Il mondiale di calcio in Qatar sta per iniziare e noi italiani vivremo naturalmente un mese di “difficile”. Gli “azzurri” per la seconda volta non saranno tra le squadre protagoniste della fase finale, ed è tremendamente difficile abituarsi. Negli occhi il numero 10 di Roberto Baggio a Usa ’94, i goal a “grappoli” di Totò Schillaci e le “notti magiche” di Italia ’90, e ancora Fabio Grosso che calcia l’ultimo rigore contro la Francia nello Stadio Olimpico di Berlino, nel 2006, e poi i goal di Paolo Rossi al Brasile e Sandro Pertini con la coppa nel 1982. La storia del Campionato mondiale di calcio è fatta di “tanta” Italia, fin dagli anni ’30 quando durante il ventennio fascista l’Italia si laureò campione del mondo per ben due volte di fila. Fin qui il dolce amarcord, per noi italiani nostalgico.
La ventiduesima edizione si svolgerà in Qatar, emirato del Vicino Oriente sul Golfo Persico, e il luccichio della coppa e della parata di campioni pronta a sbarcare a Doha contrasta con le ombre legate ai diritti umani negati, alle condizioni dei lavoratori negli stadi (perlopiù migranti) e alla completa disattenzione verso i temi legati alla parità di genere. Riavvolgiamo il nastro: per 11 volte il mondiale di calcio si è svolto in Europa, 8 nel continente americano, 1 edizione in Africa (ricorderete il frastuono delle vuvuzela), 1 in Asia e poi il Qatar.
I Mondiali in Qatar in pieno autunno, nel cuore della stagione calcistica, sono di fatto un’anomalia, un problema per tutti gli addetti ai lavori, per i tifosi e gli appassionati di questo sport. Tutto questo disagio si può sintetizzare nel mea culpa di Sepp Blatter – ex numero uno della Fifa – che pochi giorni fa ha ammesso che all’epoca l’organo di governo del calcio mondiale commise un grave errore.
Lo stesso percorso che ha portato la Fifa ad assegnare i Mondiali al Qatar è una strada davvero tortuosa che è stata raccontata in un lungo articolo dal giornalista Andrew England sul Financial Times, in cui la candidatura del Qatar viene definita “donchisciottesca”. Sintetizzando, a partire dagli anni ’90 la riconversione energetica sul Gas naturale liquefatto (Gnl) lancia il paese nel futuro generando un rapido e robusto accumulo di ricchezza che mette Doha sulla cartina del mondo e dà fiducia alla famiglia al-Thani, in particolare allo sceicco Hamad, che dal 1995 inizia a modernizzare lo Stato, con investimenti in ogni settore, in particolare con la nascita dell’emittente Al Jazeera, oggi riconosciuta in tutto il mondo. Intorno agli anni Duemila, il Qatar diventa quindi il principale esportatore mondiale di Gnl e istituisce un fondo sovrano che gestisce asset per circa 450 miliardi di dollari. L’emirato ha investito per i mondiali più di duecento miliardi di dollari in infrastrutture e megaprogetti, inclusi 6,5 miliardi di dollari in stadi e altre strutture destinate alle squadre. Una roba, effettivamente, mai vista.
E dopo? Accuse di corruzione contro i membri del comitato esecutivo della Fifa, scandali legati ai diritti dei lavoratori impiegati e le migliaia di morti sul lavoro per le condizioni disumane. Infine a pochi giorni dal mondiale le questioni legate ai diritti umani: da un’inchiesta del Guardian sappiamo che dal 2010 in poi sarebbero morti circa 6.500 lavoratori nei cantieri delle infrastrutture da realizzare per il campionato mondiale di calcio. Una percentuale spaventosa rispetto ai più di 2 milioni di lavoratori stranieri reclutati da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh, Sri Lanka e Filippine. L’inchiesta del Guardian coincide con un report dell’Onu del 2020. E poi l’impatto ambientale, salatissimo.
Diamo adesso i numeri di questo Mondiale controverso:
200, i miliardi di dollari spesi dal Qatar per organizzare la Coppa del Mondo, contro gli 11 della Russia nel 2018, uno sproposito;
Zero, il numero di clausole sui diritti umani riguardanti le tutele sul lavoro richieste dalla Fifa alle autorità del Qatar in occasione dell’assegnazione dei diritti di hosting nel 2010;
Tre, il numero ufficiale di lavoratori morti durante i preparativi per i Mondiali 2022, secondo Qataris e Infantino. Secondo un’inchiesta del Guardian sarebbero 6.500 circa. Il numero reale non sarà mai conosciuto. Secondo Human Rights Watch “le autorità del Qatar non sono riuscite a indagare sulle cause della morte di migliaia di lavoratori migranti, molti dei quali sono attribuiti a ‘cause naturali”;
200 gli operai nepalesi morti a causa del caldo in Qatar, secondo uno studio del 2019 sulla rivista Cardiology che ha trovato una correlazione, concludendo che “ben 200 dei 571 decessi cardiovascolari [di lavoratori nepalesi] durante il 2009-17 avrebbero potuto essere evitati” con efficaci misure di protezione dal calore;
100.000 il numero di lavoratori migranti (minimo) che Amnesty International ritiene siano stati sfruttati e abbiano subito abusi a causa delle leggi sul lavoro permissive e dell’insufficiente accesso alla giustizia in Qatar negli ultimi 12 anni;
14-18 le ore lavorate al giorno da molti lavoratori migranti in Qatar, in particolare nei settori domestico e della sicurezza, secondo Amnesty;
225 sterline, il salario minimo legale al mese in Qatar (1.000 riyal), l’equivalente di circa 1 sterlina l’ora, anche se vitto e alloggio sono forniti;
119, la valutazione del Qatar, su 180 paesi, nell’indice sulla libertà di stampa di Reporters Without Borders;
7 gli anni di carcere che possono affrontare uomini e donne che hanno rapporti sessuali al di fuori del matrimonio ai sensi dell’articolo 281 del codice penale. HRW afferma che ciò colpisce in modo sproporzionato le donne, che sono state perseguite se denunciano uno stupro;
11 i casi di maltrattamento in detenzione di persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender tra il 2019 e il 2022, secondo un rapporto di HRW dell’ottobre 2022;
5 il possibile numero di anni di reclusione ai sensi dell’articolo 296 del codice penale del Qatar per “indurre, istigare o sedurre un maschio in qualsiasi modo a commettere sodomia o dissipazione” e “indurre o sedurre un maschio in qualsiasi modo a commettere azioni illegali o immorali”;
440 milioni di dollari, l’importo che Amnesty e altri ritengono che la Fifa dovrebbe mettere a disposizione per aiutare a risarcire i lavoratori migranti che sono morti o hanno subito lesioni in Qatar.
Numeri questi che probabilmente saranno dimenticati quando i riflettori degli stadi si accenderanno e lo show inizierà. Mai come stavolta, forse, è stato meglio non partecipare.