“Questo è un atto vergognoso da parte del governo indiano, che per ora ci costringe a cessare il fondamentale lavoro sui diritti umani di Amnesty International India. Tuttavia, questo non segna la fine del nostro fermo impegno nella lotta per i diritti umani nel paese. Lavoreremo risolutamente per continuare a svolgere la nostra parte all’interno del movimento per i diritti umani in India per gli anni a venire.” Con queste parole Julie Verhaar, la segretaria generale di Amnesty International, ha commentato la chiusura della sede in India lo scorso 29 settembre.
L’ONG più famosa al mondo per le sue campagne nella tutela dei diritti umani Amnesty International è stata costretta ad interrompere le sue campagne e a licenziare i suoi 140 dipendenti dopo aver ricevuto il blocco dei finanziamenti da parte del Governo che ha accusato l’organizzazione di violare le leggi che regolano i finanziamenti esteri.
“L’India non consente per legge l’interferenza nei dibattiti politici interni da parte di entità finanziate da donazioni straniere e questa legge si applica ugualmente a tutti e si applicherà di conseguenza anche ad Amnesty International” ha così dichiarato il Ministro degli Affari Interni.
Nelle accuse di governo si legge inoltre che Amnesty era già da tempo oggetto di indagine, affermazione smentita alla BBC dal portavoce Rajat Khosla il quale ha riferito che “Amnesty India rispetta pienamente tutti i requisiti legali nazionali e anche quelli internazionali”.
Ma questa è stata solamente l’ultima manifestazione di una campagna di intolleranza e intimidazioni da parte del governo iniziata a partire dal 2014 anno della nomina di Narendra Modi come primo ministro e che ha visto coinvolti altri gruppi indipendenti per i diritti civili, giornalisti, attivisti e avvocati.
È chiaro infatti che le accuse nascondono un grossolano tentativo da parte del Primo ministro e del Bharatiya Janata Party (Bjp), il partito di Modi, di mettere a tacere la verità e qualsiasi forma di critica nei confronti dell’azione di governo in particolare su tre temi molto delicati: la questione del Kashmir, gli scontri tra i musulmani e indù, e le continue violenze sulle donne.
I primi di agosto, all’anniversario della revoca dello status speciale del Kashmir e dell’abrogazione dell’articolo 370, Amnesty ha pubblicato un primo rapporto in cui pone l’accento sulla situazione attuale della regione chiedendo la liberazione dei politici, degli attivisti e degli imprenditori; denuncia la censura della stampa, la presenza dell’esercito indiano nel Kashmir con mezzo milione di soldati, migliaia di detenzioni arbitrarie che continuano in mezzo a violenze e restrizioni su Internet che assicurano che la maggioranza della popolazione musulmana rimanga in gran parte isolata.
Sempre ad agosto in un pungente rapporto Amnesty aveva denunciato le molteplici violazioni dei diritti umani durante le manifestazioni di febbraio. Ha accusato la polizia della capitale indiana New Delhi di aver commesso violazioni dei diritti umani durante gli scontri in cui la popolazione protestava contro la legge sull’emendamento alla cittadinanza (CAA) che esclude i musulmani dal registro nazionale dei cittadini (NRC). Manifestazioni pacifiche per lo più fatte da donne, studenti e musulmani (ma non solo) fatti passare come manifestanti violenti. Amnesty ha posto l’accento anche sui numerosi discorsi d’odio pronunciati dagli alleati politici di Modi prima e durante le rivolte comunali, e ha denunciato la mancanza di qualsiasi indagine sul coinvolgimento della polizia per la morte di decine di musulmani.
Come ulteriore punto ha focalizzato l’attenzione sulla violenza quotidiana, le molestie e la discriminazione subite da donne e ragazze. Nel 2018 secondo un sondaggio della Thomson Reuters foundation l’India è il posto più pericolo al mondo per una donna. Le statistiche fatte sui numerosissimi casi di violenza, tra cui violenza sessuale, aggressioni con l’acido, violenze domestiche, infanticidio e matrimoni forzati, dimostrano che in dieci anni i crimini contro le donne sono aumentati dell’83 per cento. Non ultimo il caso di una giovane donna morta pochi giorni fa a causa di uno stupro di gruppo che ha provocato proteste a livello nazionale contro il governo e la polizia dell’Uttar Pradesh accusati di aver gestito le indagini in modo discriminatorio e anticostituzionale.
Rajat Khosla in un’intervista alla BBC ha affermato che proprio in seguito ai due rapporti di agosto l’organizzazione aveva dovuto affrontare una situazione senza precedenti subendo attacchi e intimidazioni continui da parte del governo che non aveva risposto a nessuna delle problematiche sollevate.
Gli attacchi contro i musulmani, la legge sulla cittadinanza, i discorsi d’odio degli esponenti del partito, il controllo sul Kashmir, sono tutti segni evidenti di una politica che sta minacciando l’India che mira ad ottenere quello che il Bjp e i suoi fondatori hanno sempre voluto: un paese che è prima di tutto indù e che punisce chi come Amnesty si batte per la verità.
Maria Sorrentino,
Geopolitica.info