Partendo dai concetti di Intelligenza Artificiale affidabile e antropocentrica illustrati nel Libro Bianco sull’IA della Commissione Europea, come è destinata a cambiare l’applicazione delle nuove tecnologie in Italia? Nel luglio 2020 è stata elaborata la Strategia Nazionale per l’IA, con una grande attenzione per le PMI, ma a che punto siamo? Un breve excursus sulle tappe principali raggiunte, e da raggiungere, in Italia e in Unione Europea nel campo dell’Intelligenza Artificiale, fino ad arrivare ai progetti di digitalizzazione e sviluppo sostenibile del Next Generation-EU.
Emanuela Girardi è la Founder e Presidente di Pop AI (Populal AI), membro del gruppo di esperti di AI del MiSE che hanno scritto la Strategia nazionale di AI italiana, coordinatrice della Task Force su AI & COVID-19 di CLAIRE (confederazione dei laboratori di ricerca in AI in Europa), membro del direttivo di AIxIA (associazione italiana di intelligenza artificiale), una delle fondatrici di Dateci Voce (movimento per democrazia paritaria), membro del Direttivo e Comitato Scientifico di BASE, start-up civica.
L’Agenda Digitale Europea, nel febbraio del 2020, ha evidenziato un’attenzione speciale per l’Intelligenza Artificiale nel suo Libro Bianco sull’IA e nella Strategia europea per i dati. È emersa la necessita di un’IA antropocentrica, che cioè non perda di vista la centralità della persona nello sviluppo tecnologico. Nel 2021 avrà luogo il Follow-up del Libro Bianco, quali saranno i risvolti pratici in questo senso? Sempre rimanendo nell’ambito della Strategia europea in materia di IA e dati, un altro dei criteri è quello della “fiducia”. Cosa vuole dire costruire un ambiente di fiducia nell’IA?
Cosa vuole dire tecnologie IA affidabili? Vuole dire che affinché le persone possano utilizzare questi sistemi e possano accettare le decisioni automatiche prese da questi sistemi, devono potersi fidare. È compito, dunque, dei nostri governi europei definire cosa voglia dire “affidabile”. Per tale motivo, la Commissione europea ha costruito una commissione di esperti che son partiti da una definizione di trustworthy e human-centric IA, cioè IA affidabile e antropocentrica. Dove per affidabile s’intende sviluppare dei sistemi di intelligenza artificiale che, da una parte, rispettino le leggi, i diritti, i valori europei e, dall’altra parte, far sì che siano robusti tecnicamente, ma soprattutto che siano sicuri.
Per quanto riguarda gli aspetti etici, sono stati identificati quattro principi fondamentali condivisi da tutti gli Stati membri dell’UE. Le tecnologie affidabili, dunque, devono: non nuocere alle persone, rispettare l’autonomia dell’uomo, essere eque e corrette ed essere spiegabili (concetto di trasparenza). Per utilizzare queste tecnologie, dobbiamo poterci fidare di esse e, soprattutto, l’IA – come nella visione europea – deve essere antropocentrica, mettere cioè al centro l’uomo con l’obiettivo di migliorare la vita delle persone. Per poter sfruttare in sicurezza tutti i benefici dell’AI è necessario definire un quadro legislativo che garantisca che questi sistemi non nuocciano alle persone. Quello che si sta cercando di fare è non di regolamentare l’utilizzo delle singole tecnologie e applicazioni, ma di analizzare i rischi, elevati o bassi, che derivano dall’utilizzo delle stesse. Il punto di arrivo di tale approccio è la definizione di un quadro legislativo che permetta di costituire un insieme di regole specifiche e che protegga i cittadini e le imprese dai rischi correlati ad un uso “malevolo” di queste tecnologie. È tutta la parte della protezione dei diritti fondamentali dell’uomo, della non discriminazione, dei diritti alla privacy e via discorrendo.
