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TematicheRussia e Spazio Post-sovieticoQuestioni politico-militari nel Mar Nero

Questioni politico-militari nel Mar Nero

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L’Ucraina bombarda Sebastopoli, in Crimea, e la Russia risponde colpendo Odessa, il “porto del grano” sul Mar Nero. Questa è, ormai, la linea sulla quale si combatte la guerra in mare.

La pressione delle Forze armate ucraine sulla penisola di Crimea è aumentata radicalmente nel corso dell’ultimo periodo, in corrispondenza con i maggiori sforzi – non sempre ripagati da risultati – della controffensiva lanciata da Kyiv sul fronte terrestre. Gli attacchi su Sebastopoli, portati avanti con missili Storm Shadow e sciami di droni, mirano a disarticolare il “cervello” della Flotta russa del Mar Nero e quindi a garantire la sicurezza del proprio corridoio navale unilaterale.

La stessa tattica di guerra missilistica in profondità, per la quale Washington fornirà alcuni ATAMCS, risponde all’esigenza di pressare le infrastrutture russe. Accanto agli attacchi contro le linee logistiche più vicine al fronte, gli ucraini stanno, infatti, portando avanti una campagna diretta a disarticolare il meccanismo dei rifornimenti nemici in Crimea. È il modus operandi di stampo “ossidionale”, che tenta di stringere la Crimea in una morsa aerea e marittima, con l’obiettivo di isolarla e fiaccare anche la resistenza russa più a nord.

Di converso, i russi stanno cercando di rendere effettivamente operativo il “blocco navale” della rotta del grano annunciato lo scorso 17 luglio, al momento dell’uscita di Mosca dalla Black Sea Grain Initiative. Oltre ai pattugliamenti lungo la linea marittima da Olenivka al Danubio, le forze russe stanno colpendo i principali porti del litorale occidentale (Odessa su tutti) fino allo scalo fluviale di Izmail.

Ma la partita che si gioca nel Mar Nero, direttamente collegata allo stallo terrestre lungo la Linea Surovikin (dove la conquista ucraina di Robotyne, nel settore di Tokmak, è stato l’ultimo risultato degno di rilievo), ha anche una retrospettiva politica da considerare.

Da qualche giorno si parla della possibilità di aprire negoziati tra Kyiv e Mosca che andrebbero a fissare la linea d’armistizio lungo l’attuale linea di contatto, il che significherebbe l’accettazione “de facto” dell’occupazione russa della Crimea anche da parte ucraina, ma anche il rinvio “sine die” della riconquista delle aree oggi sotto controllo russo.

Sono, ovviamente, condizioni che l’Ucraina non potrebbe accettare – neanche se la contropartita fosse l’ingresso nella Nato – ma che non gioverebbero neanche alla Russia, considerato che Lavrov ha giustificato l’aggressione a Kyiv proprio in virtù del suo abbandono della politica di neutralità (che significava restare nella sfera d’influenza moscovita).

La rinnovata centralità delle azioni militari nel Mar Nero serve a marcare le distanze, soprattutto dell’Ucraina, da qualunque ipotesi di negoziato – che sia di pace o di semplice armistizio – che ne preveda una “amputazione” territoriale; ipotesi che comincia a “serpeggiare” in alcuni circoli in Occidente, sia in Europa che negli Usa (il dibattito interno ai repubblicani e i riflessi sull’amministrazione Biden ne sono un esempio).

Quella marittima resta una questione centrale nella guerra d’Ucraina anche perché il possesso del litorale (con ipotesi minima dall’Oblast di Kherson a Mariupol, cioè la conformazione attuale della zona occupata) è un “problema strategico” per Mosca, che deve garantirsi il controllo esclusivo del Mar d’Azov a est, ponendo una seria ipoteca anche su Odessa, a ovest.

Anche dalla individuazione di una soluzione politico-geografica, si potrebbe dire “geopolitica”, sul controllo dei porti del Mar Nero passa una delle possibilità di mettere fine ad un conflitto che prevede, comunque vada a finire, un cambio degli equilibri di potenza nella regione.

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