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Questione Bielorussia: Occidente contro Lukashenko, revival storico o atto finale di democratizzazione?

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Blocco europeo ed equilibrio mondiale. Odori di una nuova guerra civile alle porte d’Europa che tanto assomigliano anche alle storie di guerra fredda, di comunicazione ma non solo. Stessa storia, nuovi protagonisti, Bielorussia e Aleksander Lukasenko contro l’occidente democratizzatore.

Il quadro di stabilità geopolitica mondiale appare complesso come mai prima, da una parte una nazione “succursale” della più grande potenza mondiale, dall’altra il blocco occidentale ormai ben saldo verso l’obiettivo democrazia che più ambiguo di così sarebbe difficile realizzarlo. La logica della rivolta in piazza, inflazionata (da chi?), anche nell’estetica, da un 900’ di rivolte degli oppressi contro il padrone, quindi il capitale, ma utile carta comunicativa per l’oggi, 2020. L’eterna caccia alle streghe, secolare, dello “spettro che si aggira per l’Europa”.  Il capitale avanza, come unico e solido pilastro economico-politico e sociale mondiale, lo abbiamo tastato tutti con mano durante l’era del Covid: si evolve, detta linea economica, spartisce, comanda, ma soprattutto comunica, non riconosce più la legittimità, anche solo politica, di un’alternativa mondiale, non apre al dibattito serrato per capirne, eventualmente, le cause di questa alternativa. Un blocco mondiale mai cosi unito e ma così diviso, unito nell’intento primordiale di esportare democrazia in tutto il mondo, non prima di aver ricalcato quei confini d’Europa rimasti per troppo tempo in sospeso. Come in Ucraina ieri, in Bielorussia oggi. Economia prima di tutto, unico carburante di un Impero mondiale sempre sull’orlo del declino, ma sempre fenice, quasi del tutto incapace di riconoscere rapporti bilaterali un po’ ovunque. 

Questo è il quadro storico da cui occorre partire per analizzare, comprendere e valutare tutto ciò che, dal 94 ad oggi, rappresenta a tutti gli effetti l’unico vero fronte superstite del blocco sovietico. Laureato in economia nel 1974 presta servizio nell’esercito sovietico, più specificatamente nelle truppe di frontiera, negli anni 1975-1977 e 1980-1982. Il primo passo politico a livello nazionale di Lukashenko è da ricondursi al 1990, anno in cui venne eletto deputato del soviet bielorusso, che lo portò nel ’91 a creare il partito “Comunisti per la Democrazia”, che avrebbe dovuto illuminare il cammino del comunismo e dei suoi saldi principi verso un processo di democratizzazione. Il vanto con cui sempre nel 91 non firmò per lo scioglimento dell’Unione Sovietica la dice lunga sul percorso che avrebbe voluto e potuto intraprendere. Le elezioni del 1994 furono il viatico al dominio politico di Lukashenko che, con ampio scarto al secondo turno, annientò il diretto rivale Kebic, facendo storcere il naso al “Mondo nuovo” post URSS che invece aveva aperto cuori e menti verso un processo di democratizzazione e quindi con annessa riluttanza verso ciò che rimaneva del “Vecchio mondo”, e che non vide assolutamente di buon occhio la vittoria del leader sovietico, unico rimasto nel panorama europeo e mondiale. Iniziarono, quindi, subito le dichiarazioni di illegittimità governativa verso Lukasenko che sfociarono nel 1996 quando, a seguito di un documento denuncia per presunte violazioni costituzionali da parte di 2/3 del parlamento, Lukashenko si avvalse di un sostegno fondamentale da parte di alcuni mediatori russi che non solo annullarono questo documento ma riuscirono a prolungare la reggenza del soviet da 5 a 7 anni.

Il processo di comunismo legittimato attraverso la democrazia applicata proseguì sia per la posizione netta presa da Lukashenko verso privatizzazione e corruzione, ma soprattutto per l’orientamento di natura economica che intraprese. Infatti, ai tempi della sua elezione la Bielorussia attraversava un periodo di crisi economica in cui egli si impegnò a stabilizzarne l’andatura evitando collassi. Tra i vari provvedimenti ne vanno segnalati alcuni. Innanzitutto, raddoppiò la quota del minimo salariale, in seguito reintrodusse il controllo dei prezzi da parte dello Stato e, seppur poche, cancellò le riforme attuate dal governo precedente ritenute incompatibili con il modello che si andò ad attuare. Ma, come è risaputo, per un paese quasi completamente dipendente dalla Russia, da cui gas ed elettricità venivano e vengono tuttora importati, taluni provvedimenti fecero squilibrare i conti, con annessi debiti per l’economia nazionale. Per cui Lukašenko vide come unica necessità l’unione economica tra Russia e Bielorussia. Avvenne e di conseguenza la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale sospesero i prestiti alla Bielorussia data la mancanza di riforme economiche che la politica di Lukašenko offriva.

Dal 1994 al 2020 sono passati 25 anni in cui Lukashenko si è sempre affermato, confermato, riaffermato. Sempre tramite elezioni e sempre attraverso quel canale democratico tanto caro all’occidente ma che quando intraprende un percorso alternativo a quello prestabilito, presta il fianco all’intolleranza, alla non comprensione . Allende pagò con la sua stessa vita questa allergia occidentale alla filosofia comunista, Lukashenko ha saputo invece crearsi intorno una corazza che fino a pochi mesi fa sembrava solida, sempre sotto pressione, ma solida. Adesso si è andato comporre un quadro abbastanza chiaro, di nuovo il blocco sovietico contro tutti o tutti contro il blocco sovietico. L’imperialismo che cerca di assemblare gli ultimi pezzi rimasti per poter creare finalmente il tanto sognato “Blocco occidentale” in grado, chissà quando, chissà dove e soprattutto chissà perché, di sostenere il conflitto mondiale di cui sembra esserci assoluta necessità. La Repubblica di Bielorussia, compare al 50° posto nella classifica mondiale degli Stati mondiali per indici di sviluppo umano, tra le prime 62 nazioni, considerate con indice ISU “molto alto”, dal Rapporto delle nazioni Unite, sul “programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo” il tasso di alfabetizzazione arriva al 99,9% privo di differenziazioni di “genere”, tra i primi paesi al mondo per uguaglianza di redistribuzione di reddito (dati 2016) eppure sempre severa e puntuale arriva l’arringa di chi sostiene “i diritti umani assoluti e violati”, da chi grida ad una democratizzazione urgente da esportare e da consegnare ai cittadini, un versamento di sangue civile che occorre solo a far quadrare i conti prestabiliti all’interno del quadro occidentale.

Siamo di fronte ad un revival storico che non ha insegnato nulla a nessuno.

Siamo di fronte all’ultimo atto di democratizzazione occidentale, ultimo tassello mancante per un fronte unito e coeso, pronto a difendersi dagli spettri del’900.

Che forse un po’ ci mancano davvero.

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