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TematicheRussia e Spazio Post-sovieticoRiavvicinamento tra Armenia e Turchia all'orizzonte?

Riavvicinamento tra Armenia e Turchia all’orizzonte?

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Per la prima volta da oltre un decennio, le prospettive di riavvicinamento tra Armenia e Turchia sembrano più vicine che mai. Dopo quasi 30 anni di confini chiusi e nessuna relazione diplomatica, alcuni segnali indicano che Yerevan e Ankara potrebbero essere pronte a ricostruire i loro legami e a favorire la loro riconciliazione. La parziale distensione è testimoniata dalle recenti dichiarazioni dei rispettivi leader, Nikol Pashinyan e Recep Tayyip Erdoğan, che stanno mettendo da parte la tradizionale retorica ostile sostituendola con messaggi pubblici più positivi.

In una riunione di governo svoltasi il 27 agosto, il Primo Ministro armeno Pashinyan ha affermato che «l’Armenia ha ricevuto alcuni segnali positivi dalla parte turca per l’instaurazione della pace nella regione» e che Yerevan è pronta a riconciliarsi con la Turchia «senza precondizioni». A sua volta, il 29 agosto Erdoğan ha dichiarato che la Turchia «può lavorare per normalizzare gradualmente le relazioni con un governo armeno che si dichiari pronto a muoversi in questa direzione», ribadendo che «abbiamo bisogno di un approccio costruttivo nella nostra regione. Anche in caso di disaccordo, le relazioni di vicinato dovrebbero essere sviluppate sulla base del rispetto dell’integrità territoriale e della sovranità».

Uno scenario di riconciliazione, se dovesse realizzarsi, potrebbe portare a un interessante cambiamento geopolitico negli equilibri di potere nel Caucaso.

Le relazioni armeno-turche nella storia moderna e nel dopoguerra

La Turchia è stato uno dei primi paesi a riconoscere l’indipendenza dell’Armenia nel settembre 1991, all’epoca del crollo dell’Unione Sovietica. Tuttavia, le due nazioni non sono riuscite a stabilire relazioni diplomatiche. Alcuni esperti attribuiscono la causa alla posizione armena nei confronti della Turchia, in particolare per quanto riguarda la politica di riconoscimento del genocidio, il ruolo della diaspora, le rivendicazioni territoriali dei nazionalisti armeni contro la Turchia e la richiesta di revoca del trattato di Kars e dell’attuazione del Trattato di Sèvres. Dal punto di vista armeno, invece, le ragioni della mancanza di relazioni diplomatiche risiedono principalmente nelle politiche ostili della Turchia contro l’Armenia, tra cui l’ideologia panturca e le mire espansionistiche di Ankara. Tuttavia, «tutte queste risposte popolari si basano su congetture e pregiudizi. La vera risposta è molto più semplice: è stato il conflitto del Karabakh», ha affermato Arman Grigoryan, professore di Relazioni Internazionali alla Lehigh University, nella sua intervista con gli autori di questo articolo.

Fu infatti l’occupazione della provincia azerbaigiana di Kelbajar da parte delle forze armene nel 1993 a provocare una dura reazione da parte di Ankara: la Turchia chiuse i suoi confini con l’Armenia, compresi gli ingressi di Alijan-Margaran e Dogukap-Akhurik, oltre a imporre un embargo economico sull’Armenia e co-sponsorizzare la risoluzione 822 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che riconosce il Nagorno-Karabakh come parte del territorio sovrano dell’Azerbaigian.

Da allora, i rapporti tra Yerevan e Ankara sono rimasti congelati e, sebbene negli anni vi siano stati alcuni timidi accenni di una possibile distensione, nuove battute d’arresto, priorità in competizione e sviluppi regionali hanno contribuito a impedire la normalizzazione delle relazioni bilaterali.

