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Recensione de L. Trapassi, La terra del futuro – Il Brasile dalla crisi alla crescita economica, Roma: Luiss University Press, 2020.

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Il diplomatico Lorenzo Trapassi con il suo lavoro intitolato La terra del futuro – Il Brasile dalla crisi alla crescita economica ripercorre le tappe principali che hanno caratterizzato gli ultimi decenni della politica estera del Brasile e il contributo fondamentale che questa ha apportato nel passaggio da paese in via di sviluppo ad ambizioso player politico ed economico internazionale. 

Il saggio, molto scorrevole nella lettura e ricco di spunti, sia bibliografici che dovuti allo sguardo attento di un addetto ai lavori, offre un punto di vista sul Brasile inedito e ci consente di conoscere meglio un paese tanto lontano e poco conosciuto quanto, a noi italiani ed europei, vicino e legato da dinamiche economiche e politiche attuali così come da profondi legami storici e culturali.

 Dopo una breve disamina del contesto politico, socio-economico e culturale del gigante lusofono, dall’indipendenza alla dittatura militare, l’autore si focalizza sull’osservazione e analisi degli aspetti caratterizzanti la politica estera brasiliana, con particolare riferimento ai due principali interpreti della transizione dalla crisi economica e fragilità democratica di un paese uscito dalla dittatura, alla sua ascesa come attore di rilievo nei consessi internazionali: Fernando Henrique Cardoso e Luiz Inácio “Lula” da Silva. Trapassi intravede, nonostante le profonde differenze personali e politiche, una linea di continuità fra i due presidenti in materia di politica estera e, in qualche misura, una certa interdipendenza. 

 Procedendo per gradi, nella prima parte della sua analisi l’autore definisce il Brasile come un paese che, per una serie di caratteristiche come la sua vastità territoriale e popolosità, ricchezza di risorse naturali e di biodiversità, il suo trend di crescita economica e volume di esportazioni (soprattutto di commodities agroalimentari), possa detenere “una posizione centrale nel mondo […] ma che fino ai decenni oggetto della trattazione sia rimasto relegato alla periferia della scena internazionale”. Le ragioni di questa sua perifericità sarebbero da rintracciare, dal suo punto di vista, nella chiusura nei confronti del resto del mondo imposta dalla corona portoghese durante tutto il periodo di dominio coloniale, nell’orientamento del paese ad una economia votata  all’esportazione di materie prime esclusivamente verso il Portogallo, nella proibizione, sempre di epoca coloniale, di stabilire in Brasile sedi universitarie e di qualsivoglia tipologia di centri culturali e persino tipografie, nella presenza, anche dopo l’indipendenza, di istituzioni obsolete di retaggio monarchico e dall’appartenenza linguistica che costituivano un unicum nel continente. L’interesse della corona portoghese a preservare gelosamente la sua principale colonia dall’esposizione nei confronti di altre potenze si esaurì solo parzialmente con l’invasione napoleonica del Portogallo (1807) e la conseguente fuga della famiglia reale dei Braganza proprio in Brasile, scortata dalla flotta inglese in cambio dell’apertura dei porti brasiliani agli scambi con l’impero britannico.

Nonostante le difficoltà dovute alla prolungata chiusura nei confronti del mondo, il lavoro dell’Itamaraty, il palazzo di Brasilia sede del ministero degli affari esteri, è sempre stato caratterizzato da un elevato livello di competenze e da profili di un certo prestigio che hanno saputo ben controbilanciare una generale tendenza, molto diffusa nella società così come nella classe dirigente, a non ritenersi all’altezza del confronto con i diversi partner internazionali. La politica estera brasiliana però, ci fa notare l’autore, è stata a lungo caratterizzata da importanti limiti di visione del proprio ruolo rispetto allo sviluppo e alla crescita di prestigio del paese. Infatti, per gran parte del Novecento, seppur con qualche eccezione durante la dittatura militare e nel periodo immediatamente successivo, la politica estera era concepita solo come uno strumento attraverso cui allocare le commodities del paese nei mercati internazionali. L’atteggiamento del paese nei consessi internazionali è sempre stato quello di rappresentare un grande paese della periferia dell’ordine mondiale, con limitate ambizioni di emanciparsi da tale condizione e altrettanti pochi momenti di crescita del proprio prestigio internazionale.

