fine di questo decennio. Inoltre ha svolto un’intensa attività diplomatica che le ha consentito, tra l’altro, di farsi riconoscere dalle Isole Salomone (2019) e dal Kiribati (2020) a scapito di Taiwan, migliorando il proprio posizionamento nell’Indo-Pacifico. Il vuoto lasciato dagli Stati Uniti, invece, costringerà i cinesi a investire risorse in quest’area, in competizione non solo con la Russia, ma anche con altri importanti attori regionali come il Pakistan e l’Iran, a tutto vantaggio degli Stati Uniti. Una nuova collaborazione in quest’area con Washington sarà quindi strettamente legata alle vicende Indo-Pacifiche.

Le problematiche regionali di Russia e Cina

Il ritiro americano ha aperto nuovi problemi a livello regionale per Russia e Cina. Mosca persegue tre obiettivi principali con la sua politica in Afghanistan: in primo luogo evitare che l’instabilità afgana si estenda all’interno dei propri confini in Asia centrale, ma neanche alle repubbliche proprie alleate. Ciò può dare alla Russia l’occasione di avere un maggiore ruolo come garante della sicurezza nell’area. In secondo luogo vuole evitare l’espansione del terrorismo islamista, con cui ha già avuto a che fare. Deve quindi evitare che gruppi terroristici transnazionali come l’ISIS-K o al-Qaeda utilizzino l’Afghanistan come base per attacchi verso la Russia e i suoi alleati. Infine, vuole riuscire a tenere sotto controllo il traffico di droga che costituisce una delle principali entrate dell’Afghanistan. Tutto ciò fa presupporre che Mosca riprenderà i contatti con Kabul in un’ottica di pragmatica difesa dei propri interessi. 

Anche per la Cina i principali interessi sono legati al traffico di droga e all’effetto spill-over del terrorismo. Per Pechino la maggiore minaccia è data proprio dall’ISIS-K, che si è insediata nella provincia afghana di Badakhshan, che confina con la Cina. Il pericolo è acuito dalla vicinanza con la regione autonoma dello Xinjiang, abitata dagli Uiguri che Pechino considera una minaccia nazionale. Per reprimere ogni aspirazione di questa minoranza il governo cinese ha infatti messo in pratica ferree misure di sicurezza e istituito i cosiddetti “campi di rieducazione”. 

Conclusioni

La Russia e la Cina si sono comportate in modo analogo durante il ritiro americano, lasciando passare la risoluzione ONU che invitava i talebani a consentire agli afgani che lo desideravano di lasciare il paese e non consentire che diventi un rifugio per il terrorismo transnazionale. La Russia resterà la principale garanzia di sicurezza dell’area, mentre la Cina si continuerà ad occupare soprattutto del rafforzamento della sicurezza dei propri confini. È quindi probabile che la collaborazione tra i due paesi in quest’area continuerà e che la mancanza di interesse della Cina ad investire in Afghanistan farà sì che il paese continui a dipendere dagli aiuti dell’occidente.

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