Dopo lo scoppio della guerra russo-georgiana nel 2008, che rese inutilizzabile l’unico accesso commerciale via terra alla Russia, sono stati evidenziati i gravi rischi della posizione armena. Proprio nel 2008 si verificò un tentativo di riavvicinamento tra i due Paesi, attraverso quella che venne definita “diplomazia calcistica”. Fino ad allora, le squadre di calcio armene e turche non si erano mai incontrate, ma la nuova consapevolezza della debolezza della posizione armena portò l’allora Presidente armeno Serzh Sargsyan ad invitare il suo omologo turco, Abdullah Gül, ad una partita di calcio tra le due nazionali a Yerevan. Le interazioni scaturite da questa manovra della diplomazia calcistica hanno portato alla firma dei Protocolli di Zurigo nel 2009, che offrirono una base per ulteriori dialoghi e negoziati con l’obiettivo di ristabilire relazioni diplomatiche formali, aprire il confine internazionale e istituire una commissione congiunta di storia per affrontare la questione degli eventi del 1915. Tuttavia, le pressioni esercitate da Baku su Ankara per impedire la normalizzazione delle relazioni bilaterali a causa del mancato ritiro delle truppe dai territori occupati dell’Azerbaigian portarono al fallimento della ratifica dei Protocolli. Da allora, il congelamento delle relazioni bilaterali tra Turchia e Armenia è rimasto praticamente immutato, ad eccezione di alcuni eventi minori e puramente informali.

Data la lunga storia di tentativi di riavvicinamento falliti, è legittimo chiedersi come quest’ultimo sforzo volto alla normalizzazione differisca dagli altri. In realtà, sono emerse due differenze sostanziali. La prima riguarda la fine del conflitto in Karabakh. Dopo la firma dell’accordo di cessate il fuoco dello scorso anno, che ha portato alla restituzione dei territori occupati all’Azerbaigian, la principale giustificazione di Ankara per rifiutare le relazioni con l’Armenia è diventata obsoleta. Infatti, durante una visita in Azerbaigian il 26 ottobre, il Presidente Erdoğan ha dichiarato che «l’Armenia dovrebbe dimostrare una sincera determinazione in queste questioni per risolvere i problemi con l’Azerbaigian. Se dimostrerà buona volontà nei confronti dell’Azerbaigian, allora non ci saranno ostacoli alla normalizzazione delle relazioni tra Turchia e Armenia». Un’altra differenza consiste nel fatto che questa volta le conversazioni sono state avviate dalle parti direttamente coinvolte, e non da attori esterni, anche se la Georgia è stata utilizzata come collegamento tra i due. Ciò suggerisce un genuino interesse a procedere verso un riavvicinamento.

Queste differenze suggeriscono che l’attuale riavvicinamento potrebbe portare a risultati più concreti rispetto ai processi passati. Tuttavia, rimangono tuttora in vigore alcuni requisiti obbligatori. Quello che la Turchia chiede è più o meno noto: la depoliticizzazione degli eventi del 1915, il riconoscimento dei confini turco-armeni stabiliti dal Trattato di Kars e l’approvazione da parte di Yerevan del cosiddetto Corridoio di Zangezur, che collegherà la Repubblica Autonoma di Nakhchivan al resto dell’Azerbaigian attraverso la regione armena di Syunik. A sua volta, Yerevan richiede il riconoscimento degli eventi del 1915 come genocidio, la revoca del Trattato di Kars, l’attuazione del Trattato di Sèvres e la cessazione delle intenzioni espansionistiche della Turchia. Tuttavia, dopo l’accordo del cessate il fuoco, le premesse sono ampiamente cambiate e le autorità armene sembrano impegnarsi ad avviare negoziati senza precondizioni, sebbene la volontà di avviare il processo di normalizzazione senza precondizioni sia di per sé una condizione implicante che il processo non sarà legato né al riconoscimento del genocidio armeno né al processo armeno-azero.

