Jbeil o Byblos o ancora Gubla, recuperando la sua denominazione indigena e fenicia, è il cuore antico della civiltà mediterranea. Qui, lontano dai clangori di Beirut, le case sono di solida pietra ma l’arco tutto veneziano le alleggerisce, i tetti sono d’un rosso vivido, rigogliosi giardini interni smorzano la calura. Nel centro storico il canto del muezzin si armonizza con il suono delle campane della chiesa cristiana maronita di Saint Jean Marc. Roger Eddé, imprenditore e avvocato internazionale, ha investito su Byblos rendendola una destinazione turistica; al suo Eddé Sands i sapori sono necessariamente sincretici: il cibo arabo incontra le delicatezze francesi e italiane. Da sempre impegnato in politica, Roger Eddé è fondatore del Partito per la Pace ed è sostenitore delle riforme; appunta le sue critiche su Manzouma, il sistema, reo di aver reso il Libano povero e senza sovranità. Eddé ha concesso una riflessione a Geopolitica.info a partire dalla visita del Presidente Joe Biden in Medioriente.
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Nel suo intervento sul Washington Post, Biden ha spiegato il senso della sua missione e ha attaccato più volte l’ex presidente Trump, accusandolo di avergli lasciato in eredità un Medioriente in subbuglio. Eppure, gli Accordi di Abramo hanno inaugurato un nuovo ordine post-USA nella regione, che ha avuto conseguenze anche sulla NATO e gli Alleati: la normalizzazione dei rapporti con Israele ma anche il coinvolgimento prima di Marocco e ora pure di Tunisia, come nel vertice di Ramstein. Quale è il suo giudizio sugli Accordi e le loro conseguenze?
Biden è terribilmente indebolito a livello nazionale, molto probabilmente perderà le elezioni di midterm e dovrà affrontare un possibile impeachment e i vari problemi legali connessi allo stile di vita corrotto di Hunter Biden. Decine di informazioni dannose per lui si accumulano ogni settimana e i media conservatori le diffondono, come fanno gli speciali di Fox News e Fox Nation su Hunter e le discutibili attività di famiglia.
Non solo, Biden è già osteggiato dalla sinistra woke e dal centrosinistra dei Democratici. Additare Trump di essere stato ininfluente in politica estera non lo sta aiutando. La guerra di Putin contro l’Ucraina non sarebbe potuta accadere durante Trump.
La visita in Israele e Arabia Saudita non produrrà risultati sostanziali. Israele si concentra sul mettere in guardia Biden dal suo disperato tentativo di frenare il regime islamico di Teheran. La leadership saudita è altrettanto irremovibile nell’avvertirlo che l’Iran ha intrapreso un percorso ideologico pericoloso, frutto dell’ideologia della fine dei tempi del Mahdi, e che potrebbe utilizzare gli armamenti nucleari, anche se ciò significa Armageddon.
Per quanto riguarda la produzione di petrolio, l’Arabia Saudita è vincolata dall’Opec+ e deve coordinarsi con la Russia di Putin. In sostanza, la sua visita gli permetterà di ripristinare il rapporto personale con MBS.
Per quanto riguarda il processo politico avviato dagli Accordi di Abramo, il Regno dell’Arabia Saudita è intenzionato a proseguire in un rapporto diretto e continuativo con Israele. Il percorso è tracciato. Non c’è bisogno del coinvolgimento di Biden in prima persona. Si stanno facendo passi nella giusta direzione e l’alleanza di fatto si sta sviluppando in silenzio, per resistere alle minacce dell’Iran alla regione MENA e all’ordine mondiale.
La NATO sta spostando il suo baricentro sempre più verso Est ma sta lasciando scoperto il fronte Sud. Il Mediterraneo è ancora magmatico per la lunga scia di caos delle Primavere Arabe: la Libia non esiste più, la Tunisia ritrova pace solo con il presidenzialismo di Saïed. Nel frattempo, Russia e Cina sono sempre più presenti: la Russia militarmente in Siria, Libia ma anche in Mali e Cina economicamente in Algeria. Ritiene necessario un maggiore impegno dell’Alleanza nel contesto mediterraneo e la “riconfigurazione” immaginata da Biden possano essere d’aiuto?
