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TematicheItalia ed EuropaProcessi di democratizzazione: cosa imparare dal caso portoghese

Processi di democratizzazione: cosa imparare dal caso portoghese

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Con il termine “democratizzazione” si intende quel processo di trasformazione da un regime non democratico ad una forma di governo democratica. Questo processo inizia il piùdelle volte, con una progressiva attenuazione dei rigori repressivi e con aperture pluralistiche, verso una proiezione democratica del mutamento, fino alla costruzione e al consolidamento di un regime democratico vero e proprio. Dal momento che le democratizzazioni sono processi composti da più fasi temporali, ci si possono aspettare molteplici esiti possibili.

Per esempio una democratizzazione può essere avviata per poi fallire e regredire verso il regime preesistente, oppure verso un nuovo regime non democratico; puòanche avvenire che il processo si rallenti e rimanga incompiuto (parliamo in questo caso di “regimi ibridi”); infine si ha un esito positivo di una democratizzazione quando non si verifica la stagnazione del processo, ma ogni riadattamento ed evoluzione di questo èfinalizzato al miglioramento delle istituzioni democratiche.

In generale la democrazia – come viene intesa modernamente – si èaffermata in diversi modi, lungo un arco temporale che va dagli inizi del diciannovesimo secolo alla fine del ventesimo, nel quale Samuel Huntington in “The third wave”, identifica tre grandi ondate di democratizzazione: la prima, èquella che Huntington colloca tra il 1828 e il 1926, e che abbraccia il periodo dei moti rivoluzionari europei del diciannovesimo secolo fino a poco dopo la Grande Guerra; la seconda ondata si sviluppa in un contesto che vede la fine delle dittature europee e i conseguenti processi di decolonizzazione, va evidenziato che le democrazie che nascono da questi sono spesso fragili e instabili; la terza ondata viene identificata da Huntington a partire dal 1974, anno della “rivoluzione dei garofani”in Portogallo, ed ècaratterizzata da una maggiore eterogeneitànella distribuzione geografica globale.

In realtàin queste tre ondate Huntington fa rientrare anche due ondate di reflusso: una, segue la prima ondata di democratizzazione e coincide con la nascita e il consolidamento dei regimi fascisti e nazisti in Europa; l’altra invece si verifica a partire dal 1958 e vede protagoniste le forze armate e militari (è il caso della Grecia ad esempio).

Ma dove vanno ricercate le cause di queste trasformazioni in senso democratico? I fattori sono molteplici. Innanzitutto lo sviluppo economico gioca un ruolo importante, basti pensare al caso delle “tigri asiatiche”(principalmente Taiwan, Corea del Sud, Hong Kong e Singapore): Seymour Lipset – un sociologo statunitense – ha sostenuto la presenza di una forte correlazione delle istituzioni democratiche con lo sviluppo economico; secondo Lipset più una nazione è istruita e benestante più alte sono le probabilitàche il regime sia di tipo democratico. Non èla ricchezza in séa orientare le possibilitàche un regime sia democratico o meno, piuttosto i fattori a essa collegati come il grado d’istruzione: un Paese povero è più facile che cada vittima del clientelismo mentre un Paese ricco vede la presenza forte e stabile del ceto medio. Questa correlazione tra sviluppo economico e democrazia èstata confermata, ma non èsempre valida, ci sono infatti alcune eccezioni: si pensi per esempio alla Cina, dove importanti indici di sviluppo economico non trovano corrispondenza in alcun tipo di democrazia. I fattori economici acquistano importanza anche in senso contrario: si èverificato che, prima una recessione, poi una crisi economica, sono stati fattori che hanno contribuito all’istituzione della democrazia.

Un altro fattore che puòessere considerato determinante per la riuscita dei processi di democratizzazione èla mobilitazione delle piazze e della societàcivile, in altri termini la partecipazione attiva di tutti gli strati della popolazione. La presenza di questo fattore èpiùevidente nella terza ondata. In particolare, Paesi come il Perù, il Sud Africa e la Cecoslovacchia hanno visto una forte partecipazione della società civile nell’affermazione di regimi democratici; in quest’ultima si susseguirono alcune manifestazioni di piazza nel marzo 1988 e queste, sommate all’incapacità dell’élite di avviare un negoziato con i riformatori democratici,provocarono il collasso del vecchio regime.

