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TematicheMedio Oriente e Nord AfricaLe possibili traiettorie dell’ISIS nel 2022 in Iraq e...

Le possibili traiettorie dell’ISIS nel 2022 in Iraq e Siria dopo l’attacco alla prigione di Al-Sina e la morte del leader Abu Ibrahim al-Hashimi al-Qurashi

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L’assalto del 20 gennaio alla prigione di al-Sina ed il contemporaneo attacco alle forze irachene a Diyala hanno riportato l’attenzione sulle capacità dell’ISIS di condurre attacchi pianificati e di una certa complessità. Rimane da capire se siano da leggere come azioni spettacolari isolate o segnino un cambio più ampio di passo. L’ISIS in ogni caso rimane una minaccia rilevante, capace di riorganizzarsi ed avvantaggiarsi del contesto, non solo per continuare la sua lotta a livello di guerriglia ma anche riproponendo attacchi più coordinati. Pur essendo un’organizzazione decisamente diversa dal proto-stato dopo la sconfitta territoriale, e vivendo anche un momento di crisi di leadership dopo la morte di al-Qurashi in un raid USA in febbraio, la comunità internazionale deve continuare a limitarne la riorganizzazione per contrastarne il ritorno.

A group of ISIS members turn themselves in to SDF in al-Sina'a prison – North Press
© NPA

L’ISIS nel contesto della galassia insurrezionale ed il ritorno mediatico a seguito dell’attacco alla prigione siriana di al-Sina

La fine dell’esperienza territoriale dello Stato Islamico in Iraq nel 2017 ed in Siria nel 2019, con la caduta di al-Baghouz, non ne segnò la sconfitta bensì la trasformazione: divenne un’organizzazione decentralizzata, legata dall’ideologia jihadista, basata sull’affiliazione attraverso la rete e l’utilizzo massiccio di singole cellule e lupi solitari, spesso auto-radicalizzati su internet.  La continua presenza mediatica a livello globale, l’appeal su giovani e foreign fighters, la spettacolarizzazione degli attentati hanno consentito all’ISIS di imporsi su altre organizzazioni quali al-Qaeda e di ribadire la sua centralità nell’universo jihadista. La sua evoluzione, basata su franchisee tra cui i più attivi risultano IS-Khorasan e le province africane, si inserisce nel solco del fenomeno che Claudio Bertolotti definisce Nuovo Terrorismo Insurrezionale: struttura glocale, flessibile e adattativa, tendenza sovranazionale basata sulla componente virtuale e sull’emulazione dei singoli. Proprio queste caratteristiche rendono l’ISIS una minaccia persistente e sfuggevole, come dimostrato dai recenti accadimenti. 

Dopo la sconfitta territoriale il gruppo si è concentrato in aree desertiche tra Siria e Iraq sfruttando le zone meno controllate dalle forze di sicurezza statali, formando una presenza meno evidente, basata su cellule dormienti e singoli militanti. Nel 2021 secondo i dati pubblicati dal CTC Sentinel sia la quantità che la qualità degli attacchi in Iraq ha registrato una decrescita e solo due sono le campagne riconducibili a direttive e risorse centralizzate. La prima è il tentativo di penetrare nel Kurdistan Iracheno dopo la chiamata del Califfo ad inizio 2021 a formare una nuova provincia Kurdistan Wilayat; gli attacchi diretti dall’emiro Abu Harith non hanno però portato a risultati eclatanti e le forze di sicurezza hanno smantellato diverse cellule. La seconda è la campagna per colpire la rete dell’energia elettrica in Iraq (Pylon Campaign) a carattere principalmente dimostrativo. Questo declino può essere il risultato di diversi fattori quali l’efficacia delle azioni di contrasto da parte delle ISF e della Coalizione Internazionale a guida USA con l’operazione Inherent Resolve e la situazione siriana: storicamente alla riduzione delle azioni in Iraq si registra un incremento in Siria. La flessibilità dell’ISIS consente di focalizzare gli sforzi dove l’ambiente è più favorevole e/o permissivo: la zona a nord-est della Siria è poco controllata ed è porosa all’arrivo di foreign fighters, risorse illecite ed armi. Un altro trend in Siria è la tendenza a tenere un basso profilo e non riportare sui media dell’ISIS gli attacchi, come quello avvenuto a Ghweran nel novembre 2021, per potersi organizzare senza attirare l’attenzione. Allargando l’orizzonte temporale, ciò che le statistiche del CTC Sentinel dimostrano è che sia difficile tracciare un trend lineare ed omogeneo e che la continua trasformazione sia una delle cifre stilistiche del gruppo. Queste caratteristiche sono state pienamente confermate il 20 gennaio del 2021 con l’assalto alla prigione al-Sina ed alla guarnigione irachena a Diyala.

L’assalto alla prigione di al-Sina: inizio di una nuova breaking the wall strategy?

