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Questione ecologica in Brasile. Le politiche del governo Bolsonaro: dalla struttura e composizione del governo alle conseguenze per l’Amazzonia (Parte I)

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In Brasile il cambio di governo, con il conseguente insediamento della giunta Bolsonaro, ha rappresentato, sia simbolicamente che sostanzialmente, un cambio radicale di paradigma rispetto al tema dello sviluppo e dell’ambiente. In questa breve analisi verranno introdotti alcuni elementi fondamentali per comprendere l’evoluzione del fenomeno della deforestazione amazzonica, le sue cause e le sue conseguenze.

Sin dalle prime dichiarazioni in campagna elettorale Jair Bolsonaro è riuscito ad attirare su di sé i riflettori dell’opinione pubblica mondiale e le attenzioni del mondo politico. La sua visione politica fortemente ispirata a idee conservatrici di estrema destra, sovraniste e ultraliberiste hanno saputo raccogliere il supporto e il consenso dei suoi affini a livello internazionale. La sua campagna elettorale è stata caratterizzata da slogan violenti nei confronti delle opposizioni; da richiami nostalgici ai tempi della dittatura militare; da minacce nei confronti delle popolazioni indigene, asserendo che se avesse vinto lui in Brasile non ci sarebbero state più demarcazioni della terra indigena; da affermazioni negazioniste nei confronti dei temi legati ai cambiamenti climatici e infine la dichiarazione di guerra nei confronti delle organizzazioni ambientaliste, nazionali e internazionali, che hanno, a suo avviso, compromesso lo sviluppo economico del paese. Per comprendere in profondità le ragioni per cui gran parte del mondo politico e sociale a livello internazionale sia preoccupato per la situazione ambientale in Brasile bisogna ripercorrere alcune delle tappe principali della presidenza Bolsonaro e del suo governo, i dati riguardanti la foresta Amazzonica, e non solo, e del rispetto dei diritti umani e dei popoli nativi.

La nuova struttura e composizione del governo federale

Nel gennaio 2019 avvengono le assegnazioni dei ministeri e le suddivisioni delle competenze in capo agli stessi. Il primo riguarda il Ministero dell’Agricoltura, Pastorizia e dell’Approvvigionamento (MAPA) cui andrà la competenza di identificare e delimitare le terre indigene. Questa competenza, precedentemente, spettava alla Fundação Nacional do Indio (FUNAI) che faceva capo al Ministero della Giustizia e che adesso viene inserita nel quadro delle agenzie afferenti al Ministero delle donne e della famiglia. Sempre al MAPA sono state assegnate le competenze, precedentemente afferenti al Ministero dell’Ambiente, riguardanti la titolarità del Servizio Forestale Brasiliano (SFB), che si occupa della gestione dei boschi su suolo pubblico, e dell’Instituto Nacional de Colonização e Reforma Agrária (INCRA) che si occupa del catasto e dell’amministrazione dei terreni pubblici a beneficio dell’ambiente. Altra agenzia di competenza del ministero dell’ambiente, l’Agência Nacional de Águas (ANA), è stata trasferita alle dipendenze del Ministero dello Sviluppo Regionale. Inoltre, il nuovo ministro dell’Ambiente ha designato i nuovi presidenti dell’Instituto Chico Mendes de Conservação da Biodiversidade (ICMBio) e dell’Instituto Brasileiro do Meio Ambiente e dos Recursos Naturais (IBAMA), rispettivamente Adalberto Eberhard e Eduardo Bim. Quest’ultimo ha comunicato alcune delle innovazioni all’interno dell’Istituto, tra cui la possibilità di ottenere la licenza ambientale attraverso una semplice auto-dichiarazione inserita su un sistema elettronico.