La guerra di Putin in Ucraina ha rinnovato la ragion d’essere della NATO. La NATO è stata inizialmente concepita per resistere alla minaccia sovietica di dominare l’Europa. La sua missione non era inizialmente correlata a stabilire un ordine nel Mediterraneo o in qualsiasi parte dell’Asia. Ecco perché stiamo leggendo molto, ultimamente, sulla strategia degli Stati Uniti per il contenimento della Cina geo-strategicamente, non geo-economicamente. Quanto al contenimento del disegno imperiale iraniano nel Medioriente, l’alleanza abramitica che coinvolge Israele, il mondo arabo e l’Egitto è discretamente in fase di sviluppo, senza necessariamente arrivare allo sviluppo di una MENA-NATO.
In un suo recente articolo su The National News, Raghida Dergham, direttrice del Beirut Institute, ha illustrato la composizione di una “troika Russia-Cina-Iran”. Nel frattempo, Sullivan ha rivelato di avere informazioni sulla vendita di armi da parte dell’Iran alla Russia.
È in corso un “riavvicinamento” tra la Russia di Putin e la Cina, motivato dalle sanzioni economiche inflitte alla Russia. Eppure, la priorità della Cina rimane la sua economia. È probabile che la Cina faccia il possibile per aiutare la Russia a resistere alle sanzioni del mondo occidentale, perché la Cina è molte volte più vulnerabile a quel tipo di sanzioni qualora facesse una mossa inaccettabile contro Taiwan.
Ma la Cina starà molto attenta a non fare altro che alcuni interventi di soccorso nei confronti della Russia o dell’Iran. La Cina eliminerà con Washington ogni eccezione alle sanzioni nei confronti della Russia o dell’Iran.
L’Iran ha venduto droni ai russi ma la Russia potrebbe produrre autonomamente ciò che l’Iran produce. Il consigliere americano dell’NSC Jack Sullivan ha colto un punto importante: aumentare la pressione sull’Iran, più che sulla Russia. L’Iran non è, comunque, disposto a rinunciare al suo armamento nucleare, né al suo progetto ideologico e imperiale sulla regione.
I due tricolori, spesso rivali, si ritrovano nella “alleanza obbligata” del Trattato del Quirinale: entrambe hanno perso prestigio (la Francia in Libano) e presenza (l’Italia in Libia e Algeria); deboli che si uniscono ma possono agire come media potenza regionale. Possono fare qualcosa di più, insieme, nei teatri strategici del Mediterraneo?
La Francia ha miseramente fallito nel corso della storia nell’affrontare i problemi inerenti alle comunità multi-denominazionali nel Grande Libano, a causa del principio piramidale statalista francese che ha ereditato un sistema imperiale sin dalla Terza Repubblica. La Francia non ha trovato un modo per gestire la propria diversità. Per quanto riguarda l’Italia, la governance resta problematica. Il Libano dovrebbe essere riformato costituzionalmente per essere, come spesso è stato chiamato, “La Svizzera del Medioriente”. Quella riforma costituzionale è necessaria e indispensabile, propedeutica all’attuazione di ogni altra riforma.
Le ultime elezioni hanno restituito un quadro di un Parlamento libanese sostanzialmente diviso in blocchi, con una “società civile” come pendolo tra i due. Tu sei da sempre un sostenitore della riforma. C’è una maggioranza possibile?
No, non c’è una maggioranza per le riforme, sebbene siano assolutamente necessarie per la sopravvivenza stessa del Grande Libano. Sto ancora chiedendo e insistendo sulla necessità che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dichiari il Libano uno stato fallito.