All’inizio del 2021 si arriverà alla presentazione di un draft di una legge europea da parte della Commissione, poi il Parlamento europeo dovrà accettare ed elaborare tale proposta e tradurla in regolamento. La cosa interessante è che c’è stata da parte di tutti gli Stati membri l’intenzione di avere una legge europea che sia una sorta di GDPR europeo per l’IA. Quindi restrittivo e condiviso da tutta la comunità, proprio per poter creare un mercato unico dei dati e far sì che l’Europa raggiunga uno degli obiettivi indicati nel Libro bianco, e cioè di diventare leader mondiale dell’innovazione.
In Italia, nel luglio 2020 è stata resa pubblica la Strategia Nazionale per l’Intelligenza Artificiale del Ministero dello Sviluppo Economico, la quale racchiude una grande attenzione verso le PMI e la sostenibilità sociale e ambientale. Essendo lei parte della task force del MiSE per l’IA, quali sono gli elementi principali di tale strategia e come si colloca rispetto a quella europea?
Il punto di partenza della Strategia italiana è che con l’Intelligenza Artificiale da sola non si fa gran ché, si ha bisogno di un ecosistema tecnologico che ha al suo interno i dati, l’infrastruttura, la connettività, il 5G, blockchain ecc… e, ovviamente, l’IA. Dopodiché, abbiamo definito tre pilastri sui quali abbiamo fondato la Strategia italiana, uno è quello dell’AI per l’essere umano, già presente nella visione europea: l’approccio antropocentrico. In questa prima parte ci siamo focalizzati molto su quello che nel Libro bianco viene chiamato un ecosistema di eccellenza e di fiducia, come favorire l’adozione e la promozione di queste tecnologie da parte dei vari stakeholder.
Il secondo pilastro riguarda lo sviluppo dell’IA per un ecosistema digitale che deve essere affidabile, produttivo e sostenibile e mettere insieme i vari attori come le università, la società civile, le imprese e i cittadini per favorire l’adozione di tecnologie di IA. In particolare, ci siamo focalizzati su quella che è la caratteristica del tessuto economico italiano che fondato sulle piccole medie imprese e, quindi, su come portare queste tecnologie alla PMI italiana. Se andiamo a vedere il tasso di adozione di tali tecnologie da parte delle aziende italiane nel 2018 eravamo al 12% e nel 2019 a un 20%. Se poi andiamo a vedere la tipologia di tecnologie adottate da tali aziende, ci si accorge che la maggior parte hanno sviluppato una chatbot, ne segue che si possa fare molto di più in questo campo. Queste tecnologie sono duali, da una parte portano grandissimi benefici, dall’altra parte ci sono dei rischi collegati, come già visto a livello europeo. Per quanto riguarda le aziende, vi sono i rischi legati all’utilizzo dei dati, soprattutto dei dati personali. Ad esempio, se s’insegna alla PMI italiana come raccogliere i dati, come annotarli, come utilizzarli con IA, come stoccarli e come condividerli, il rischio è che magari condividendo tali dati l’azienda dia via con essi i propri vantaggi competitivi e, quindi, i segreti aziendali. Per ovviare tale problema, abbiamo cercato di focalizzarci su quest’area di rischio e di identificare delle soluzioni concrete che potessero aiutare le PMI ad iniziare a utilizzare le tecnologie di IA. Le soluzioni proposte riguardano per esempio come condividere contrattualmente i dati (data sharing agreements); soluzioni tecnologiche per mantenere i dati in azienda (federated machine learning); soluzioni per la formazione, come per esempio organizzare dei road-show in collaborazione con le Camere di Commercio e associazioni di imprese per presentare la Strategia territorialmente alle SME in tutta Italia ecc… Tutte queste soluzioni sono sì strategiche, ma allo stesso tempo concrete.