L’idea di Bolsonaro e del suo governo è che lo sviluppo dell’agricoltura industriale e la sua modernizzazione non debba essere ostacolato dalla preservazione dell’ambiente e degli equilibri ecologici. A conferma di ciò riscontriamo la ragione che vede a capo del MAPA Tereza Cristina da Costa – nota anche con il soprannome “musa del veleno” per via del suo sostegno al progetto di legge n. 6.299 che facilita l’utilizzo degli agro-tossici -, leader del Frente parlamentar misto de agropecuaria, che riunisce per lo più gli interessi dei grandi possidenti rurali, imprese del settore agricolo e pastorale, lobby e investitori dell’agro-business. Altro sintomo di quanto riportato precedentemente è la nomina a capo del MMA (Ministero dell’Ambiente) di Ricardo Aquino Salles, fondatore del movimento “Endireita Brasil” che riunisce avvocati e imprenditori a favore del libero mercato e dello stato minimo, e direttore della “Sociedade Rural Brasileira”, da sempre in aperto contrasto con le organizzazioni ambientaliste e le comunità native. In più, come abbiamo visto, molte competenze di tutela ambientale, precedentemente in capo al MMA, sono state trasferite sotto il controllo del MAPA sottomettendo quindi i temi ambientali all’agenda politica ed economica del business legato alle politiche agricole. Ma è lo stesso Bolsonaro a prendere posizione dichiarando espressamente che: “i territori indigeni, le aree protette, i parchi nazionali e le riserve ecologiche sono un impedimento per lo sviluppo” così come “le continue fiscalizzazioni degli istituti preposti alle infrazioni ambientali pregiudicano l’attività degli investitori” mentre “i terreni dei nativi potrebbero essere sfruttati in maniera razionale pagando agli indios delle royalties e integrando le comunità nella società”.

Il presidente Bolsonaro e la lobby dell’agro-business vorrebbero, inoltre, che il Congresso votasse al più presto, anche senza consultare le parti interessate, la Misura Provvisoria 910/2019 ora Progetto di Legge 2633/2020 con cui si vuole “condonare” la deforestazione e l’accaparramento di terre avvenute fino al 2018. Un segnale incoraggiante per chi saccheggia illegalmente la foresta amazzonica. Il voto era previsto per il 25 maggio 2020 ma la discussione è stata posticipata grazie a una forte mobilitazione internazionale, che ha visto coinvolti anche alcuni parlamentari italiani, su iniziativa di vari membri del parlamento federale tedesco che hanno sottoscritto una lettera aperta indirizzata a Rodrigo Maia, presidente della Camera dei deputati del Brasile.

Quanta foresta pluviale stiamo perdendo? Deforestazione, incendi e la minaccia per l’ecosistema mondiale

Più di un quinto della foresta è già stato distrutto nel corso di 80 anni e l’intero ecosistema viene così seriamente compromesso. Il disboscamento permette infatti la vendita e l’esportazione del legname, anche molto pregiato, l’aumento di terreno per l’agricoltura, di cui si sente un forte bisogno per via della crescita della popolazione e dei mercati esteri, e lo sfruttamento di giacimenti minerari. Nel corso degli anni sono state costruite numerose autostrade per collegare grandi città, che sono state fonti primarie di deforestazione e hanno incoraggiato la costruzione di nuovi villaggi lungo di esse, aggravando ulteriormente il problema.

Secondo l’Istituto brasiliano di ricerche spaziali (INPE), nel 2019 la deforestazione in Amazzonia è aumentata del 30% rispetto all’anno precedente, colpendo il 55% delle unità di conservazione e il 62% delle terre indigene. Tra gennaio e aprile 2020 il tasso di deforestazione è aumentato del 62% e, all’interno delle unità di conservazione, questo aumento ha già raggiunto il 167% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. In risposta alla deforestazione e contro le accuse relative agli incendi della scorsa estate Bolsonaro ha inviato l’esercito per monitorare la situazione, misura criticata per la sua natura propagandistica e la sua inefficacia dovuta alla mancanza di competenze ambientali che invece avrebbero sia altri enti che le comunità native che sono state private del potere di controllo e monitoraggio ambientale.

