A novembre 2021, il governo italiano ha adottato il “Programma Strategico per l’Intelligenza Artificiale 2022-2024”. Il programma individua ventiquattro politiche suddivise in tre ambiti: primo, “rafforzare le competenze e attrarre talenti per sviluppare un ecosistema dell’intelligenza artificiale in Italia”. Secondo, “aumentare i finanziamenti per la ricerca avanzata nell’IA”. Terzo, “incentivare l’adozione dell’IA e delle sue applicazioni, sia nella pubblica amministrazione (PA) che nei settori produttivi in generale”. Ma come si posiziona l’Italia nella competizione globale per l’Intelligenza Artificiale (IA)?
Il rapporto dipinge un quadro italiano meno pessimista di quanto si possa credere alla luce dei dati negativi sull’alfabetizzazione digitale. L’Italia, infatti, ha un livello medio di digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, ma un basso livello di penetrazione, ovvero un uso poco diffuso dei servizi digitali. Nonostante ciò, la maggioranza delle aziende medio-grandi italiane ha dichiarato nel 2020 di aver avviato almeno un progetto di IA. Inoltre, il personale di ricerca italiano è attivi su tutto lo spettro di applicazione dell’IA, con un buon numero di centri di eccellenza per la ricerca nel settore attivi sul territorio.
Tuttavia, il rapporto individua quattro debolezze strutturali che il governo dovrà affrontare nel triennio 2022-2024. Primo, la frammentarietà della ricerca, poiché i centri di ricerca difficilmente raggiungono grande massa critica e vi è una forte frammentazione disciplinare. Secondo, l’insufficiente attrazione di talenti. Terzo, un significativo divario di genere, poiché le ricercatrici costituiscono solo il 19,6% del personale coinvolto in progetti di IA. Infine, la limitata capacità brevettuale, poiché l’Italia genera pochi brevetti in materia di IA rispetto a paesi europei economicamente simili.
Contesto geopolitico internazionale
L’accesa competizione tecnologica tra Stati Uniti e Cina in materia tecnologica forza l’Italia a prendere posizione il più possibile in linea con l’Unione Europea (UE). Del resto, lo stesso Programma Strategico in oggetto mira a mettere l’Italia in linea con la Strategia Europea sull’IA, mentre l’Unione Europea stessa con l’Artificial Intelligence Act introduce il tema a pieno titolo nella corsa alla sovranità digitale – un concetto ancora fluido e poco definito, ma di crescente respiro politico.
Questo porta a ulteriori considerazioni riguardo al flusso globale di dati. Infatti, lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale è fortemente dipendente dalla disponibilità di grandi masse di dati per permettere l’apprendimento da parte degli algoritmi (il cosiddetto machine learning). Chi ha dimestichezza con le scienze sociali e gli studi sulla comunicazione, ad esempio, conosce l’analisi automatizzata di testi, condotta tramite il cosiddetto natural language processing (NLP). Le funzioni di NLP utilizzate su linguaggi di programmazione quali Python e R utilizzano algoritmi che seguono questo tipo di apprendimento. Poiché questo principio si applica alle tecnologie di IA più in generale, la disponibilità di dati diventa strategica.
È in questo contesto che si inseriscono normative europee quali il General Data Protection Regulation (GDPR), ovvero la norma europea sulla protezione dei dati personali che per prima al mondo ha introdotto meccanismi di applicazione extraterritoriale della disciplina. A ruota, la Cina ha introdotto la Cybersecurity Law (in vigore dal 2017) e il più recente pacchetto di protezione dei dati che limitano il trasferimento di dati strategici verso l’estero, possibile solo per comprovate esigenze e sotto supervisione pubblica.
In questo contesto, gli stessi Stati Uniti hanno introdotto limitazioni di mercato ad attori strategici cinesi attivi nella fornitura di infrastrutture di rete, quali Huawei. Le restrizioni sono state motivate dalla possibilità, tuttora non comprovata sul piano tecnico ma formalmente esistente, che le aziende cinesi possano permettere forme di accesso indebito da parte del governo di Pechino ai dati degli utenti – sollevando questioni non solo di natura strategica, ma anche di sicurezza umana, vista la forma autoritaria del governo cinese.
La posizione italiana
Come discusso anche nell’edizione 2021 di Internet Governance Forum Italia, il governo Draghi ha preso una posizione più cauta nei confronti della Cina e più nettamente schierata a Occidente in materia digitale rispetto al governo Conte I. Al momento, non si registrano azioni ostili nei confronti della Cina in materia di IA, ma l’attivazione del cosiddetto golden power per bloccare l’accesso di capitali cinesi in aziende italiane attive nella filiera produttiva dei semiconduttori va in questa direzione.
Con il “Programma Strategico per l’Intelligenza Artificiale 2022-2024”, l’Italia si impegna per colmare i divari presenti nell’ecosistema nazionale legato all’IA per collocarsi in maniera forte in un contesto internazionale estremamente competitivo. La frammentazione disciplinare è sicuramente un nodo chiave da un punto di vista accademico: se è vero che l’elaborazione di un algoritmo accurato richiede competenze estremamente tecniche che un profilo informatico può fornire, è anche vero che le potenziali parzialità (bias) che l’algoritmo può generale sono più efficacemente affrontabili con l’ausilio della scienza sociale.
Nonostante le incertezze del quadro che si delinea e i difetti strutturali dell’ecosistema nazionale, l’Italia dispone comunque di elementi di forza che può spendere efficacemente.