Un periodo particolarmente complesso per il paese è rappresentato dalla dittatura militare che pur essendo fortemente ispirata al modello politico dal fascismo italiano, come descrive l’autore, scelse di prendere parte al secondo conflitto mondiale al fianco degli alleati. Ciò contribuì a rafforzare i rapporti politici ed economici con gli Stati Uniti e le potenze del blocco occidentale. 

Il paese lusofono, ci spiega Trapassi, nonostante il suo contributo alla guerra mondiale, rimase fortemente deluso dalla marginalizzazione cui venne costretto nel momento della costruzione delle istituzioni internazionali che incarneranno il nuovo ordine mondiale. Ciò incoraggerà un atteggiamento difensivo e di critica nei confronti dei partner del mondo occidentale e delle istituzioni internazionali che tuttavia non comprometterà i rapporti economici con le grandi potenze e anzi condurrà il paese sul sentiero dello sviluppo trainato sia dalla politica interna che da ingenti prestiti internazionali del FMI. 

Saranno proprio le condizioni finanziarie del paese, insieme al forte malcontento sociale e politico della popolazione, a chiudere l’esperienza della giunta autoritaria militare e a inaugurare la stagione repubblicana a partire dalla costituzione del 1988.  

Per arrivare ad una vera rivoluzione politica ed economica e, ancor di più, della politica estera del paese, bisognerà attendere quindi l’arrivo di Fernando Henrique Cardoso, dapprima come ministro degli esteri e dell’economia e poi come presidente della repubblica federale, e del suo antagonista e successore Luiz Inacio da Silva più noto come “Lula”. 

È qui che si concentra l’analisi dell’autore, che esaminerà minuziosamente il processo di trasformazione del paese, grazie alla sua rinnovata visione della politica estera, da grande paese periferico e marginale nello scacchiere internazionale, ad un dinamico attore della scena geopolitica mondiale. Un paese che pur non dimenticando la sua storia, le sue istanze, interessi e autonomia, non rinuncerà a sedere al tavolo con le grandi potenze confrontandosi da pari.

Il processo di crescita economica e di peso politico in ambito internazionale del Brasile può essere distinto, ripercorrendo l’analisi condotta dall’autore, in due fasi. Una prima fase di ristrutturazione economica e di costruzione di più intensi rapporti internazionali, sia politici che economici, sotto la guida di Fernando Henrique Cardoso (FHC) prima nelle vesti di ministro durante la presidenza di Itamar Franco e in seguito da Presidente della Repubblica Federale. Una seconda fase è quella che potremmo definire di consolidamento, rilancio e intraprendenza della politica estera brasiliana, iniziata dal governo Lula. Quest’ultima avrebbe fatto leva sui successi economici e sociali interni al paese, sull’abilità nell’intessere relazioni diplomatiche e sulla volontà di investire in nuove partnership ponendosi, da una parte, come “paese ponte” fra la periferia del mondo e le grandi potenze internazionali e, dall’altra, come risoluto e determinato promotore di un processo di riforma degli organismi internazionali. 

Secondo l’analisi di Lorenzo Trapassi, fra le due fasi e i due principali interpreti dei rispettivi momenti vi è una profonda connessione e interdipendenza: senza il lavoro “pionieristico” di Cardoso difficilmente avrebbero potuto esserci le condizioni di ascesa del Brasile nello scenario internazionale tali da consentire a Lula di proporsi agli occhi del mondo come una potenza emergente, affidabile, indipendente, riformista e coerente.

Nell’interpretazione dell’autore, il lavoro di Cardoso (a partire dalla ristrutturazione degli indicatori macroeconomici, il risanamento del debito pubblico nei confronti di FMI  adeguandosi alle sue direttrici di politica economica, la ricerca di paesi con cui intessere nuove e più consistenti relazioni economico-finanziarie, commerciali e politiche) ha permesso al presidente Lula di intraprendere le politiche di riduzione delle disuguaglianze economiche e sociali che hanno consacrato il Brasile come un modello nel contrasto alla povertà. Per l’autore è grazie al lavoro di Cardoso, e ad alcune scelte importanti anche di governi precedenti, che Lula potrà rilanciare il prestigio del paese. Ciò è reso possibile in quanto ben equipaggiato in termini di relazioni economiche e politiche su cui far leva per proporsi agli occhi del mondo come un interlocutore credibile, affidabile e che è, al tempo stesso, mediatore e promotore di una differente visione dei rapporti politici internazionali. 

