Ci sono voluti sette anni di indagini e sei mesi di udienze per arrivare alla sentenza per l’omicidio del presidente del Burkina Faso, Thomas Sankara, ucciso in un colpo di stato nel 1987. L’ex presidente burkinabé, Blaise Compaoré, al potere per ventisette anni ed esiliato in Costa d’Avorio dalla sua caduta nel 2014, è stato condannato, mercoledì 6 aprile 2022, in contumacia all’ergastolo per l’assassinio del suo predecessore, in carica dal 1983 fino alla sua morte.
Il verdetto
L’ex presidente del Burkina Faso, Blaise Compaoré, è stato condannato mercoledì 6 aprile all’ergastolo per la sua partecipazione all’assassinio del suo predecessore, Thomas Sankara, ucciso insieme a dodici dei suoi compagni durante un colpo di stato nel 1987. Insieme a Compaoré, il tribunale militare di Ouagadougou ha condannato all’ergastolo anche il comandante della sua guardia, Hyacinthe Kafando, e il generale Gilbert Diendéré, uno dei capi dell’esercito durante il putsch del 1987. Nessuna circostanza attenuante è stata riconosciuta per questi tre imputati, che sono stati giudicati colpevoli di “attentato alla sicurezza di Stato”, “complicità in omicidio” e “occultamento di cadavere”.
Il tribunale si è quindi spinto oltre quanto richiesto dal procuratore militare, che domandava trent’anni di reclusione per Blaise Compaoré e Hyacinthe Kafando – i due grandi assenti di questo processo iniziato sei mesi fa, il primo in esilio dal 2014 e il secondo in fuga dal 2016, entrambi in Costa d’Avorio. Il generale Gilbert Diendéré era l’unico dei tre presente al processo, già recluso con una condanna a vent’anni per un tentativo di colpo di stato nel 2015. Altri undici imputati sono stati parte di questo processo, di cui tre sono stati assolti e otto condannati a pene comprese tra i tre e i venti anni di prigione.
Thomas Sankara, un’icona panafricana
Il verdetto di questo storico processo, apertosi nell’ottobre del 2021, trentaquattro anni dopo la morte di Thomas Sankara, un’icona panafricana, è stato accolto in aula da numerosi applausi. L’obbiettivo di Sankara è sempre stato quello di “decolonizzare le mentalità” nel suo paese e in tutta l’Africa, ma questo sogno si è spezzato nel 1987, quando il giovane presidente del Burkina Faso è stato assassinato, solo quattro anni dopo il colpo di stato che lo aveva portato al potere.
Una carriera militare precoce, l’impegno politico all’interno del Centro Nazionale di Addestramento al Comando (CNEC) di Pô, primo ministro nel marzo 1983 del Consiglio di Salvezza del Popolo (CSP) e infine presidente dopo il colpo di stato del 4 agosto 1983, con cui la Repubblica dell’Alto Volta venne rinominata Burkina Faso – che, nelle lingue locali dioula e mooré, vuol dire “la terra degli uomini integri. Salito al potere, Sankara ha intrapreso una politica rivoluzionaria con l’aiuto del suo braccio destro, il capitano Blaise Compaoré, quattro anni dopo mandante del suo assassinio. Voleva moralizzare la vita politica, raggiungere l’autosufficienza alimentare e costruire nuove relazioni con la Francia. Ha sempre difeso un programma anticoloniale e antimperialista e per dimostrare la sua volontà di rompere con la diplomazia franco-africana, considerata “neocoloniale”, ha boicottato i vertici franco-africani degli anni seguenti, in particolare il vertice di Vittel nel 1983 e il vertice di Bujumbura (Burundi) nell’anno seguente. Denunciando il sostegno degli Stati Uniti a Israele e al Sudafrica, dove l’apartheid era in pieno svolgimento, ha invitato i paesi dell’Organizzazione dell’Unità Africana – ora Unione Africana – a boicottare le Olimpiadi estive del 1984 a Los Angeles. Criticava le ingiustizie della globalizzazione, il ruolo sproporzionato giocato nell’economia mondiale da istituzioni come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, e il peso del debito dei paesi poveri. Non ha mai avuto paura di fare discorsi scomodi e di muovere dure critiche ai paesi del Nord del mondo, scegliendo le occasioni con la maggiore portata e copertura mediatica. Nell’ottobre del 1984, durante la trentanovesima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha tenuto un discorso storico contro il neocolonialismo, rifiutandosi di accettare per il suo paese, e gli altri del Terzo Mondo, di essere considerati come il “retro-mondo di un Occidente sazio”. Poche settimane prima della fine del 1986, il 2 dicembre, sfidò di nuovo la Francia alle Nazioni Unite, riconoscendo il diritto all’indipendenza della Nuova Caledonia.