L’ultimo pilastro della Strategia italiana riguarda l’IA per lo sviluppo sostenibile, quello che abbiamo fatto rispetto all’UE è un passaggio ulteriore, cioè non mettere al centro l’uomo, bensì l’intero pianeta. Collegare lo sviluppo delle tecnologie di IA al raggiungimento dei 17 obiettivi dello sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Qualche esempio concreto: utilizzo dell’IA per ridurre la povertà, la fame, ottimizzare le risorse idriche, ridurre l’inquinamento. L’obiettivo ultimo è quello di “non lasciare nessuno indietro”. Questo perché col digitale abbiamo visto, anche in questo periodo di crisi pandemica e lockdown, che le disuguaglianze tendono ad ampliarsi ulteriormente. Invece è fondamentale cambiare l’approccio, cercare di ridurre tali disuguaglianze e adottare una visione più inclusiva e di lungo periodo per costruire una società sostenibile per tutti dal punto di vista economico, sociale e ambientale. Questo è indubbiamente l’aspetto più innovativo della Strategia italiana, adottato adesso anche a livello europeo e internazionale.
Nel dicembre del 2020 è stato finalmente raggiunto l’accordo per Next Generation-EU, quali sono i cambiamenti e progetti in arrivo per quanto concerne lo sviluppo digitale e, nello specifico, dell’Intelligenza Artificiale? Come e da chi verrà gestita la governance dei progetti e il fondo predisposto?
Quello che sta facendo il governo italiano è di seguire il focus strategico che è stato dichiarato dalla Commissione europea, quindi di focalizzarsi sulla parte di digitale e sulla parte di green deal. Nel Piano Nazionale di Resilienza e Ripresa che è stato presentato dall’Italia, queste sono le due aree alle quali sono stati destinati i maggiori investimenti: alla parte di Digitalizzazione, Innovazione Competitività e Cultura circa il 22% e alla parte di Transizione ecologica, Rivoluzione verde un circa il 32%. Il piano è di alto livello, si identificano le aree di intervento, però non si entra nel dettaglio dei progetti. L’Italia è molto indietro nella digitalizzazione della PA rispetto alla media internazionale, adesso ci sono i fondi e questo rappresenta un’opportunità da non perdere. Sicuramente ci sono delle criticità perché questi fondi sono divisi in due aree, da una parte ci sono dei fondi che sono sussidi e dall’altra prestiti. Uno dei vincoli dei sussidi è che il 70% deve essere speso entro il 2023. L’esperienza degli ultimi anni e la media dell’Italia per spendere i fondi della Commissione europea non sono proprio di successo, negli ultimi 7 anni siamo riusciti a spendere soltanto circa il 40% dei fondi che potevano utilizzare. L’aspetto organizzativo di tutti i progetti che serviranno per il Recovery Fund rappresenta una delle maggiori criticità. L’aspetto di governance, di chi se ne occupa, è oggi uno degli elementi più critici da affrontare. La mia personale opinione è che vi siano già Ministeri ed Enti competenti, e quindi, forse, creare un’ulteriore task force per andare a gestire tali progetti sarebbe una duplicazione, al massimo si potrebbero rafforzare queste strutture assumendo persone con le competenze mancanti. E soprattutto prima di partire sarà necessario definire per ogni area e progetto obiettivi chiari, misurabili, i fondi da utilizzare per ogni progetto e le persone direttamente responsabili. Servirà uno sforzo organizzativo enorme, quello che mi auguro – facendo parte anche del gruppo Dateci Voce che promuove la parità di genere – è che sia rispettata la parità di genere nella composizione del gruppo di persone che lavoreranno e gestiranno tali progetti, e che vengano rispettati i criteri di diversità, di parità di genere e dell’inclusione nello sviluppo dei progetti del piano affinché queta volta si possa veramente costruire un futuro migliore per l’Italia e per tutte le persone che vivono nel nostro Paese.
Alessia Sposini
Centro Studi Geopolitica.info