“La nomina di Kemal Kılıçdaroğlu non riflette il volere del popolo […] non saremo spettatori di uno spazzino di una politica obsoleta prodotta per il profitto personale […] Hanno preferito le loro ambizioni personali al bene della Turchia […] l’IYI Parti è stato costretto ad un’imposizione in modo accanito ed è stato costretto ad operare una scelta fra la morte e la malaria”. Con queste dichiarazioni al vetriolo Meral Akşener, leader dell’IYI Parti, il secondo partito più grande del cosiddetto “Tavolo dei Sei”, ha sostanzialmente fatto saltare il banco, sgretolando l’opposizione a poco più di due mesi dalle presidenziali turche.
Ritirando l’appoggio a quello che sarebbe stato il candidato, nonché leader del CHP, Kemal Kılıçdaroğlu, la Akşener ha a parole decretato la fine dell’Alleanza della Nazione, aprendo una profonda faglia che difficilmente sarà ricucita nei prossimi giorni a meno di ulteriori soprese. Solo nella giornata di giovedì i sei leader dell’opposizione, fra i quali spiccano anche Ali Babacan (ex Ministro degli Esteri del governo Erdoğan dal 2007 al 2009 e oggi leader del DEVA Parti) e Ahmet Davutoğlu (anche lui ex Ministro degli Esteri dal 2009 al 2014 nonché ex Primo Ministro e oggi leader del Gelecek Partisi) si erano riuniti per un vertice di oltre quattro ore dal quale sembrava essere fuoriuscito un candidato comune che sarebbe stato presentato, come ribadito da un documento firmato da tutti e sei, il prossimo 6 marzo. Come appreso dalla maggior parte degli insider turchi, la scelta sarebbe ricaduta proprio su Kemal Kılıçdaroğlu, del quale vi davamo conto in una scorsa analisi. Burocrate di lungo corso e politico navigato, Kılıçdaroğlu è alla guida del CHP, secondo partito del Paese, dal maggio del 2010. Nel 2009 era stato presentato dall’allora segretario del Partito Repubblicano, Deniz Baykal, come candidato per le comunali a Istanbul, venendo sconfitto con un ampio margine dal candidato dell’AKP Topbaş. Anche nel 2010 e 2011 il neo leader del CHP sarebbe stato sconfitto dell’AKP, prima nel corso della campagna per il referendum costituzionale del 12 settembre, poi nelle elezioni generali del 12 giugno, dove tuttavia riuscì a far riguadagnare al Partito kemalista poco più di 5 punti percentuali. Ulteriori debacles sarebbero arrivate nelle elezioni del 2015, nel referendum del 2017, nelle presidenziali del 2018 (dove sosteneva Muharrem Ince) e, nonostante le roboanti vittorie a Istanbul e Ankara, anche nelle municipali del 2019. Non sorprende quindi l’opposizione portata avanti già da diversi mesi da Meral Akşener nei confronti di un candidato che, ad eccezione dei successi metropolitani di 4 anni fa, non era stato in grado di contendere lo scettro politico a Erdoğan. Con la sostanziale fuoriuscita dell’IYI Parti dal c.d. “Tavolo dei Sei” l’opposizione perde un importante alleato nella corsa alle presidenziali: il partito di destra, fuoriuscito nel 2017 da una costola del MHP, pesava col suo 10% e i suoi 43 seggi parlamentari in maniera decisiva sulla forza dell’Alleanza della Nazione; si può tranquillamente affermare che rappresentasse l’altra colonna politica, oltre al CHP, su cui poggiava l’intera opposizione. Alla base dei dissapori fra la Akşener e Kılıçdaroğlu, oltre alla contrarietà nei confronti della candidatura del leader del CHP, anche la netta posizione assunta da quest’ultimo nei confronti dei candidati proposti dalla leader dell’IYI Parti. Da mesi infatti la Akşener si era fatta sostenitrice accanita