La parentesi sankarista è stata però breve: il 15 ottobre 1987, mentre si recava a un consiglio straordinario dei ministri, fu assassinato con dodici dei suoi compagni in un putsch organizzato dal suo braccio destro e amico, il capitano Blaise Compaoré, che prenderà il potere per i successivi 27 anni. Trent’anni dopo la sua morte, l’uomo soprannominato il “Che Guevara africano” rimane ancora un’icona anticolonialista. Ancora oggi, infatti, Sankara rappresenta una guida per il popolo burkinabé ed è ricordato come colui che ha tracciato il cammino della speranza. Più di una dozzina di partiti politici in Burkina Faso, e in particolare l’Unione per la Rinascita-Partito Sankarista (Unir-PS), ancora oggi sostengono i suoi ideali.
Un’attesa durata trentaquattro anni
Ci sono molte ragioni per cui il processo e il conseguente verdetto sono arrivati così tardi. In primo luogo, la morte di Thomas Sankara è stata un argomento tabù durante gli anni di governo dell’ex presidente Blaise Compaoré, che gli è succeduto. Durante la sua presidenza, oltre ad aver sempre negato la sua complicità nell’assassinio, Compaoré ha anche cercato, senza successo, di cancellare la memoria del suo predecessore ed ha ostacolato le indagini, facendo confiscare e distruggere diversi documenti chiave. Per questo, durante i 27 anni di governo di Compaoré, l’inchiesta giudiziaria non è mai stata realmente condotta, e solo alla sua caduta, nel 2014, le autorità di transizione hanno riaperto le indagini, che poi sono continuate sotto il mandato del presidente Roch Marc Christian Kaboré (presidente dal 2015 al 2022). Inoltre, molti documenti relativi alla morte di Sankara e agli eventi immediatamente precedenti e successivi erano sottoposti a segreto di Stato in Francia, ex potenza coloniale del paese. Questi documenti sono stati resi pubblici solo nel corso degli anni, l’ultimo nel novembre del 2017, quando il presidente francese Emmanuel Macron, dopo un incontro a Ouagadougou con il presidente burkinabé Roch Marc Christian Kaboré, ha garantito che tutti i documenti francesi riguardanti l’assassinio sarebbero stati “declassificati”. Tuttavia, molti attivisti e legali sul posto, e persino il giudice istruttore, considerano questa documentazione non di grande rilevanza trattandosi essenzialmente di archivi diplomatici. I dossier della Direzione generale della sicurezza estera (DGSE) francese e gli archivi personali di Mitterand, presidente francese al tempo di Sankara, potenzialmente rilevanti per chiarire il ruolo della Francia in questa vicenda, non sono mai stati aggiunti al dossier di inchiesta.
Negli anni, molti osservatori ed analisti hanno sollevato due domande cruciali: il ruolo di alcuni capi di stato della sub-regione, come l’ivoriano Felix Houphouët-Boigny, contrario alla linea politica del capitano Sankara, e il ruolo della Francia, all’epoca sotto la presidenza di Francois Mitterand, con cui le relazioni erano particolarmente tese. Nel corso delle indagini, alcuni elementi hanno rafforzato l’ipotesi della complicità di Parigi nella morte dell’ex presidente. Tuttavia, non sono emerse prove concrete a sostegno di queste teorie di coinvolgimento internazionale, e così il processo si è essenzialmente concentrato sul piano nazionale. Un omicidio forse motivato dalle pressioni regionali e internazionali, i cui dettagli restano però sconosciuti, ma che ha portato ad un cambio di rotta politica sotto la presidenza di Compaoré che avviò una “rettifica” della rivoluzione sankarista, ammorbidendo il tono verso le ex potenze coloniali, concedendo i permessi per lo sfruttamento delle miniere d’oro alle aziende straniere, in particolare francesi, e rendendo di fatto il Burkina Faso un hub strategico militare per Parigi nell’area del Sahel.
È una sentenza storica che dimostra, al mondo intero, la capacità di agire della giustizia burkinabé. Questo processo assume anche una valenza politica, essendo uno dei principali risultati dell’insurrezione del 2014, che ha messo fine al sistema dell’ex presidente Compaoré, i cui difensori hanno ripetutamente denunciato questo processo come a sfondo politico.
Ora, alla sentenza seguirà una lunga fase di negoziazione tra avvocati e giudici per ottenere l’estradizione di Blaise Compaoré, fuggito in Costa d’Avorio nel 2014 dopo la rivoluzione popolare burkinabé, dove ha acquisito la cittadinanza ivoriana attraverso un matrimonio. La Costa d’Avorio non applica l’estradizione per i propri cittadini e le probabilità di vederlo in Burkina Faso sono dunque molto basse.