Nei giorni scorsi si è tenuto a San Pietroburgo l’International Economic Forum (SPIEF), il consesso che dal 1997 rappresenta una sorta di anti-Davos dei paesi revisionisti dell’ordine unipolare a trazione statunitense. In questa 26° edizione, dedicata al tema dello “Sviluppo sovrano alla base di un mondo giusto. Uniamo le forze per il bene delle generazioni future”, è intervenuto nella sessione plenaria il capo del Cremlino, che in un intervento di più di un’ora ha ribadito alcuni temi portanti della comunicazione di Mosca dall’inizio della guerra. Nella seconda parte dell’intervento, si è poi confrontato con il presidente algerino Abdelmajid Tebbun, a testimoniare lo sguardo extraregionale della Federazione Russa e l’attenzione posta all’allargamento dei BRICS, cui il paese nordafricano ha fatto formale richiesta di adesione lo scorso 7 novembre.
Se in una prima fase della guerra, come abbiamo già messo in rilievo (qui), la comunicazione del Cremlino ha fatto prevalentemente leva sul sentimento nazionale russo, sull’appartenenza regionale degli oblast del Donbass e sulla ragione “identitaria”, sia in senso territoriale sia in senso storico e linguistico, in una guerra che nella sua prima parte si caratterizzava anzitutto in termini regionali, successivamente – prima con il coinvolgimento sempre più massiccio della Nato e della UE e poi con il delinearsi sempre più marcato di un fronte BRICS allargato – la guerra e la relativa propaganda hanno assunto sempre più i tratti di un confronto di carattere politico, economico e potenzialmente militare tra l’emisfero occidentale e quello orientale, estendendo nei fatti il conflitto a una scala realmente globale.
Putin, fin dalle prime battute del suo discorso tenuto ieri nel primo pomeriggio, ha posto il suo paese in una posizione geografica simbolicamente centrale, come esempio per i rappresentanti degli Stati presenti, intesi sia come partner commerciali sia come attori di un teatro geografico di scala più ampia, rivendicando come, attraverso meccanismi di bilancio e politiche monetarie, il paese sia riuscito da parte sua ad assorbire l’impatto dell’impegno bellico e delle trasformazioni che questo ha comportato, evidenziando i dati sulla disoccupazione (al 3,3%) e sull’inflazione (2,9%). Tutto il discorso, più in generale, è stato improntato a un’esaltazione dei successi economici domestici, dei rapporti intrattenuti con gli altri paesi, dell’apertura al mercato internazionale e agli investitori stranieri, delle iniziative private e di quelle pubbliche relative alle grandi infrastrutture.
La mappa che ne deriva è quella di rapporti transnazionali “con i paesi della Comunità economica eurasiatica, Asia, Medio Oriente e Africa e America Latina”, quelli che il capo del Cremlino definisce in un passaggio del discorso “il mercato del futuro”. Il planisfero politico-economico diventa così esplicitamente multipolare: “il brutto sistema internazionale essenzialmente neocoloniale ha cessato di esistere, mentre l’ordine mondiale multipolare, al contrario, si sta rafforzando”. Tanto che mette esplicitamente in discussione uno dei pilastri del sistema unipolare, la centralità del dollaro: “il 90 percento degli accordi con i paesi dell’Unione economica eurasiatica sono in rubli e oltre l’80 percento degli accordi con la Cina sono in rubli e yuan”. Sembra voler rispondere implicitamente anche ai paesi sanzionatori e che hanno ritirato le proprie aziende dal mercato russo, quando sostiene si sta verificando una trasformazione profonda nel mercato nazionale con la sostituzione degli investitori globali con quelli locali.
La guerra in Ucraina viene evocata solo indirettamente: Putin non ne parla mai esplicitamente, ma la affronta come dinamica che ha prodotto, più genericamente, dei “cambiamenti nel mondo”, in tutti i suoi ambiti, che sono a suo di dire cambiamenti profondi: in questi passaggi il capo del Cremlino intende chiaramente sottolineare il carattere “irreversibile” di quella transizione che, partendo dal piano bellico, si sta inevitabilmente ripercuotendo su quello economico, interno alla Russia, e sull’intero panorama internazionale.
Nel concentrarsi sulle dinamiche economiche interne e anche di apertura a investitori stranieri nel proprio paese, e nel rimarcare la messa in discussione della centralità del dollaro, il presidente russo ha voluto porsi, in senso piuttosto esplicito – anche in tal caso, sia simbolicamente sia fattualmente –, come perno delle istanze di sovranità nazionale, in un’ottica cooperativa e capace di integrare progetti di sviluppo tecnologico, finanziario e infrastrutturale globale.
In più passaggi ha evidenziato la collaborazione attiva con i paesi presenti al Forum, quasi con l’intento di voler disarticolare la comunicazione occidentale che molto insiste sull’isolamento del paese: in questa edizione, invece – e nel discorso di Putin questo aspetto è stato molto battuto – la Russia si propone come attore cardine di un sistema mondiale non più fondato sulla centralità statunitense e sul ruolo cruciale del dollaro, ma pienamente multipolare, in cui la guerra regionale diventa quasi il cuneo da usare per rivedere l’intero assetto politico ed economico internazionale.
In tal senso, l’altro aspetto che emerge platealmente è la messa in discussione della prospettiva “globale” del sistema unipolare di marca liberale: se da una parte, infatti, l’attuale assetto globalizzato si fonda sull’assunzione di una prospettiva globale, fondata però sulla centralità USA e del mondo occidentale, l’assunto dal quale si muove Putin è quello di un multipolarismo politico basato sulla primazia dell’interesse nazionale degli attori protagonisti e sul superamento della mentalità “neocoloniale”. Aver insistito, soprattutto nella prima parte del suo discorso, sui dati dell’economia russa, è servito sì a rendere attrattivo il mercato russo agli occhi dei partner attuali e di quelli potenziali, ma anche a ribadire che la nuova realtà mondiale immaginata dal Cremlino si fonderà eminentemente sulla primazia del dato nazionale, quale principio di base della cooperazione reciproca, nella speranza di far leva sul sentimento che alberga in molte delle agende degli attori coinvolti.
L’altro aspetto che chiaramente affiora dalle parole di Putin è quello del primato della politica sull’economia: e, ancor più evidentemente, del ruolo cardine dello Stato quale guida delle politiche economiche, volendo così contestare quanto affermato dai precursori dell’ordine liberale. Se, dunque, il discorso economico è risultato – chiaramente, visto il contesto – decisamente centrale, non si può trascurare quanto il retroterra politico-militare sia considerato dalla Russia quello realmente prioritario, sia nelle questioni interne sia in quelle internazionali: la guerra in Ucraina, mai richiamata nel discorso di Putin, risulta dunque il mezzo di revisione dell’ordine regionale prima e, poi, a partire da questo, dell’intero assetto internazionale. Questa appare la sfida del Cremlino lanciata dal palco dell’ExpoForum Convention and Exhibition Centre di San Pietroburgo al mondo occidentale e che, vista la rilevanza dei temi trattati e la delicatezza del momento storico, avranno inevitabilmente conseguenze e risposte, di carattere economico e non solo.
Alessandro Ricci