E’molto importante sottolineare come anche il ruolo dei leader politici possa essere determinante, un caso è quello dell’Unione Sovietica di Mikhail Gorbačëv che nella seconda metà degli anni ’80 avviò una serie di riforme nel sistema sovietico, senza prevedere che questo avrebbe indebolito gli ultimi pilastri di sostegno dell’Unione  Sovietica.

Un’altra causa che può provocare una trasformazione in senso democratico èla crisi di successione, come è avvenuto in Spagna dopo la morte del generale Franco. Per evitare le crisi di questo genere, molti Paesi autoritari cercano di ripristinare l’antico principe ereditario, in modo da garantire la successione dinastica.

Infine non bisogna sottovalutare i cosiddetti fattori internazionali, vale a dire il contesto internazionale, in particolare il contagio e i condizionamenti che possono verificarsi tra più Stati: non è raro, specialmente in determinate aree del mondo, che alcuni Stati giungano alla democrazia per “emulazione”di un altro Stato.

Dopo essermi soffermata in generale sulle cause che possono dare il via ai processi di democratizzazione, ho deciso di analizzare un caso specifico: quello dello stato dal quale partìla terza ondata, il Portogallo.

Nel 1932 Antonio Oliveira Salazar, ex professore universitario divenuto poi nel 1926 ministro dell’economia, riuscìa prendere il potere e divenne capo del governo. La sua fu una dittatura anomala rispetto a quelle che siamo stati abituati a conoscere in quegli anni, Salazar era un simpatizzante di Mussolini (importòmolti elementi dalla dittatura fascista, come il corporativismo e la propaganda) ma allo stesso tempo non condivideva la sua idea del coinvolgimento delle masse néle spinte espansionistiche proprie del nazionalismo fascista, questo perchéal contrario dell’Italia, il Portogallo possedeva giàun impero coloniale. Durante la seconda guerra mondiale Salazar dichiaròinizialmente la neutralitàdel Portogallo, neutralitàche nel 1944 (ossia quando ormai il destino della guerra era piuttosto chiaro) si trasformòin un’alleanza con l’Inghilterra; questa mossa gli consentìdi allargare il divario tra il proprio regime e quelli gli altri fascismi sconfitti e gli permise di continuare a governare. Durante la guerra fredda il Portogallo fu tra i Paesi fondatori della Nato, e divenne un vero e proprio “baluardo contro il comunismo”. Una serie di eventi cominciarono a scuotere il regime dall’interno: in particolare la fine dei fascismi, l’affermazione delle democrazie e le guerre coloniali non potevano non ripercuotersi sul Portogallo. La dittatura comunque era ancora salva, grazie anche allo sviluppo economico che aumentava i consensi all’interno. All’estero invece, un insieme di atteggiamenti di facciata davano una parvenza di democrazia, ma in sostanza la dittatura era ben consolidata.

Un primo momento di crisi si ebbe con le elezioni presidenziali del 1958: il candidato dell’opposizione Delgado conquistò molti consensi, ma chiaramente le elezioni furono vinte dal candidato sostenuto dal regime, l’ammiraglio Tomas. Nonostante fosse evidente che l’impero coloniale si stesse disgregando Salazar riuscìcomunque a mantenere il controllo della situazione fino al 1968 quando, a causa di un incidente, riportòdanni irreversibili che gli impedirono di continuare a governare. Salazar morìnel 1970, nel frattempo i poteri erano stati attribuiti a Marcelo Caetano, il quale sembrò aprire il Portogallo a un processo di liberalizzazioni verso la democrazia. Questo periodo di riforme durò poco, perché ben presto Caetano si rese conto che il Portogallo non poteva essere riformato senza provocare una rivoluzione e, intimorito da questo, scelse la strada della continuitàsui passi di Salazar. Le guerre coloniali sembravano senza fine e il malcontento cresceva anche tra le file militari fin quando, nel 1973, venne fondato il Movimento dei capitani. Nei primi mesi del 1974 il generale Spinola, vice capo di Stato maggiore, con l’appoggio del capo di Stato maggiore, si mosse contro la politica coloniale del governo e entrambi si avvicinarono al movimento dei capitani, lasciando solo Caetano.