Il 20 gennaio ebbe inizio l’assalto alla prigione di al-Sina nel nord-est della Siria, un piano preparato con azioni coordinate di più cellule; dopo l’attacco con un’autobomba all’ingresso principale, seguito da una seconda esplosione, i militanti sono penetrati nella struttura ed hanno cercato di prenderne il controllo, grazie anche al coordinamento con i detenuti, per liberare i loro operativi. Le forze siriane SDF, a guida curda, a guardia della struttura hanno combattuto per nove giorni aiutati da attacchi aerei della Coalizione Internazionale per riprendere il controllo dell’istituto penitenziario e l’attacco ha portato a diverse vittime (le SDF parlano di circa 500 morti) e prigionieri fuggiti (l’ISIS parla di 800 ma il numero non è confermato). Quello che colpisce è il livello di coordinamento dell’attentato che suggerisce una preparazione di mesi: uso di autobombe e cellule coordinate, rivolte interne scatenate da membri dell’ISIS, possibili infiltrati tra le forze di sicurezza siriane, l’incendio di carburante per impedire il supporto aereo e l’osservazione in diretta, la creazione di collegamenti video con i media dello Stato islamico e l’apparente inattività nei mesi precedenti per sfruttare l’elemento sorpresa. L’attacco avvenuto sempre il 20 gennaio in Iraq a Diyala che ha portato alla morte di 11 militari Iracheni, numero di vittime considerevole vista la media degli ultimi mesi, sembra suggerire una volontà di sincronizzare le azioni.

L’attacco alla prigione di al-Sina, il primo di questa portata in Siria dal 2019, non è certo un unicum e si inserisce in una tattica che è stata fondamentale per la nascita e la sopravvivenza dell’ISIS, la cosiddetta breaking the wall strategy. Nel 2012/2013 l’assalto a diversi complessi in Iraq, tra cui Kirkuk, Tikrit, Taji, Abu Ghraib ha consentito di liberare centinaia di miliziani, tra cui figure con expertise rilevanti o appeal carismatico per alimentare le fila dei combattenti dello Stato Islamico. In tempi recenti l’assalto alle prigioni in Afghanistan, in particolare a Jalalabad il 20 agosto 2020, ed in Congo dimostra come questa strategia rimanga un punto focale per l’ISIS. Gli obiettivi di questi attacchi sono principalmente di due tipi: pragmaticamente servono a liberare figure di spicco o più in generale membri, soprattutto in momenti in cui l’ISIS soffre di una mancanza di operativi; a livello ideologico e mediatico è un forte segnale sia per i militanti che si sentono rassicurati dal non venire abbandonati che per ribadire le capacità operative e rimanere centrali a livello mediatico. Per le forze di sicurezza locali e la Coalizione anti ISIS l’attacco è un campanello di allarme non solo per la possibile riorganizzazione dell’organizzazione terroristica ma anche per la drammatica situazione delle prigioni che ospitano militanti e foreign fighters in tutto il Medio Oriente e la scarsa capacità delle forze locali di garantirne la sicurezza.

Le prigioni come elemento catalizzatore dell’ISIS

In Siria si trovano secondo i dati pubblicati da ISPI 14 centri di detenzione per un totale di 10.000/12.000 detenuti maschi sospettati di appartenere all’ISIS provenienti da più di 50 paesi. La situazione è aggravata dal fatto che nei campi sono presenti anche bambini e famiglie legate ai combattenti; nel solo campo di al-Hol ci sono circa 68.000 detenuti. Le strutture detentive, oltre all’evidente sovraffollamento, non sono certamente strutture di massima sicurezza, sono edifici riconvertiti allo scopo detentivo e vengono gestiti dalle forze SDF, che non sono addestrate per controllare alcuni tra i detenuti più pericolosi al mondo. Nonostante i numerosi appelli, la comunità internazionale non è riuscita a trovare una soluzione ed una gestione comune e la mancanza di processi penali in loco per questi detenuti, unita alla riluttanza dei paesi d’origine al loro rimpatrio (anche se la maggior parte di essi ha nazionalità irachena o siriana), ha trasformato le prigioni dell’area in una sorta di limbo in cui vengono lasciati i militanti e le loro famiglie, tra cui i cuccioli del Califfato.  Queste strutture sono i principali luoghi di radicalizzazione e diffusione dell’ideologia Jihadista oltre che luoghi sensibili sia per i possibili attacchi dell’ISIS che per gli episodi di violenza contro singole guardie ed altri detenuti, che ad al-Hol sono all’ordine del giorno. Preoccupazioni sulla sicurezza sono evidenti sia negli appelli delle SDF, che nelle dichiarazioni e le azioni delle autorità irachene all’indomani dell’attacco di al-Sina. Il premier Mustafa al-Kadhimi ha lanciato una campagna di ispezioni da parte delle unità antiterrorismo nelle prigioni irachene che ospitano jihadisti come Al-Sumaria, per scongiurare episodi simili e Qassim al-Araji ha reiterato l’appello per il rimpatrio dei foreign fighters all’ambasciatore UE Ville Varjol. Per cercare bloccare l’ingresso di detenuti fuggiti è stata anche innalzata la sicurezza al confine, soprattutto nella provincia di Ninive, come dichiarato dal generale Hamid al-Husseini ad al Monitor, grazie all’ausilio di termocamere e la costruzione di un muro. 