Dall’altra parte – proseguendo nell’analisi fatta da Trapassi – senza il lavoro del presidente Lula, le politiche di Cardoso non avrebbero trovato compimento, rimanendo per lo più legate ad un quasi ortodosso rispetto dei precetti economici, ma poco attente ai problemi vissuti dalla fetta più consistente della società brasiliana. Inoltre, non vi sarebbe stata una adeguata rappresentazione delle istanze politiche di cambiamento degli equilibri internazionali, estremamente sentite nella cultura politica del paese,  dovute alla sua storia e al suo collocamento nell’ordine politico internazionale, che troveranno invece in Lula il loro indiscusso portavoce.  

Trapassi tesse abilmente il filo analitico facendo emergere gli elementi di continuità e discontinuità e le peculiarità politiche dei due interpreti del passaggio “dalla crisi alla crescita economica” del Brasile e dopo uno sguardo approfondito dedicato a FHC prima, e Lula poi, mette a confronto il loro operato. Malgrado le differenze fra i due presidenti e la loro visione politica, entrambi perseguirono con la medesima tenacia e, secondo l’autore, “con successo” l’obiettivo di condurre il Brasile “fuori dalla periferia e consacrarne lo status di attore che recita la propria parte al centro delle relazioni internazionali”. Nelle conclusioni dell’autore, osserviamo quindi un paese destinato all’ascesa nel quadro internazionale e che ha compiuto il suo percorso di “emancipazione” dalla condizione di periferia e di paese in via di sviluppo.  Per Trapassi, ciò troverebbe conferma nella collocazione del Brasile nel G20, nei BRICS e come paese “leader” del Mercosur.

Sebbene la lucida analisi di Trapassi sottolinei la straordinarietà dei progressi compiuti dal paese in ambito internazionale, gli eventi più vicini a noi, successivi alla fine della presidenza Lula, suggeriscono una fragilità del percorso brasiliano che non può essere ignorata e che è emersa in maniera vistosa rispetto alla capacità del paese di affrontare l’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia di Sars-Cov-2 in cui emergono sì i limiti e, probabilmente delle gravi responsabilit,à del governo attuale, ma anche una fragilità strutturale del paese. 

L’autore osserva come il Brasile debba gran parte della sua crescita economica alla crescente capacità di allocare le sue commodities agricole e di risorse naturali nei mercati internazionali, di attrarre investimenti diretti esteri capaci di sostenere lo sviluppo di poli industriali. Di fatto, non si possono non riconoscere nell’esperienza brasiliana dei segnali di indiscutibile miglioramento delle condizioni sociali ed economiche o, ancor di più, un faticosamente guadagnato prestigio e rispetto nei consessi internazionali. Tuttavia, gli anni e gli avvenimenti successivi al periodo esaminato dall’autore mettono in luce che la strada da percorrere verso l’uscita dalla condizione di periferia per paesi come il Brasile sia ancora lunga, estremamente faticosa e non priva di rischi e di tensioni.

È lo stesso Trapassi che ci fa notare come le iniziative del Brasile (e non solo) verso un processo di riforma delle istituzioni internazionali che le rendesse più eque, inclusive, realmente democratiche e rispettose delle condizioni di partenza di tutti i paesi, ivi compreso il lascito del retaggio coloniale, si siano infranti contro la barriera rappresentata dalle grandi potenze internazionali. Lo sforzo intrapreso dalla diplomazia brasiliana, e dal carisma dei suoi presidenti, di riunire le voci dei singoli paesi del Sud del mondo, con tutti i pregi e limiti che Trapassi evidenzia, nella legittima rivendicazione di istituzioni e regole internazionali differenti rispetto a quelle che tutt’ora dominano la scena geopolitica, non è stato sufficiente se non per il comunque importante traguardo di porre determinati temi nell’agenda politica mondiale. 

Davide Merando,
Geopolitica.info

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