L’invasione della Russia ai danni dell’Ucraina, iniziata lo scorso 24 febbraio, ha coinvolto più o meno direttamente tutte le aree geopolitiche del mondo. Anche l’America Latina non è rimasta estranea a tale evento che ha suscitato numerose e divergenti reazioni da parte dei leader dei Paesi della regione. Ne è emersa un’interessante fotografia, che ci aiuta a comprendere alcune delle principali dinamiche geopolitiche che caratterizzano la regione e, soprattutto, il livello di penetrazione dei principali attori della scena globale: Stati Uniti, Cina e Russia. Per spiegare e approfondire la questione, abbiamo intervistato il Professor Fernando Alvarado, attualmente direttore dell’area relazioni internazionali presso l’Università Tecnica Federico Santa María di Valparaíso, in Cile, e già Fulbright Chair in Democracy and Human Development presso il Kellogg Institute for International Studies dell’Università di Notre Dame (IN).
Professore, la guerra in Ucraina ha provocato differenti reazioni da parte dei leader latinoamericani: ci sono state sia forti condanne che risposte di approvazione e sostegno. Come si spiega questa eterogeneità e in che misura è rivelatrice della penetrazione russa nella regione?
Penso che l’eterogeneità delle risposte abbia molto a che fare con la prospettiva storica e che sia in particolar modo legata al periodo della Guerra Fredda, quando paesi come Cuba e Nicaragua, e più tardi anche il Venezuela, avevano forti relazioni con l’Unione Sovietica. L’altro elemento molto importante è rappresentato dalla vicinanza ideologica di questi Paesi e dei loro capi di stato, i quali hanno instaurato governi autoritari e populisti. Questo ha portato la Russia, soprattutto negli ultimi anni, a sostenere in maniera decisa tali regimi, sia da un punto di vista economico sia militare (in particolare il Venezuela). Un esempio importante è rappresentato dagli ingenti investimenti russi nell’industria petrolifera venezuelana. A tal proposito risulta interessante un dato: la Russia ha investito più di nove miliardi in PDVSA (la compagnia petrolifera statale venezuelana) e la sede di questa azienda, per l’Europa, si trova a Mosca, il che rappresenta un chiaro segno di quanto la Russia abbia investito in Venezuela, in termini di sostegno economico ma non solo. Vale la pena ricordare anche il ruolo della Cina e la possibile alleanza russo-cinese, che può avere un impatto molto importante sulla regione. All’estremo opposto troviamo invece paesi come il Cile e la Colombia, storici alleati geopolitici degli Stati Uniti, che hanno invece condannato fortemente la Russia.
L’invasione della Russia in Ucraina può sembrare un problema lontano e che non coinvolga direttamente i Paesi dell’America Latina. Quali sono le reali ripercussioni economiche e geopolitiche della guerra nella regione?
Dal punto di vista esterno, penso che la regione rivesta un ruolo piuttosto marginale, nonostante l’appoggio che Venezuela, Cuba e Nicaragua possono dare alla Russia. In effetti, la prima impressione è che gli Stati Uniti non siano molto preoccupati se qualche paese latino-americano decide di negoziare con Mosca. In generale, qui (in America Latina) tutto è rimasto uguale; le aziende cilene, per esempio, continuano a esportare i loro prodotti in Russia senza problemi. In questo senso, è importante notare che non c’è alcuna pressione della NATO o degli Stati Uniti. Questo ha a che fare con il fatto che la regione ha perso molto peso nelle sue relazioni negli ultimi decenni, in particolare con gli Stati Uniti, per cui non ci sono grandi problemi se Stati come il Venezuela o Cuba sostengono la Russia.
Dal punto di vista interno della regione, penso che dipenda molto dalle relazioni che ogni paese ha con la Russia. Per esempio, nel caso del Cile, la relazione con Mosca non è molto significativa in termini commerciali e politici; quindi, non ne risentirà in maniera importante, fatto salvo per gli effetti che tutto il mondo sta avendo con l’aumento del prezzo del cibo e del petrolio. Discorso diverso per il Brasile e, in misura minore, anche per l’Argentina. Il commercio del Brasile con la Russia è cresciuto di quasi l’80% negli ultimi anni ed è principalmente basato sull’importazione di fertilizzanti, il che spiega l’atteggiamento esitante del Brasile nei confronti dell’aggressione russa. Infatti, il Brasile è un paese agricolo e ovviamente l’importazione di fertilizzanti risulta essere vitale per l’economia di questo tipo di paese. Nel caso dell’Argentina, invece, l’arrivo dei vaccini anti-COVID Sputnik V ha aumentato considerevolmente la relazione bilaterale con la Russia.
Tuttavia, più in generale, il principale partner commerciale dell’America Latina è la Cina, non la Russia e nemmeno gli Stati Uniti. Il vero problema per la regione, dunque, potrebbe essere l’ingresso della Cina in qualche tipo di conflitto che potrebbe rallentare la crescita dell’economia cinese. In questo caso, gli effetti sarebbero molto più gravi per i paesi latinoamericani. L’altra questione rilevante ha a che fare con la capacità del Cremlino di affrontare i costi della guerra, perché se questo conflitto si rivelasse estremamente costoso, Mosca potrebbe ridurre il sostegno ai governi più vicini della regione e renderli ancora più dipendenti dalla Cina.