Vantaggi e rischi della normalizzazione

Essendo uno dei tre paesi confinanti con il Caucaso meridionale, la Turchia è naturalmente interessata alla regione e, dopo la fine della seconda guerra del Karabakh, ha già iniziato a consolidare ulteriormente la sua presenza. La firma di contratti da 15 miliardi di dollari da parte di società turche per progetti di ricostruzione in Karabakh testimonia la crescente presenza economica della Turchia in una regione che è stata a lungo considerata dominio della Russia. Una normalizzazione dei rapporti con l’Armenia significherebbe avere una strada aperta verso l’Azerbaigian, ma anche verso l’Asia centrale, collegando la Turchia al resto del mondo turco. Allo stesso tempo, per Yerevan l’apertura delle frontiere con Ankara significherebbe un accesso diretto al Mediterraneo e all’Occidente, che porterebbe innumerevoli benefici a un paese senza sbocco sul mare. «La normalizzazione delle relazioni con la Turchia si tradurrà in una riduzione delle minacce e dell’ostilità della Turchia e nei naturali benefici della cooperazione economica con un vicino che ha un grande mercato. La Turchia può anche diventare un accesso alternativo al mondo per le merci armene», ha affermato Grigoryan, mentre il ministro dell’Economia armeno Vahan Kerobyan ha calcolato che lo sblocco delle comunicazioni aiuterà ad aumentare il PIL armeno del 30% in due anni. La logica economica in gioco per entrambi i Paesi è quindi notevole, e l’apertura dei rispettivi confini permetterebbe loro anche di diversificare la politica estera e di integrarsi maggiormente nelle strutture mondiali.

Inoltre, per la Turchia, un avvicinamento all’Armenia potrebbe aiutare a normalizzare le relazioni tese con l’Occidente, mentre dal processo di normalizzazione Yerevan otterrebbe il superamento del suo isolamento e della sua emarginazione regionale, così come una riduzione della dipendenza da Mosca. Di fatto, l’eccessiva dipendenza dell’Armenia dalla Russia, soprattutto dopo l’ultima guerra, rappresenta un ostacolo sostanziale per Yerevan, e il Primo Ministro Pashinyan potrebbe essere disposto a controbilanciare tale crescente fattore russo instaurando normali rapporti con la Turchia, assumendo così uno status più indipendente da Mosca rispetto al recente passato. Tuttavia, se da un lato i funzionari russi hanno ripetutamente espresso sostegno al processo di normalizzazione, dall’altro l’effettiva realizzazione di tale normalizzazione potrebbe complicare i piani regionali della Russia.

In effetti, non sarebbe la prima volta che i paesi vicini interferiscono con il processo di normalizzazione e alcuni paesi sono tradizionalmente contrari al riavvicinamento Armenia-Turchia. Ad esempio, in uno dei suoi recenti discorsi, Jirayr Libaridian, consigliere dell’allora presidente Levon Ter-Petrossian e responsabile dei colloqui con la Turchia all’inizio degli anni ’90, ha condiviso un aneddoto degno di nota, riferendo che ogni volta che tornava da Ankara trovava nel suo ufficio a Yerevan gli ambasciatori di tre Paesi, ovvero Russia, Iran e Grecia, incuriositi dallo stato dei negoziati tra armeni e turchi. In una di queste occasioni, Libaridian comunicò all’ambasciatore iraniano che i colloqui stavano procedendo adeguatamente e che le parti erano vicine all’apertura dei confini. Tuttavia, l’ambasciatore iraniano chiese “E per quanto riguarda il genocidio?”, il che chiarifica gli atteggiamenti regionali a quei tempi.

Allo stesso tempo, da parte armena vi è preoccupazione per una possibile diffusione della cosiddetta “agiarizzazione” se i due paesi dovessero rafforzare i legami commerciali. Il termine si riferisce ai massicci investimenti turchi nella regione georgiana di Agiaria che hanno portato a una notevole crescita dell’influenza della Turchia nella regione, al punto che alcuni indicano una “turchizzazione” di Batumi. I timori riguardano la prospettiva di una situazione parallela in Armenia, che secondo alcuni potrebbe risultarne “turchizzata”. A questo proposito, Grigoryan ha riferito che «ci sarà resistenza, ma non credo che sarà abbastanza forte da far deragliare il processo. Solo due cose potrebbero fermarlo. Primo, se dovesse comparire un potente attore esterno che dia sostegno politico a tale resistenza. Secondo, se la Turchia e l’Azerbaigian dovessero presentare nuove condizioni cercando di ottenere ulteriori concessioni dall’Armenia».

