Gli ultimi tre decenni sono stati pieni di eventi significativi per la storia russa. Dalla caduta dell’Unione Sovietica all’avvento di Putin, Aleksej Puškov li ripercorre nel suo libro “Da Gorbačëv a Putin. Geopolitica della Russia” (Sandro Teti Editore, 2022) soffermandosi in particolare sul ruolo internazionale della Russia e sull’evoluzione dei rapporti con l’Occidente.
Aleksej Puškov è un politico russo, senatore di Perm Krai dal 2016 ed ex deputato della Duma dove ha presieduto la commissione Affari esteri. Come membro del partito politico Russia Unita, nel Consiglio della Federazione, la camera alta del Parlamento russo, è il presidente della Commissione per la politica dell’informazione. Prima di partecipare alla vita politica, è stato anche un giornalista e stretto collaboratore di Michail Gorbačëv. Dalla primavera del 2014 è sottoposto a sanzioni da parte dell’Unione Europea, Stati Uniti e Canada per aver sostenuto l’intervento russo in Crimea.
Il libro ripercorre gli ultimi tre decenni di storia russa attraverso le figure dei leader che hanno guidato l’Unione Sovietica prima e la Federazione Russa poi. In particolare, l’autore si concentra sulla politica estera ed interna, analizzando la direzione data prima da Gorbačëv, poi da El’cin e infine da Putin, mettendo in luce il rapporto con il blocco euroatlantico e fornendo una chiara visione del pensiero politico russo.
Puškov nei primi due capitoli si sofferma sulla figura di Gorbačëv che delinea con grande criticità analizzando due aspetti principali. Da una parte sostiene come il leader avesse capito la necessità di rinnovamento dell’URSS ma “senza disporre di una strategia che gli consentisse di identificare chiaramente obiettivi e mezzi” (p. 24). Dall’altra, condanna l’approccio del leader sovietico nei confronti degli Stati Uniti, percepito come compiacente e arrendevole. A dimostrazione di ciò, l’autore sottolinea le numerose concessioni fatte da Mosca nel processo negoziale per la riunificazione della Germania e il mancato accordo sulla non espansione ad est dell’Alleanza Atlantica a seguito degli accordi del 1990, che rimase solo una promessa verbale di George W. Bush a Gorbačëv. Secondo Puškov questi sono solo alcuni degli elementi che sottolineano la differenza di visoni tra URSS e USA rispetto al futuro dell’assetto europeo all’indomani della riunificazione tedesca e che Gorbačëv non è stato in grado di cogliere.
Anche nel caso di El’cin, l’autore non riserva critiche. Infatti, descrivendo la sua ascesa politica, non manca di evidenziare come fosse guidato da ambizioni fortemente personali. Nella lettura di Puškov, il primo Presidente russo si guadagnò il favore dell’Occidente in quanto incarnava la figura che era stata in grado di mettere fine all’Unione Sovietica. Inoltre, secondo l’autore, il suo atteggiamento condiscendente, unito all’impreparazione in ambito politico internazionale e alla liberalizzazione forzata dell’economica, portò il Paese al collasso. Non solo, in quegli anni, anche a causa “classe dirigente immatura” la Russia era considerata nella comunità internazionale come un attore marginale e non più come la grande potenza di solo qualche anno prima. La lucida analisi di Puškov ripercorre quindi gli eventi cardine della seconda metà degli anni Novanta: la dissoluzione della Jugoslavia, l’intervento in Kosovo e la prima espansione della NATO verso Est.
Secondo l’autore, un cambiamento di rotta fu imposto da Vladimir Putin, che abbandonò l’atteggiamento condiscendente dei predecessori e che fece dell’interesse nazionale russo la priorità della sua politica estera, non mancando di intessere buone relazioni con Washington (ad esempio offrendo il proprio sostegno nella lotta al terrorismo post-9/11) ma perseguendo primariamente gli obiettivi della propria agenda politica.
Puškov analizza poi come la seconda espansione della NATO (2004) e la guerra in Iraq, e successivamente, l’intervento in Siria e Libia abbiano contribuito al deterioramento dei rapporti tra la Federazione e gli Stati Uniti. Secondo l’autore, la nuova politica estera russa è stata quindi percepita come sfidante del sistema unipolare guidato all’egemonia statunitense. Ciò si è ulteriormente materializzato sul suolo ucraino nel 2014 a seguito della rivoluzione di Euromaidan e l’esplosione della guerra nel Donbass.
Se per i primi due decenni della storia della Russia post-sovietica l’autore fornisce una ricostruzione dettagliata delle dinamiche interne e delle riverberazioni esterne delle decisioni e delle visioni del Cremlino attraverso una buona descrizione storica di ciò che è venuto prima e dopo i grandi eventi che hanno caratterizzato la storia della Federazione Russa, la visione e la descrizione degli eventi dell’ultimo decennio diventa invece più controversa. L’annessione della Crimea, ad esempio, è descritta come una “riunificazione” ed una “scelta obbligata” per Mosca, giustificata dal fatto che sia stata “la stessa geografia ad aver creato il confronto tra il Cremlino e la Casa Bianca” (p. 212). Inoltre, viene affermato che “La Russia, però, non assecondò mai l’uso della violenza” (p. 196) senza quindi menzionare la presenza dei c.d. “omini verdi” sul territorio ucraino. Nell’ultima parte del libro viene quindi ribadito che la Russia, sotto la guida di Putin, ha sempre agito guidata solo dal proprio interesse nazionale e dall’aspirazione di riscatto come grande potenza a livello internazionale. Questi due elementi vengono considerati invisi all’Occidente e motivi di scontro.
In conclusione, per la sua impostazione storica e politica questo testo è essenziale da leggere e capire per entrare nella visione russa del sistema internazionale, per avere una visione d’insieme, e cogliere le narrazioni e le percezioni sia russe che occidentali.