Lo stretto di Taiwan è stato il teatro di imponenti esercitazioni militari: scontata la condanna di Washington mentre Giappone e Australia, ma anche l’Unione Europea e il G7, hanno espresso viva preoccupazione ma l’opinione pubblica occidentale usa toni cauti, spesso sottolineando la “pericolosa scelta di Nancy Pelosi” e seguendo la linea dettata da Pechino.
La visita della speaker del congresso statunitense Nancy Pelosi a Taiwan ha portato la questione dello Stretto di Formosa, e le relazioni sino statunitensi, sulle prime pagine dei quotidiani mondiali. Lo Stretto di Taiwan è stato il teatro delle più grandi esercitazioni militari, con le navi dell’Esercito popolare di liberazione arrivate segnalate in prossimità delle coste dell’isola. Molto più vicine delle manovre della terza crisi dello Stretto nel 1995 e 1996. Missili hanno sorvolato il territorio taiwanese, navi e aerei cinesi hanno simulato un attacco all’isola, tutte le esercitazioni sono state effettuate a fuoco vivo – ossia con proiettili veri. Gli osservatori si stanno interrogando sulla possibilità di chiamare gli avvenimenti di questi giorni come “la quarta crisi dello Stretto di Taiwan”.
Sia la tempistica, sia l’intensità delle esercitazioni hanno allarmato le cancellerie occidentali, anche se la reazione cinese era stata ampiamente annunciata. La visita della Pelosi è avvenuta in un momento delicato per gli equilibri del Partito comunista cinese, a pochi giorni dal meeting di Beidaihe. Un luogo mitologico per la leadership cinese, ogni estate nella località balneare i vertici del Partito comunista cinese si riuniscono per decidere le questioni essenziale del governo del paese. Il meeting di quest’estate ha una grande rilevanza, visto l’imminente 20° Congresso del Partito Comunista Cinese (PCC) previsto per l’autunno del 2022 in cui Xi Jinping cercherà la rielezione a Presidente della Repubblica.
Da anni la pressione militare di Pechino su Taiwan è sempre maggiore, le incursioni dall’Esercito popolare di liberazione nello spazio aereo di Taiwan sono passate da poche decine a 380 nel 2020 fino 746 nel 2021. Al termine della prova muscolare dell’esercito cinese le incursioni le incursioni potrebbe arrivare a 200, in appena pochi giorni. Gli sconfinamenti cinesi avvenivano, in precedenza, nella Air Defense Identification Zone taiwanese, ossia molto lontani dal territorio taiwanese. Mentre le esercitazioni tuttora in corso nello Stretto di Taiwan costituiscono una vera e propria escalation, i missili balistici lanciati dall’Esercito popolare di liberazione hanno sorvolato l’isola di Taiwan, uno direttamente la capitale Taipei. Le esercitazioni navali hanno chiaramente simulato il blocco dei porti taiwanesi e un attacco all’isola. Le esercitazioni non sembrano indicare la volontà di Pechino ad intraprendere un’azione di forza nel prossimo futuro, le capacità militari cinesi sembrano ancora impreparate per una vera e propria invasione dell’isola. La guerra in Ucraina potrebbe aver anche modificato un possibile piano di azione cinese, fino a pochi mesi fa le isole sotto il controllo taiwanese, vicine alla costa della Cina, venivano indicate come il più probabile inizio di un conflitto per Taiwan. La resistenza ucraina e il conseguente sostegno occidentale potrebbero aver convinto Pechino della necessità di un’azione decisa, in maniera da non lasciare spazio a una eventuale reazione della popolazione taiwanese e a un conseguente mobilitazione internazionale.
La necessità cinese era legata a evidenti questioni interne, in vista dal Congresso di novembre, ma anche a ribadire con fermezza le pretese di Pechino sul futuro dell’isola. La guerra in Ucraina, e il fronte relativamente compatto dei paesi occidentali nella condanna all’aggressione russa, aveva destato grande preoccupazione nella leadership del Partito comunista cinese. La prova di forza, ancora in corso, intorno all’isola di Taiwan è servita anche come banco di prova per testare le reazioni occidentali. Oltre alla prevedibile condanna statunitense e alla altrettanto scontata richiesta giapponese e australiana di cessare le esercitazioni, la risposta cinese è stata condannata dal G7, dal Vicepresidente della Commissione Europea Josep Borrell e da altri attori statuali e organizzazioni internazionali. Ma l’opinione pubblica europea ha usato toni molto cauti nei confronti della prova di forza cinese, la visita di Nancy Pelosi è stata frequentemente descritta come una provocazione e le esercitazioni della PLA come la naturale, e scontata conseguenza, di un atto pericoloso. Dimenticando come il passaggio da una crisi diplomatica a una risposta militare non è affatto scontata. Le pretese di Pechino su Taiwan, e sul futuro di ventitré milioni di taiwanesi, sono state ripetutamente considerate come accettabili, o quantomeno come naturali dalla prospettiva cinese. Sia il percorso storico dell’isola, sia la volontà dei cittadini taiwanesi sono stati minimizzati davanti alla descrizione di uno scontro tra due potenze per il controllo di un territorio.