La posizione dell’Azerbaigian

L’Armenia ha da tempo richiesto che le relazioni Armenia-Turchia rimangano una questione bilaterale, escludendo l’Azerbaigian da una configurazione triangolare regionale. In una recente dichiarazione, il politico armeno Eduard Aghajanyan ha dichiarato che «vogliamo che la Turchia si renda conto – e anche noi stessi dobbiamo farlo – che l’Azerbaigian e la Turchia sono entità e attori individuali totalmente diversi nella regione, i cui interessi non sono necessariamente identici».

Gli eventi dello scorso anno hanno portato a un cambiamento sostanziale della posizione dell’Azerbaigian riguardo al riavvicinamento dei due paesi. A differenza del processo condotto all’epoca della diplomazia calcistica e dei protocolli di Zurigo, questa volta non vi è stata alcuna manifestazione di isteria da parte dell’Azerbaigian. Forse questo implica la tacita approvazione di Baku. «L’Azerbaigian si è opposto alla normalizzazione tra Armenia e Turchia nel 2009 sulla base dell’argomentazione che la Turchia aveva chiuso le frontiere dopo l’occupazione di Kelbajar nel 1993», ha dichiarato a Eurasianet l’analista politico Hasan Selim Özertem, riferendosi al primo dei territori dell’Azerbaigian ad essere occupato. «Prima del ritiro dell’Armenia da questa regione, Baku vedeva l’apertura delle frontiere da parte della Turchia come un tradimento e la criticava aspramente. Ora, dopo la tregua, questo problema è fuori discussione e non sarà una sorpresa assistere ad un tono più mite da parte dell’Azerbaigian rispetto al 2009».

Questo cambio di atteggiamento da parte di Baku è in parte riconducibile all’esito della guerra del 2020, e in parte alla consapevolezza che il processo di normalizzazione tra Turchia e Armenia potrebbe anche giovare allo stesso Azerbaigian, insieme alla consapevolezza che la Turchia non agirà contro gli interessi di Baku. Inoltre, riaprire le frontiere contemporaneamente potrebbe essere più favorevole, perché con un potenziale economico maggiore Azerbaigian e Turchia, separatamente o in tandem, avrebbero sicuramente un vantaggio sull’Armenia.

Conclusione

Sebbene sia prematuro indicare se i due Paesi saranno in grado di raggiungere un accordo di pace nel prossimo periodo, i segnali osservati negli ultimi mesi alimentano speranza in questa direzione. Sebbene i timori e le preoccupazioni della parte armena sulla crescente influenza della Turchia siano comprensibili, emerge un certo ottimismo sul possibile ruolo che la Turchia potrebbe svolgere nella regione. Per ripristinare i rapporti è necessario sia riconciliare le relazioni traumatiche tra armeni e turchi sia una forte volontà politica. Allo stesso tempo, entrambi i paesi condividono relazioni economiche significative e in Turchia lavorano molti migranti armeni. Ciò significa che le persone possono abbandonare i propri pregiudizi e ricominciare da capo. «C’è anche il vantaggio intangibile del trust-building. Le due società sono rimaste isolate l’una dall’altra per quasi 100 anni a seguito di una storia violenta. L’apertura del trasporto aereo nei primi anni 2000 ha avuto un impatto significativo sulle relazioni tra le società e ha contribuito a sfidare molti stereotipi. Il nemico stereotipato e precedentemente sconosciuto è diventato una persona normale. Eppure i viaggi aerei erano limitati a un numero circoscritto di persone. L’apertura dei confini terrestri favorirà le interazioni quotidiane che contribuiranno a creare fiducia», ha ricordato Philip Gamaghelyan. Tuttavia, questo richiederà tempo e si svolgerà in maniera graduale. Usando il termine coniato all’inizio del XVII secolo in un diverso contesto storico, la Turchia è la “finestra sull’Europa” per il Caucaso. E una cosa è chiara: l’Armenia ha bisogno della Turchia più di quanto la Turchia abbia bisogno dell’Armenia.

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