della candidatura presidenziale dei sindaci di Istanbul e Ankara, Ekrem Imamoğlu e Mansur Yavaş. Il primo, che aveva ricevuto il supporto della politica già nel 2019, in occasione dell’accusa di irregolarità nelle elezioni municipali portata avanti da Erdoğan, era indicato lo scorso anno come il papabile avversario del Presidente da quasi tutti gli analisti turchi per il suo carisma e per la presa che riusciva ad avere sulle masse. Secondo numerosi sondaggi Imamoğlu aveva raccolto consensi anche superiori a quelli di Erdoğan, affossato pesantemente dall’andamento dell’economia turca. Mansur Yavaş, d’altro canto, era stato il candidato congiunto di CHP e IYI Parti nelle ultime municipali ad Ankara e forse il maggior successo politico della Akşener nel 2019, visto che il suo partito non era stato in grado di conquistare altre città nelle elezioni locali. Così come nel caso di Imamoğlu, anche Yavaş era stato indicato come papabile rivale di Erdoğan nelle prossime presidenziali, potendo vantare su alti consensi e sul plauso dei cittadini della capitale turca, dove si era distinto in particolare per la sua gestione dell’emergenza COVID-19. Entrambi i sindaci, che hanno ancora un anno di mandato (le prossime municipali si terranno nel 2024), erano stati fin da subito i cavalli sui quali l’IYI Parti puntava per detronizzare Erdoğan e ripristinare il parlamentarismo, obiettivo condiviso con tutti i partiti membri del “Tavolo dei Sei”. Sul sindaco di Istanbul, tuttavia, pesa come un macigno la condanna a 2 anni e 7 mesi di carcere, oltre all’allontanamento dalla vita politica, per insulti all’organo supremo elettorale turco nel 2019, in occasione delle ripetizioni delle elezioni nella città turca. Imamoğlu, che pure ha presentato ricorso e potrebbe formalmente correre nelle elezioni, rischia tuttavia un processo lampo da parte della magistratura e, in caso di riconferma del giudizio, le sbarre e la conseguente esclusione. Il sindaco di Istanbul aveva ricevuto il pieno sostegno della Akşener a dicembre, poco dopo aver ricevuto la notizia della condanna, a dimostrazione del forte sodalizio fra i due. Per quanto concerne Yavaş, invece, le sue quotazioni erano salite considerevolmente dopo il mese di dicembre, come diretta conseguenza della presunta uscita dai giochi di Imamoğlu. Il sindaco di Ankara, che aveva in passato militato nel MHP, così come la leader dell’IYI Parti, sembrava essere il candidato naturale da opporre a Erdoğan, ma permanevano moltissimi dubbi da parte del suo stesso partito, poiché Yavaş non avrebbe goduto dell’eventuale appoggio dell’HDP, il Partito Democratico dei Popoli, in un eventuale ballottaggio con l’attuale Presidente. Per sua stessa ammissione l’HDP, che ad oggi è la terza forza parlamentare e correrà da sola nelle prossime presidenziali, non appoggerebbe mai la candidatura di un politico che ha militato in passato in un partito di estrema destra e anti-curdo. Tuttavia, stando ad un sondaggio di MetroPoll dello scorso aprile, sembrerebbe che oltre il 70% dell’elettorato curdo sarebbe disposto ad appoggiare il sindaco di Ankara in un eventuale secondo turno, mostrando in questo senso un’ampia discrepanza fra le dichiarazioni rilasciate dagli esponenti del partito e il suo elettorato. Questo dimostra ancora una volta che ad oggi la sconfitta di Erdoğan e del presidenzialismo siano fattori in grado di trascendere le differenti agende ed orientamenti politici degli altri partiti.
Quali sono le prospettive per l’opposizione?