Venticinque minuti dopo la mezzanotte del 25 aprile 1974, una radio locale, radio Renascença, diffuse la canzone “Grandola Vila Morena”, era il segnale convenuto per mobilitare le unitàmilitari guidate dai golpisti. Il colpo di Stato fu portato a termine senza grandi difficoltàe i golpisti occuparono i luoghi del potere e dell’informazione, come le sedi delle stazioni televisive. I militari dichiararono il loro intento di tornare alla democrazia e furono accolti dalla folla in strada. Il dittatore deposto, Marcelo Caetano, si arrese e partìin esilio ponendo fine a 48 anni di dittatura in Portogallo. La rivoluzione portoghese passòalla storia con il nome di “rivoluzione dei garofani”- uno dei simboli del Portogallo – perchénell’immaginario collettivo restòvivido il gesto, da parte della popolazione, di donare dei garofani rossi ai militari.

Come sottolinea Samuel Huntington, il golpe militare ha rappresentato un inizio di un processo democratico fuori dagli schemi, solitamente infatti i colpi di Stato operati dalle forze armate non si concludono con l’instaurazione di regimi democratici, ma auspicano il loro rovesciamento. Spesso inoltre la fine di una dittatura non significa il passaggio diretto alla democrazia, piuttosto rianima le forze politiche che erano state soppresse durante il regime autoritario. Nel caso specifico del Portogallo, dopo il colpo di Stato, seguirono diciotto mesi di instabilità istituzionale: la scena politica era frazionata in tanti gruppi che si contrapponevano tra loro, si succedettero sei governi provvisori tutti molto deboli e nelle elezioni politiche, tenute in occasione del primo anniversario dal golpe rivoluzionario, vinsero i moderati.

E’importante sottolineare che in quegli anni il Portogallo non fu l’unico Stato ad attraversare un processo del genere. In maniera piùimplicita nel 1974 in Brasile, il nuovo capo del governo Ernesto Geisel avviò un processo di liberalizzazioni, con diverse riforme costituzionali. Anche il primo ministro spagnolo avviava il corso politico del Paese verso una serie di liberalizzazioni, in attesa della morte di Franco. La Grecia invece implodeva a causa delle spaccature all’interno della giunta dei colonnelli, queste portarono al tracollo del regime e a libere elezioni sempre nel 1974. Negli anni seguenti l’ondata di democratizzazione assunse aspetti globali e, solo nei primi quindici anni successivi, circa trenta Paesi passarono da regimi autoritari a regimi democratici.

Secondo Freedom House, un’organizzazione non governativa internazionale che conduce campagne di sensibilizzazione riguardo la democrazia, libertàpolitiche e diritti umani, il Portogallo oggi è uno Stato pienamente democratico, caratterizzato da pluralismo politico e da una corposa partecipazione alla vita politica; le libertàcivili sono assicurate, l’unico appunto che viene fatto riguarda i diritti individuali, nello specifico la questione della violenza domestica contro le donne e i bambini e il traffico delle persone (a causa della sua collocazione strategica). D’altra parte però è un Paese che sta facendo enormi passi avanti: nel 2010 il parlamento portoghese ha approvato la proposta di legge per regolarizzare il matrimonio omosessuale.

Volendo dare una visione globale della diffusione della democrazia si può affermare che a fine 2014 su un totale di 195, gli Stati considerati liberi – e quindi totalmente democratici – sono 89, ossia il 46%; quelli parzialmente liberi costituiscono il 28% della totalità degli Stati e infine il restante 26%, che equivale a 51 Stati, fa riferimento agli Stati non liberi. Rispetto ai dati pre terza ondata, si riscontra una crescita evidente dei regimi democratici, rispetto anche a un aumento del numero degli Stati (nel 1973 gli Stati riconosciuti erano 151 oggi sono 195), ma fa riflettere il fatto che ancora una parte rilevante del mondo sia molto lontana dall’ideale democratico tanto auspicato.

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