Giovedì 25 Novembre in Cina, nello specifico a Urumqi, una città nella Provincia Nord-Occidentale dello Xinjiang, si è consumata una tragedia. Dieci persone, secondo le stime ufficiali, sono morte intrappolate in un palazzo dove un appartamento aveva preso fuoco. Le cause del mancato soccorso non sono ancora chiare. Dai video che circolano online si può notare il camion dei pompieri che è troppo lontano dall’edificio per poter estinguere l’incendio perché l’entrata del complesso residenziale è bloccata presumibilmente a causa del lockdown. Conseguentemente, una serie di proteste contro la politica del zero covid ha avuto luogo in diverse città cinesi tra cui Shanghai, Pechino, Chengdu, Wuhan ed altre.
Si tratta di proteste di grande importanza e risonanza mediatica che sono sicuramente il risultato di una politica sul covid che per una sostanziale percentuale della popolazione non è più sostenibile. Tuttavia è ancora presto per dire che cosa succederà d’ora in poi anche perché nessuno è realmente in grado di prevederlo. I primi segnali lanciati da Pechino è che il malcontento è stato ascoltato. Alcune città hanno iniziato a rilassare alcune politiche di contenimento, è stata annunciata una spinta della vaccinazione della popolazione più anziana e anche la narrativa ufficiale riguardo la letalità del virus si è fatta più rilassata.
Ciononostante, contemporaneamente alle manifestazioni, si è fatta strada tra molti la convinzione che le proteste chiedessero un cambio di regime, le dimissioni di Xi Jinping e che volessero rimuovere il Partito Comunista. Intendere le proteste in questo modo è problematico, perché oltre a creare confusione, c’è il rischio di prendere degli abbagli. Il fatto che alcuni manifestanti, perlopiù studenti, hanno coraggiosamente e apertamente dimostrato il loro dissenso contro il partito, non significa che richieste di democrazia e libertà fossero il motivo principale delle proteste. La società cinese prevalentemente non vuole un cambio di regime, e molte persone appoggiano il Partito Comunista stesso. Innumerevoli sondaggi nel corso degli anni dimostrano che la maggior parte della popolazione in Cina è soddisfatta col governo centrale. Forse, ancora più scioccante per molti è il fatto che quando viene chiesto di definire il sistema di governo cinese, molti lo considerano nel complesso democratico. Questo perché diverse persone da diversi paesi hanno concetti di democrazia diversa che non ha necessariamente a che fare con la tipologia del sistema politico. Allo stesso modo la popolazione rimane ancora fortemente divisa riguardo alla politica del covid, e per molti, soprattutto nelle aree rurali, il virus e i lockdown non sono stati fonte di disagio.
Altrettanto problematico è intendere le proteste come una Tiananmen 2.0. Quella odierna cinese è una società diversa rispetto a quella dell’ 89, con richieste diverse e ideali diversi e anche il partito non è lo stesso di quello di più di 30 anni fa. Oltre al fatto che anche i metodi di repressione molto probabilmente non sarebbero gli stessi visto che nel corso degli anni è stato sviluppato una capacità dello stato di prevenire situazioni simili. E infine che il governo centrale non è diviso internamente come all’epoca di Tiananmen. L’ importanza di queste proteste è indiscutibile, per il fatto che sono le prime di questa portata da molto tempo e che hanno unito anche diverse persone da molti posti diversi e per questo non devono essere sminuite. Inoltre le richieste si scontrano direttamente con una politica fortemente promossa dal governo centrale, anche questa è una situazione piuttosto inusuale. Tuttavia a parte le richieste di una minima parte della popolazione che risuonano con quelle dei manifestanti degli anni 80, questi eventi hanno davvero poco in comune.
Questa formulazione inoltre, non rende giustizia alle innumerevoli proteste che sono avvenute in Cina nel corso degli anni. Proteste che hanno cambiato radicalmente il modo di manifestare, come ad esempio quelle di carattere ambientale contro la costruzione di fabbriche di Para xilene, che hanno visto migliaia di manifestanti per le strade. O quelle per i diritti dei lavoratori, o ancora quelle nei villaggi contro gli espropri ai contadini della loro terra. Tutti questi precedenti ci danno la possibilità di analizzare le recenti proteste in modo molto più completo.
Sicuramente d’ora in poi sarà molto interessante capire e osservare come si evolverà la situazione. Posto che al momento l’unica cosa che si può fare sono delle previsioni basate su modelli che abbiamo del passato. Il modo in cui il governo tratterà le proteste ci dirà come verranno interpretate. Una chiave di lettura interessante potrebbe essere il concetto di “Rightful resistance”. In poche parole si tratta di una forma di contestazione tipica cinese secondo la quale le rivendicazioni avvengono nei limiti delle regole esistenti. Si protesta per qualcosa che è stato tolto ma che spetta di diritto, contrariamente a una contestazione della legittimità di chi governa. Una protesta contro i lockdown in questo caso potrebbe essere intesa come una privazione della libertà di uscire, andare a lavoro, vedere gli amici e come accennato in precedenza, non contro Xi Jinping e il partito. Questo tipo di proteste generalmente raggiungono dei compromessi con le autorità.
Altre soluzioni che il partito ha a disposizione e che lo abbiamo visto utilizzare in questi giorni sono una repressione forte e decisa o magari una più “soft” o magari una combinazione di entrambe. Nel primo caso viene fatto uso di polizia o altri corpi di sicurezza per far tacere i manifestanti, nel secondo caso vengono sfruttate le spaccature all’interno dei movimenti e i social media possono essere una fonte importante per il governo da dove ricavare informazioni. Infine va anche considerato che le proteste in Cina sono spesso usate dal governo come un feedback da parte della popolazione. Sono una fonte di informazione per i piani alti per venire a conoscenza dei problemi che affliggono i cittadini e allo stesso tempo fungono come valvola di sfogo. Ciò viene concesso sia fisicamente che online. Questo modo per dare libero sfogo alle lamentele della popolazione spesso viene impiegato al fine di spostare l’attenzione sui governi locali che spesso vengono identificati come i responsabili dei problemi per aver implementato male gli ordini del governo centrale. Questo sistema fino ad ora si è rivelato efficace nello stabilizzare il regime. Tuttavia, Xi Jinping ha fatto della zero covid un tratto distintivo della sua politica, per questo motivo le misure che verranno adottate non sono da considerarsi scontate.