L’esperienza territoriale dello Stato Islamico analizzata da un punto di vista giuridico: è questo l’obiettivo che si prefissa “Islamic State as a legal order” (Routledge, 2022), il lavoro di Federico Lorenzo Ramaioli, diplomatico ed avvocato italiano, attualmente Vice Capo Missione dell’Ambasciata della Repubblica Italiana a Doha e già Console della Repubblica Italiana a Friburgo.
Una tematica, quella analizzata, poco approfondita nel dibattito che nel corso degli ultimi anni si è concentrato attorno alla milizia islamica che dal 2014 si è imposta in maniera egemonica nella galassia del terrorismo internazionale.
Il saggio inizia con una genealogia storica dell’Isis, estremamente importante per contestualizzare il fenomeno dal punto di vista ideologico, geografico e dottrinale. Partendo dal nome, Stato Islamico, volto a rappresentare la volontà di imporre un dominio globale e a segnalare l’aspirazione universalistica dello Stato, per arrivare alle differenze con gli altri “fondamentalismi” islamici analizzati nel corso degli anni.
Su quest’ultimo tema è significativa l’analisi che l’autore svolge sul concetto di sharia, essenziale per analizzare la prospettiva giuridica dello Stato Islamico. Un concetto che in Europa tendiamo a considerare in maniera semplicistica come adattamento di un corpus normativo al contesto islamico, sottovalutando le enormi differenze nei vari tentativi di interazione della sharia con l’architettura giuridica contemporanea che si ritrovano nei Paesi islamici.
Tentativi che l’autore passa in rassegna: da un approccio di tipo “occidentale“, che si ritrova in Stati come la Turchia o il Marocco, dove la sharia può influenzare i contenuti della legislazione, ma non ha nessun carattere normativo. Un secondo approccio, estremamente diffuso soprattutto in Medio Oriente, che riconosce la sharia come fonte principale della normativa nazionale con clausole presenti nelle Costituzioni; non trova un’applicazione diretta, ma svolge un ruolo di principio guida. Un terzo approccio, presene in Arabia Saudita, che prevede un riconoscimento simultaneo della sharia e della concezione di Stato moderno: una diretta applicazione della sharia ma limitata ai confini dello Stato, con la perdita dell’idea di universalismo islamico. Idea che si ritrova invece nel quarto approccio, quello integrale, adottato proprio dallo Stato Islamico nei territori controllati tra Siria ed Iraq, che prevede il totale rifiuto di ogni elemento non islamico. Un vero e proprio manifesto giuridico che ha permeato l’essenza del Califfato e che è fondamentale da interiorizzare per ogni analista che voglia approcciarsi allo studio dell’organizzazione.
Per lo Stato Islamico non può esserci separazione tra l’Islam come credo e la sharia come dimensione normativa, in una interpretazione 1) “esclusivista” (cioè unica normativa applicabile ai comportamenti umani) 2) “integrale” (cioè la rivendicazione dell’impossibilità di fare concessioni come invece fanno altri Stati musulmani) e soprattutto 3) “immediata” (cioè come diretta e non codificata). Non accogliere leggi di derivazione umana, e vivere in un governo universale sotto “l’ombra della sharia”.
L’autore, quindi, evidenzia come questa interpretazione del diritto islamico per l’Isis abbia fortemente posto in contrapposizione l’organizzazione stessa nei confronti del mondo occidentale, patria del “diritto artificiale” – cioè caratterizzato da una paternità umana – ma anche nei confronti dei Paesi islamici che hanno adottato le “leggi degli uomini”. Il rifiuto di questa complementarità del diritto e l’applicazione integrale della sharia rappresentano la principale caratteristica giuridica dello Stato Islamico.
Altro elemento centrale dell’analisi dell’autore è l’interpretazione del jihad per il Califfato: un’interpretazione “inclusiva”, che mira ad esaltare la natura marziale e militare del concetto: tutto ciò che è funzionale a danneggiare il nemico rientra a pieno in questa ottica. Jihad come concetto obbligatorio per lo Stato Islamico: non uno dei vari obblighi che vincolano l’individuo, ma uno dei più importanti. Sino a che esisteranno territori da rivendicare, il jihad è un imperativo personale di ogni credente.
Di conseguenza, non viene fatta quasi nessuna distinzione tra il concetto di jihad offensivo e difensivo: l’interpretazione è tanto estensiva da far sfumare i contorni ideologici dei due aspetti.
Nelle conclusioni, l’autore dedica ampio spazio al rapporto tra l’Isis e la globalizzazione. Da una parte l’esigenza dello Stato Islamico di ripensare la ummah in uno spazio globale: la comunità non come narrazione culturale, ma come soggetto politico, in chiave “antinazionale”, per opporsi alla concezione dello Stato nazione che nella visione dell’Isis ha diviso le terre dei musulmani; dall’altra l’autore evidenzia l’aspetto forse più “rivoluzionario” del Califfato: interpretare il concetto di comunità islamica come nuovo paradigma della globalizzazione, e sfruttare a pieno gli strumenti forniti dalla contemporaneità.
Tra tutti, forse quello più interessante, è la conquista del “cyberspazio”, interpretato come nuova realtà e nuovo terreno. L’Isis non si limita infatti a sfruttare le potenzialità di internet a scopo propagandistico – anche se quest’ultimo è stato un elemento che ha contraddistinto l’ascesa dello Stato Islamico – ma ne adotta la filosofia. Un rapporto, quello tra l’Isis e internet, che l’autore analizza in tre punti principali: in primo luogo, sia il Califfato che internet presentano una dimensione globalizzante, mirata a superare i confini geografici, le giurisdizioni nazionali e ridefinisce le coordinate spaziali tradizionali. In secondo luogo, l’Isis sfrutta le potenzialità di Internet come strumento dialogico, superando sistemi gerarchici e ampliando notevolmente il network dell’organizzazione. Per ultimo, elemento che l’autore tratta in maniera approfondita anche durante l’analisi del concetto di sharia, cioè l’idea di immediatezza. Internet offre all’Isis la possibilità di offrire istantaneamente la sua prospettiva giuridica a una miriade di utenti, senza intermediazioni.
“Islamic State as a legal order – To have no law but Islam, between shari’a and globalization” (Routledge) è un volume in grado di mostrare al lettore un punto di osservazione nuovo rispetto al fenomeno dello Stato Islamico. In che modo la dimensione giuridica ha segnato, e segna, la storia del Califfato, le sue interazioni nell’arena regionale e internazionale e la visione del mondo dell’organizzazione. Domande a cui l’autore riesce a fornire risposte, integrando e coordinando i diversi livelli di analisi forniti nei vari capitoli, e restituendo al lettore un volume imprescindibile per gli appassionati al dibattito in materia.
“Islamic State as a legal order” di F. L. Ramaioli (Routledge, 2022) è acquistabile qui.