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I Pentagon Leaks e le vulnerabilità del comparto intelligence americano  

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Il 14 Aprile 2023 l’FBI ha arrestato Jake Texeira, accusato di essere il responsabile della massiccia fuga di documenti top secret denominata “Pentagon Leaks”: le rivelazioni, le più significative dai tempi di Julian Assange, riguardano tanto l’andamento della guerra in Ucraina quanto lo spionaggio sistematico di Corea del Sud, Egitto ed Israele. Informazioni estremamente sensibili, dunque, destinate ad avere un profondo impatto non solo sull’andamento del conflitto attualmente in corso, ma anche sulle relazioni di Washington con i suoi partner strategici.

I Pentagon Leaks

Jake Texeira è una giovane riserva della Guardia Nazionale Americana, molto religioso e amante delle armi e delle teorie del complotto legate al suprematismo bianco (in primis QAnon, che ha giocato un ruolo di primissimo piano durante l’assalto al Campidoglio del sei gennaio 2021). Texeira era una sorta di tecnico informatico presso la base di Cape Cod, Massachussets, ed in quanto tale aveva accesso al “Joint Worldwide Intelligence Communication System” (JWICS), il server interno del Dipartimento della Difesa (DoD) statunitense. Sembra che il ventunenne non avesse intenzione di divulgare le informazioni con un preciso scopo politico ma, anzi, che la reale motivazione che lo abbia spinto a diffonderle sia semplicemente il tentativo di impressionare i membri di una community di gamers sulla piattaforma digitale chiamata Discord: da lì, i leaks sarebbero passati a Telegram e, infine, al Washington Post. Ciononostante, Texeira è stato accusato di “detenzione e trasmissione non autorizzata di informazioni di difesa nazionale, nonché di rimozione non autorizzata di informazioni classificate e materiali di difesa”: secondo il severissimo Espionage Act (1917), la sua pena potrebbe arrivare fino a 15 anni di carcere. 

La guerra in Ucraina e la questione dello spionaggio 

Non è certo la prima volta che il Pentagono viene colpito da fughe di notizie simili: basti pensare alle rivelazioni di Julian Assange ed Edward Snowden, riguardanti, rispettivamente, i crimini di guerra commessi dagli USA in Iraq ed Afghanistan e la sorveglianza di massa. Nonostante in questo caso il numero di documenti rivelati sia decisamente inferiore, bisogna considerare che si tratta infatti di informazioni molto recenti, di un paio di mesi circa, che avranno indubbiamente delle conseguenze molto significative sull’andamento della guerra in Ucraina. L’immagine del campo di battaglia che i documenti ci prospettano non è esattamente rosea: sembra infatti che gli americani siano particolarmente scettici in merito alla capacità di Kyiv di resistere a lungo o, ancora, di tentare una nuova controffensiva. Le perdite ucraine sono stimate tra le 60 e le 70 mila unità, contro le 16-17 mila unità russe, a cui si aggiunge la solida superiorità del Cremlino per quanto riguarda difesa aerea e sistemi missilistici. Infine, viene confermata la presenza di almeno 97 membri delle forze speciali NATO provenienti da USA, Regno Unito, Francia, Lettonia e Olanda: non sembrerebbero essere propriamente combat troops, impegnate direttamente sul campo di battaglia, ma unità dispiegate nelle retrovie in ruoli logistici e di analisi.

Gran parte di queste informazioni sono state ottenute non tanto grazie alla cosiddetta Human Intelligence (rapporti di spie, perquisizioni, appostamenti…), ma soprattutto alla Signal Intelligence (SIGINT), vale a dire intercettazioni telefoniche, ambientali, radiofoniche e satellitari. Stando ai leaks gli USA avrebbero utilizzato questa tecnica di spionaggio anche nei confronti dei propri alleati: non certo una novità visto che nel 2014, in seguito allo scandalo riguardante la National Security Agency (NSA), l’amministrazione Obama aveva dovuto chiedere pubblicamente scusa ai leader di paesi come Germania, Francia, Messico e Brasile. Questa volta sembra che i target siano Israele, Corea del Sud ed Egitto, tre casi assolutamente rilevanti per diversi motivi. Israele al momento si trova in una situazione di profonda instabilità politica, esplosa in seguito alla riforma della giustizia proposta dal premier Nethanyahu, ma i documenti suggeriscono che abbia segretamente condotto esercitazioni mirate a simulare un attacco al programma nucleare iraniano. La Corea del Sud è un partner importante non solo per quanto riguarda la fornitura di carrarmati, ma soprattutto per il contenimento di Cina e Corea del Nord: non sorprende, dunque, che i partiti d’opposizione sudcoreani abbiano definito l’accaduto una “violazione statunitense della sovranità nazionale” e “un’attività di spionaggio illegale”. Per quanto riguarda l’Egitto, invece, viene citata la fornitura di circa 40 mila razzi alla Russia, voluta lo scorso febbraio da Al-Sisi (uno degli alleati più stretti degli USA in Medio Oriente, nonché beneficiario di ingenti aiuti economici e militari). 

Infine, una parte corposa dei leak riguarderebbe la Cina: per gli USA è infatti a dir poco essenziale che la guerra in Ucraina non logori eccessivamente le capacità militari occidentali, dando alla Cina l’opportunità di sfruttare la situazione a proprio vantaggio per riconquistare Taiwan. Solo pochi giorni fa Pechino aveva dato il via a tre giornate di esercitazioni militari nell’area che, seppur su scala più limitata rispetto a quelle che avevano seguito la visita di Nancy Pelosi a Taipei ad Agosto 2022, segnalano senz’altro una maggiore aggressività della politica estera di Xi Jinping. Nello specifico, i Pentagon Leaks affermano che Washington fosse a conoscenza della presenza di numerosi palloni spia cinesi, ma abbia deciso di rivelare pubblicamente solo l’esistenza di quello abbattutto a febbraio 2023. 

Conclusioni

La fuga di notizie arriva in un momento molto delicato della guerra in Ucraina, in cui sembra che entrambe le parti non siano attualmente in grado di ottenere conquiste territoriali particolarmente significative nel breve periodo. Lo spionaggio condotto da Washington nei confronti di alcuni suoi alleati rischia di danneggiare seriamente le relazioni con e tra di essi, alimentando un clima di sfiducia reciproca e complicando ulteriormente una situazione in cui è ancora difficile ipotizzare una soluzione diplomatica tra le parti coinvolte, direttamente e non. Inoltre, il caso di Texeira dimostra chiaramente alcune importanti vulnerabilità dell’apparato di sicurezza americano. La divulgazione di informazioni riservate ad un numero maggiore di addetti ai lavori, trend accentuatasi in particolare in seguito agli attentati dell’11 settembre 2001, implica necessariamente un rischio maggiore che esse vengano trafugate (volontariamente o meno) e trovate in possesso di individui che non dovrebbero averne accesso al di fuori di alcune situazioni specifiche: si pensi a quelle ritrovate nello studio di Joe Biden e a quelle in possesso di Donald Trump, presso la sua villa di Mar-a-Lago, Florida. La questione dello spionaggio e del ruolo assolutamente decisivo dell’intelligence tornano dunque in primo piano, sottolineando l’urgenza di prevenire nuove fughe di notizie potenzialmente capaci di compromettere l’integrità strategica statunitense.

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