Il ministro dell’ambiente brasiliano Ricardo Salles, nel mese di maggio, ha proposto al governo di indebolire ulteriormente la legislazione ambientale essendo l’opinione pubblica distratta dall’emergenza coronavirus. “Dobbiamo fare uno sforzo ora che la copertura mediatica è calata e tutti parlano solamente del coronavirus, e fare pressione per cambiare le leggi e semplificare le norme” Il ministro si lamenta delle sfide legali per cambiare i regolamenti e sostiene che il governo debba difendere questi cambiamenti e bypassare il Congresso: “Non abbiamo bisogno del Congresso. Perché con il caos attuale, non ce le faranno mai passare”. La dichiarazione del ministro è stata ripresa in un video, registrato nell’ambito di indagini della Corte Suprema sulla presunta interferenza del presidente Jair Bolsonaro nella nomina del nuovo capo della polizia federale, e fatta circolare sui media suscitando vigorose reazioni del mondo ambientalista e dei diritti umani secondo cui questo documento testimonia, in maniera inconfondibile, la volontà del governo di indebolire le norme a tutela dell’ambiente in favore di interessi economici. In risposta il Ministero dell’ambiente ha pubblicato una dichiarazione in cui il ministro si difende: “Ho sempre difeso la de-burocratizzazione e la semplificazione delle norme, in tutti i campi, con il buon senso e nei limiti della legge. La rete di queste norme insensate ostacola gli investimenti, la creazione di posti di lavoro ed uno sviluppo sostenibile”. Luiza Lima, portavoce di Greenpeace Brasil ha commentato aspramente: “Salles crede che, con le persone che muoiono in ospedale, sia un buon momento per portare avanti i suoi progetti contro l’ambiente”.

Stando alle recenti osservazioni nel corso dell’estate 2020 gli incendi, quasi esclusivamente di origine dolosa, sono aumentati almeno del 20% rispetto allo scorso anno. A bruciare è anche il Pantanal, la regione umida che include le foreste pluviali di Brasile, Bolivia e Paraguay. Nel 2020 sarebbe andato in fumo (nella maggioranza dei casi per mano dell’uomo) il 12 % di questo inestimabile patrimonio naturalistico: un’area di 1 milione e 650mila ettari, con un aumento del 20% dei roghi rispetto al 2019. Mentre, notizia di pochi giorni fa, le fiamme hanno distrutto l’85% del Parco statale ‘Encontro das Aguas’, situato nello Stato occidentale di Mato Grosso e noto per avere la più alta concentrazione al mondo di giaguari, felini già minacciati di estinzione.

Secondo il WWF ogni anno, mediamente, perdiamo 1.600.000 ettari di foresta amazzonica. L’Amazzonia è la più grande foresta tropicale del pianeta, senza quei 6,7 milioni di chilometri quadrati, senza il respiro dei suoi alberi, non sarebbe possibile la vita sulla Terra. Nel bacino amazzonico, inoltre, confluisce il 20% dell’acqua dolce (di superficie) della Terra. L’Amazzonia svolge un ruolo cruciale per garantire la stabilità del clima globale, non solo perché intrappola il carbonio nella terra e nella vegetazione, ma anche per il suo ruolo nella circolazione dell’aria e dell’umidità. Inoltre, la foresta amazzonica è uno dei principali Hot-spot della biodiversità globale secondo i principi stabiliti nella convenzione sulla Biodiversità del 1992 – nonché patrimonio dell’umanità UNESCO dal 2000 – in quanto nella regione sono più di 12.000 le specie endemiche protette. Fra il 2015 e il 2019, nella sola Amazzonia brasiliana sono state scoperte 600 nuove specie di piante e animali ma la deforestazione non concede neppure tempo agli scienziati di raccogliere informazioni sufficienti a farcele conoscere. Un patrimonio ecologico, raro e minacciato, e un complesso di servizi eco-sistemici dal valore e dall’impatto incalcolabile per la vita di tutti sul pianeta.

Davide Merando
Geopolitica.info

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