La pandemia prima e la guerra in Ucraina poi hanno stimolato, anche se con modi e tempi diversi, una risposta collettiva importante da parte dei Paesi europei. Si può dire lo stesso dell’area latinoamericana? Questi eventi possono dare nuovo impulso al regionalismo latinoamericano?
Credo che in questo senso, i tempi post-pandemici non abbiano portato a una maggiore cooperazione; ogni paese appartiene a un blocco economico e segue la propria logica nel fortificare i rapporti con la Cina, la Russia o gli Stati Uniti. Il caso del Cile a tal proposito è interessante: ha più relazioni con paesi distanti migliaia di chilometri che, per esempio, con il Brasile, la grande potenza sudamericana. Un altro fatto interessante è che ci sono studi in Cile e Argentina, per esempio, che indagano su quale sia lo spazio naturale delle relazioni internazionali secondo le élite politiche, economiche e sociali, di questi due paesi. Due terzi delle élite cilene affermano che lo spazio naturale di politica estera del Cile non è l’America Latina, bensì i grandi mercati come gli Stati Uniti, la Cina, il Giappone e l’Unione Europea. Al contrario, nell’opinione dell’élite argentina, lo spazio naturale di Buenos Aires è l’America Latina, in particolar modo il MERCOSUR (Brasile, Uruguay, Paraguay). Quindi penso che ci siano differenze strutturali nell’approccio che le élite hanno nei confronti della regione latino-americana. Come ultimo punto, direi che Boric, l’attuale presidente cileno, ha uno sguardo più attento all’America Latina, ma non credo che la politica estera del Cile cambierà molto in questo senso. Ciò che potrebbe portare ad un reale cambio della politica estera del paese è l’approvazione della nuova costituzione, che potrebbe portare cambiamenti significativi su questioni come la sostenibilità, i diritti umani o alcuni cambiamenti al modello di sviluppo.
Tra le varie reazioni all’invasione russa, c’è un caso particolare ed estremamente rilevante: quello del Brasile. In effetti, c’è stata una certa discrepanza tra le posizioni assunte dalla diplomazia, che ha condannato fermamente l’invasione all’interno della Consiglio di Sicurezza ONU (il Brasile occupa uno dei seggi non permanenti), e il presidente Bolsonaro, che invece ha mantenuto una posizione ambigua sulla questione. Quali sono le cause di questa divergenza?
Il Brasile ha una struttura diplomatica tradizionalmente molto forte che è anche abbastanza indipendente dai governi al potere, siano essi Lula o Bolsonaro. Quindi ci sono due posizioni per così dire opposte: da una parte Bolsonaro, che viene chiamato il Trump latino-americano, che è il presidente e come tale è di passaggio. Bolsonaro, poco prima che scoppiasse la guerra, è andato in Russia e, successivamente, ha dichiarato che l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin è una cosa di poco conto. Dall’altra parte, abbiamo la posizione della diplomazia di carriera o Itamaraty (sede del Ministero degli Esteri brasiliano), che ha fortemente condannato l’invasione. In altre parole, l’apparato burocratico brasiliano è molto chiaro sulla posizione che il Brasile deve ricoprire nel sistema internazionale: una potenza mondiale che rispetta il diritto internazionale e i diritti umani, e soprattutto aspira ad essere un membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Dunque, ciò che sta accadendo è una manifestazione del disappunto che alcune istituzioni brasiliane hanno nei confronti del loro presidente, e questo spiega in parte questo conflitto interno.
Tra i più forti alleati di Putin in America Latina c’è senza dubbio il regime di Nicolás Maduro. Negli ultimi anni, i legami russo-venezuelani si sono consolidati in maniera sempre più significativa. Quali sono i rischi per il Venezuela se l’economia russa crolla? Ci sarebbero conseguenze dirette per il regime?
Prima di tutto, Maduro ha il sostegno dell’esercito ed è quindi molto difficile da rimuovere; fatta questa premessa, è vero che l’economia venezuelana è molto dipendente dalla Russia. Come ho detto prima, il Cremlino ha investito molto nell’industria petrolifera venezuelana, ma vale la pena ricordare il viaggio di una delegazione statunitense in Venezuela avvenuto pochi giorni fa per instaurare un nuovo dialogo legato alla compravendita di idrocarburi venezuelani da parte degli Stati Uniti. Questo è un chiaro esempio di ciò che i tedeschi chiamano Realpolitik. Molti osservatori hanno visto Maduro come politicamente morto da molto tempo, eppure Maduro è ancora al potere. Quindi penso che qualunque cosa la Russia lasci a causa delle difficoltà economiche che la guerra può generare, il Venezuela lo compenserà con la Cina e addirittura anche con gli Stati Uniti. Per cui non credo che sia la fine dell’era Maduro, che al momento ha dimostrato di essere abbastanza capace di sopravvivere a tutti questi tentativi di rimuoverlo dal potere.