Sarebbe stata proprio la decisione di Kılıçdaroğlu di non sostenere la candidatura dei due sindaci a far saltare il banco con la Akşener. L’impressione è che la leader dell’IYI Parti, con il suo discorso di venerdì, abbia tentato di forzare la mano dell’opposizione, cercando di screditare pubblicamente il leader del CHP per spingere uno dei due sindaci a farsi avanti, come peraltro ribadito dalla stessa politica. Le dichiarazioni di ieri hanno letteralmente generato un polverone mediatico nel Paese della mezzaluna, già afflitto dalle conseguenze del sisma dello scorso mese. In serata, con un comunicato video, Kılıçdaroğlu ha invitato alla calma, attaccando però al tempo stesso il discorso della Akşener, affermando che “i giochi politici, la maleducazione e il linguaggio di Erdoğan non dovrebbero avere luogo nella nostra alleanza”. Il quadro che emerge in questi giorni per l’opposizione è desolante: a due mesi e dieci giorni dal voto l’Alleanza della Nazione non ha ancora indicato ufficialmente un candidato, che dovrebbe, salvo imprevisti, essere presentato lunedì prossimo. Le questioni alzate dalla Akşener però potrebbero danneggiare in un certo senso la credibilità di Kılıçdaroğlu, che a questo punto sembra essere proprio il candidato designato dagli altri cinque partiti di opposizione, visto che tanto Imamoğlu, quanto Yavaş, hanno confermato che rimarranno in carica come sindaci. Il leader del CHP già non godeva di grandi simpatie da parte dell’elettorato turco e i sondaggi di mesi fa lo davano indietro rispetto a Erdoğan. Senza l’appoggio dell’IYI Parti e senza ulteriori alleati, difficilmente l’opposizione sarà in grado di vincere le elezioni. L’unico che ci guadagna da questa faida interna è ovviamente il Presidente turco. In molti titolavano lo scorso anno che il leader dell’AKP sarebbe stato sconfitto nelle prossime presidenziali, a causa dell’andamento dell’economia turca e della fortissima inflazione che ha fatto aumentare vertiginosamente il prezzo di beni di prima necessità. Erdoğan è tuttavia un politico navigato, e già negli scorsi mesi stava riguadagnando consensi grazie ad alcune riforme introdotte per alleviare le sofferenze della popolazione, in particolare l’aumento del 55% del salario minimo nel 2023 rispetto ai livelli dello scorso luglio. Inoltre, come dimostrano gli ultimissimi sondaggi, sembrerebbe che i ritardi nell’invio degli aiuti in alcune delle aree colpite dal tragico sisma del mese di febbraio non abbiano minato in maniera significativa la sua reputazione, fugando le pur insistenti voci provenienti dal suo stesso partito che lo volevano pronto a richiedere il rinvio delle elezioni a causa del terremoto. Per l’opposizione ora si aprono diversi scenari: se lunedì la candidatura di Kılıçdaroğlu dovesse essere confermata, così come la fuoriuscita dell’IYI Parti dall’Alleanza, il CHP potrebbe cercare l’appoggio di partiti minori di sinistra, ma cosa più importante, potrebbe riallacciare il dialogo con l’HDP, che non si era schierato col resto dell’opposizione a causa di dissensi strutturali con alcuni dei Partiti membri del “Tavolo dei Sei”, in particolare proprio l’IYI Parti. Difficile tuttavia immaginare un ingresso del partito filo-curdo nell’opposizione, più realistico sarebbe il sostegno al candidato del CHP al secondo turno. C’è poi la possibilità che la Akşener decida di non presentare nessun candidato, ricomponendo parzialmente la frattura col Partito repubblicano e facendo indirettamente riconfluire verso l’Alleanza parte dei voti del suo elettorato. In questo caso però sarebbe confermato quel suicidio politico al quale gridano i principali analisti politici turchi riferendosi al discorso di ieri della leader dell’IYI Parti. Fondamentali per la ripresa del dialogo con quest’ultimo potrebbero essere proprio Imamoğlu e Yavaş, che nelle prossime ore dovrebbero incontrarsi con la Akşener. Per quanto l’opposizione sia stata indebolita da questa mossa, Erdoğan non dispone ancora della maggioranza assoluta secondo i sondaggi e quindi difficilmente sarà in grado di vincere al primo turno, la partita per le elezioni in Turchia è ancora aperta.