L’inizio della guerra civile in Siria nel 2011 tra l’esercito del presidente Bashar al-Assad, le milizie ribelli ed altri attori non statali come lo Stato Islamico d’Iraq e Siria (ISIS) ha messo in serio pericolo il patrimonio storico-artistico dello Stato siriano, un patrimonio antichissimo che costituisce un’importante testimonianza della natura multietnica della società civile e delle tante civiltà che nel corso dei secoli hanno dominato la Siria tra i quali si ricordano seleucidi, romani, sasanidi e omayyadi.
La guerra civile siriana è un conflitto di natura sia etnica che religiosa e negli anni i più accaniti avversari del governo di Bashar al-Assad si sono rivelati i curdi, che sin dall’inizio del conflitto controllano i territori settentrionali del Paese, e l’ISIS che prima di essere sconfitto sul campo nel 2017 ha messo a dura prova la resistenza del governo centrale e la conservazione del patrimonio storico-artistico millenario presente in Siria. Al fine di tutelare il patrimonio artistico della Siria nel 2013 l’UNESCO ha organizzato workshop regionali di esperti in materia tenutisi nelle città di Amman, Damasco e Parigi. In particolare nel workshop di Amman è stato adottato un programma di azione globale, con cui è stato richiesto al governo siriano di ratificare a tale scopo il secondo protocollo della Convenzione dell’Aia del 1954 adottato nel 1999 e la Convenzione UNIDROIT del 1995.
Tra il 2015 e il 2017 lo Stato Islamico ha conquistato il sito archeologico siriano di Palmira ed ha operato una serie impressionante di distruzioni di rovine di età romana. Tra queste si ricordano il Tempio di Bel dedicato al dio Bel (Giove per i romani), il Tempio di Baalshamin e l’Arco di Trionfo edificato dall’imperatore Settimio Severo. Tuttavia gli studiosi hanno scoperto che ben prima delle distruzioni su larga scala operate dall’ISIS si era assistito alle spoliazioni illegali dei siti artistici siriani ed iracheni. Purtroppo meno dell’un percento dei beni trafugati sono stati recuperati. Alcuni dei tesori architettonici di Palmira sono stati trasferiti nei musei di altri Stati del mondo per essere protetti dal conflitto. Ad esempio, nell’ottobre 2020 sono stati trasferiti in Italia due busti funerari provenienti dal sito archeologico a scopo conservativo che verranno restituiti al Museo di Damasco a guerra finita.
Oltre a Palmira hanno subito danni anche altri tesori artistici del Paese. Il 21 agosto 2015 i miliziani dello Stato Islamico hanno distrutto il Monastero di Mar Elian risalente al quinto secolo d.C. e importantissima testimonianza della religione cristiana in Siria. Era dedicato a San Ellian, ucciso dai romani nel 285, la cui tomba si trovava all’interno del monastero prima di essere profanata dai miliziani fondamentalisti che ne hanno rimosso il corpo per poi distruggere il complesso a colpi di bulldozer. Era stato restaurato nel 2000 grazie al contributo di Padre Paolo dall’Oglio, padre gesuita rapito nel 2013 e del quale da allora non si hanno più notizie.
Anche la città di Aleppo, dichiarata dall’UNESCO patrimonio mondiale dell’umanità nel 1986, ha subito ingenti danni al suo patrimonio storico e artistico. Nel 2012 la città è stata teatro degli scontri tra il governo di Assad e i ribelli. Mentre la parte occidentale della città è sempre rimasta sotto il controllo del presidente, la parte orientale era stata occupata dai ribelli. Pertanto si è rivelata essere quella che più ha sofferto i bombardamenti dell’esercito governativo, il maggior numero di morti e di edifici architettonici e civili distrutti.
Tra i monumenti della città seriamente danneggiati si ricordano in particolare la Grande Moschea degli Omayyadi, costruita nel 715 d.C. e oggi completamente distrutta. Nel 2012 sono state coinvolte dalla guerra sia l’antica città di Aleppo che la cittadella, la fortezza militare che domina il centro storico: la prima è stata controllata dai ribelli e non riporta particolari danni, mentre la seconda, controllata dalle forze di Assad ha riportato i danni maggiori. Altra testimonianza del passato di Aleppo andata distrutta è la Chiesa di Shibani, risalente al dodicesimo secolo.
Quanto alla Grande Moschea Omayyade di Damasco questa non ha subito la sorte toccata all’omonima moschea di Aleppo, ovvero la completa distruzione, ma ne è stato danneggiato il grande mosaico che orna la facciata principale a causa dei colpi di mortaio inferti dalle truppe ribelli. La Grande Moschea di Damasco è un edificio molto importante sia per la religione cattolica che per la religione musulmana: sono infatti presenti nella moschea sia un minareto dedicato a Gesù, sia una cappella interna che secondo la leggenda conterebbe la testa di San Giovanni Battista (riconosciuto dalla religione islamica come il Profeta Yahya).
Anni di guerra hanno portato morte tra la popolazione civile siriana, e la distruzione dei centri abitati non solo rischia di comportare l’insorgenza di migliaia di sfollati, ma compromette anche il millenario tessuto urbanistico e culturale delle città pregiudicandone il retaggio storico. Il patrimonio e le tradizioni millenarie del Paese meriterebbero maggiore rispetto da parte delle potenze straniere, che agiscono con l’unico obiettivo d’indebolire gli avversari, incuranti dei danni civili e culturali provocati dalle bombe. Se la Siria è sempre stata una terra di comunione e dialogo fra le civiltà è necessario ora più che mai ristabilire la collaborazione tra le parti sociali, così da rifondare la società civile siriana sui valori che da sempre le appartengono, in particolare quello della tolleranza. La tutela del patrimonio storico-artistico, importante testimonianza della convivenza pacifica tra più comunità come cristiani e musulmani sciiti, sunniti, alawiti e drusi, può costituire un punto di partenza per la ristrutturazione della coesione sociale e quindi l’avvio del definitivo processo di pace.