Ciò consentirà al Segretario Generale Gutiérrez di formare un governo di transizione e contemporaneamente convocare una conferenza internazionale volta a riorganizzare il Libano secondo il modello svizzero, che Napoleone concepì due secoli fa per salvare il paese dalle guerre civili permanenti e dalle milizie svizzere che combattevano in tutte le guerre europee come mercenari di re, papi e imperatori. E così è nel caso del Grande Libano dall’indipendenza e dal ritiro delle forze francesi incaricate dalla Società delle Nazioni di fondare il Grande Libano dopo la Prima Guerra Mondiale.
La comunità internazionale ha commesso un cinico “errore” insistendo per organizzare recentemente le elezioni parlamentari che, secondo ogni osservatore, avrebbero permesso a Hezbollah di avere il totale controllo sulla rappresentanza della comunità sciita, mentre almeno un terzo di quella comunità mostrava di opporsi all’occupazione iraniana, attraverso la sua rete di milizie. Insomma, la comunità internazionale non sta dando al Libano l’attenzione che merita.
È opinione diffusa che il Libano debba passare attraverso una distruzione totale, alla quale può seguire una ricostruzione o una partizione differente, come nel caso dell’ex URSS o della Jugoslavia o della “partizione di velluto”, come, invece, tra la Cechia e la Slovacchia.
Un anno prima di Biden, Papa Francesco ha compiuto uno storico viaggio in Medioriente andando proprio in Iraq. I cristiani rimangono sotto attacco in Medioriente e nel resto del mondo. Ci sarà attenzione per loro?
Qualsiasi speranza per i cristiani di rimanere nella loro patria, in Medioriente, dipende dalla difficile situazione del Libano, lo Stato fondato storicamente dai suoi cristiani per i cristiani. Un esodo dal Libano e/o la perdita della specificità del ruolo dei cristiani nel governo del Libano, farà necessariamente scomparire i cristiani del Medioriente, così come gli ebrei nel mondo arabo.
La Turchia ha una tradizione imperiale millenaria, rinnovata da Erdoğan che, da sindaco di Istanbul, ha saputo offrire un modello di gestione dello sviluppo urbano per una megalopoli, da far invidia alle capitali europee. La Turchia è tornata!
Erdoğan ha portato avanti un progetto di potere, che ha ricordato ai vicini della Turchia nel Levante e oltre, l’Impero Ottomano, una nazione musulmana di credenti, che ha avuto la vita più lunga rispetto ai precedenti della Ummah musulmana. Tuttavia, il segreto della sua longevità e del successo dell’Impero Ottomano si deve al suo sistema federale e al rispetto delle specificità nazionali, tribali e confessionali, mutuato dalla tradizionale organizzazione dell’Impero Bizantino, da cui deriva la sua longevità, quasi tre volte quella dell’Impero Romano d’Occidente.
Per quanto riguarda la sua personalità, Erdoğan mi ricorda Putin. Entrambi stanno tentando, nel XXI secolo, di ricostruire uno status di potenza regionale o globale scomparso nella WWI (per la Turchia) e nella guerra fredda dalla defunta URSS. Eppure, entrambi i leader sono abbastanza pragmatici da comprendere i limiti delle loro ambizioni, a livello regionale e globale. Indispensabile e unica superpotenza del XXI secolo, gli USA possono tollerare e mantenere un rapporto di lavoro con entrambi, contenendoli e, addirittura, punendoli quando oltrepassano il limite, come per la Guerra di Putin in Ucraina. Per Washington resta la priorità del predominio nel Pacifico e del contenimento della Cina.
Erdoğan resta impegnato nella NATO. Sta cercando di bilanciare la sua connotazione islamica con il suo rapporto con Israele. Erdoğan ha chiaro che l’economia turca debba rimanere la sua priorità assoluta, puntando a rimanere in carica e cercando di far accettare, a livello regionale e globale, il suo marchio di islamismo.
È meno ideologico di Putin e il suo islamismo è molto meno radicale di quello dei Fratelli Musulmani e, dunque, molto meno dannoso per l’ordine mondiale e sicuramente migliore dell’ideologia Islamista di Mahdi alla base del Khomeinismo, che regge l’Iran.