La situazione delle prigioni è destinata a rimanere un fattore critico per le autorità statali e le forze di sicurezza e richiede un maggior coordinamento tra partner locali ed internazionali, avendo ben presente che al momento manca un iter capace di gestire i detenuti, la loro condanna o il loro rimpatrio.

Il possibile impatto della scomparsa del Califfo Abu Ibrahim al-Hashimi al-Qurashi 

Il 3 febbraio 2022 gli USA hanno condotto un raid per colpire il califfo Abu Ibrahim al-Hashimi al-Qurashi che si è fatto saltare in aria. L’ISIS dopo un mese ha ufficialmente ammesso la sua morte in un discorso del portavoce al-Muhajer ed ha indicato il suo successore solo con il nome di battaglia Abu al-Hassan al-Hashimi al-Qurashi, chiedendo ai gruppi franchisee di prestare giuramento al nuovo leader. Dopo l’appello diversi gruppi dall’Iraq (militanti delle province di Salah al-Din, Al-Anbar e Kirkuk) alla Siria, all’Africa hanno postato le immagini del giuramento di fedeltà. Non ci sono conferme sull’identità del nuovo leader che secondo fonti Irachene ed occidentali potrebbe essere Jumaa Awad al-Badri, fratello di Abu Bakr al-Baghdadi mentre secondo il sito al-Ekhbariya e New Lines Magazine, potrebbe essere Bashar Khattab Ghazal al-Sumaidai; ed è prematuro capire l’impatto della nuova leadership. 

L’efficacia dell’eliminazione del leader per fiaccare il gruppo è da sempre tema di dibattito. Nel breve periodo la mancanza della guida può causare uno stallo delle azioni più complesse per una riduzione di expertise o di coordinamento, creare un vuoto di leadership ed aprire lotte interne oltre che portare ad un minor appeal verso nuovi militanti nel caso in cui il leader sia una figura particolarmente carismatica. Con l’arresto o l’eliminazione di figure apicali si compromette l’azione e la crescita del gruppo in una data area geografica come dimostra la scarsa attività dell’ISIS in Iraq: negli ultimi 18 mesi secondo un comunicato della Global Coalition è stato arrestato Sami Jassim Muhammed Al-Jubori (tesoriere) e sono stati eliminate figure di spicco quali Mutaz Noman Abd Naif al-Jubori, Jabbar Salmman Ali al-Issawi  e  Jabbar Ali Fayadh al-Gharebawi (capo militare settore sud). 

Nel lungo periodo però l’ISIS, godendo di una struttura decentralizzata simile ad una idra, basata sull’ideologia e sulla propaganda online più che sul culto personalistico del Califfo sopravvive e si riorganizza, anche grazie al grado di autonomia delle singole province. Eliminare il leader aumenta la pressione sul gruppo e può portare ad operare maggiormente in clandestinità per riorganizzarsi senza destare sospetti oppure, al contrario, spingere ad azioni dimostrative per vendicare il leader, farsi notare dal nuovo Califfo e ribadire che l’ISIS non è sconfitto. Quest’ultima sembra essere la risposta in seguito alla morte di Abu Ibrahim al-Hashimi al-Qurashi adottata dai militanti ISIS in Israele.

Cosa aspettarsi nei prossimi mesi

Il discorso di al-Muhajer, pubblicato da Al-Naba’ weekly, ribadisce la chiamata a liberare i miliziani prigionieri, in linea con gli appelli dei defunti Califfi, e a vendicare la morte del leader. Le immagini su Telegram dei giuramenti delle diverse province e gli attentati avvenuti in Israele a Hadera e Beersheba potrebbero indicare una nuova ondata di attacchi di affiliati ISIS o cellule dormienti sia in Medio Oriente che in Occidente. Questa prima risposta non deve però far calare l’attenzione verso la possibilità di attacchi coordinati ed azioni che riecheggiano la breaking the wall strategy come dimostrano l’attacco di al-Sina ed i reiterati appelli sui media, accompagnati da indicazioni su figure precise da liberare, come un fratello di al-Badri. 

Per contrastare efficacemente l’ISIS è quindi fondamentale capirne la multidimensionalità, le ramificazioni e le dinamiche evolutive, implementando risposte specifiche per le diverse tattiche e le diverse aree in cui opera.

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