A circa un anno dall’insediamento alla Casa Bianca, il presidente Biden ha svolto in politica interna un operato tra alti e bassi che designa un quadro in chiaroscuro. Se nei primi 100 giorni l’amministrazione aveva riportato alcuni successi, nel corso dei mesi scontri e mal di pancia interni hanno portato ad un rallentamento nell’attuazione dell’agenda legislativa presidenziale. Attuale pietra di scontro fra il Congresso e la Casa Bianca, è la volontà di quest’ultima di garantire un maggiore accesso al voto che in molti Stati a guida repubblicana è stato colpito da leggi restrittive. Un fenomeno ormai endemico negli Stati Uniti.
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Il Freedom to Vote: John R. Lewis Act
Inizialmente i provvedimenti legislativi per proteggere il diritto al voto pensati dai Democratici dovevano essere due: il Freedom to Vote Act e il John Lewis Voting Rights Advancement Act. Tuttavia, la difficoltà di discuterli in aula, dovuta all’ostruzionismo (filibuster) repubblicano, ha portato il Partito Democratico a fonderli in un unico disegno legislativo nel tentativo di superare lo stallo. Tale progetto porta il nome di Freedom to Vote: John R. Lewis Act, in onore del compianto deputato democratico John Lewis, figura di riferimento nella lotta per i diritti civili degli afroamericani.
La legge, divisa in vari punti, prevede una serie di disposizioni: in particolare ci sarebbe, in maniera generica, una clausola che garantisce il diritto di voto “libero da qualsiasi onere sul tempo, luogo o modalità di voto”. Una liberalizzazione più ampia possibile a differenza dell’attuale sistema di registrazione nei giorni precedenti al voto. La legge mira inoltre a ripristinare alcune protezioni del Voting Rights Act del 1965 molto colpito nell’ultimo decennio, a partire dalla sentenza Shelby County v. Holder del 2013 della Corte Suprema che ha abolito la sezione 4 della legge del ’65 dando la possibilità agli Stati di cambiare le leggi elettorali senza un preventivo controllo e di disporre nuove regole per la registrazione al voto. Anche la decisione della Corte Suprema del 2021 in Brnovich v. Democratic National Committee ha reso più difficile per i querelanti dimostrare che la sezione 2 del Voting Rights Act (che vieta la discriminazione razziale nel voto) possa essere stata violata. Il nuovo disegno di legge codificherebbe invece nuovi criteri che renderebbero più facile dimostrare che si è verificata una discriminazione razziale.
Inoltre, la legge riattiverebbe la sezione 5 del Voting Rights Act, che richiede ad alcuni stati o giurisdizioni locali di ottenere l’autorizzazione, o “pre-autorizzazione”, dal governo federale per modificare le proprie leggi elettorali. Infine, il provvedimento richiederebbe ai funzionari elettorali di dare un ampio preavviso prima di modificare le leggi, di richiedere alla Corte Suprema di spiegare il suo ragionamento in casi di legge elettorale di emergenza e scoraggiare i tribunali dall’usare una data elettorale incombente come scusa per non ribaltare una restrizione in materia di accesso al voto.
Diversi progetti di legge sulla protezione del voto erano già stati presentati nei tre anni da quando i Democratici hanno riconquistato la Camera nel 2018, rendendo la questione una priorità. Nel gennaio 2019 infatti, i Democratici hanno introdotto il For the People Act, un disegno di legge di 571 pagine per riformare le procedure di voto, il finanziamento delle campagne elettorali e la riorganizzazione dei distretti. Tuttavia, in quel momento i Repubblicani controllavano ancora la presidenza e il Senato, il che rendeva di fatto impossibile qualsiasi velleità legislativa. Ma dopo la conquista del Congresso e la vittoria di Biden alle presidenziali, il disegno di legge è stato reintrodotto e ampliato a quasi 800 pagine.
Il discorso di Biden in Georgia
A testimoniare l’importanza di questa legge per l’amministrazione e i Democratici è stato lo stesso Biden, il quale si è recato ad Atlanta dove dal luogo di sepoltura di Martin Luther King ha tenuto un discorso sulla necessità di agire per superare l’ostruzionismo al Senato.
Il presidente ha chiarito che lui, come molti altri del suo partito, ora crede che l’ostruzionismo venga abusato per bloccare molte legislazioni, di cui alcune fondamentali per la democrazia. “Il Senato degli Stati Uniti, progettato per essere il più grande organo deliberativo del mondo, è stato trasformato in un guscio di sé stesso”, ha detto Biden a centinaia di studenti universitari, attivisti per i diritti civili e funzionari eletti presso l’Atlanta University Center. “Credo che la minaccia alla nostra democrazia sia così grave che dobbiamo trovare un modo per approvare questi disegni di legge sui diritti di voto”. Così Biden ha lanciato la sfida al Senato.
Il riferimento all’intenzione di voler modificare il regolamento legislativo che richiede 60 voti al Senato per far approvare qualsiasi legge che non riguardi scostamenti in materia fiscale è apparso subito chiaro. La situazione di parità alla Camera Alta, con 50 senatori per parte, rende lo scorrimento dell’agenda legislativa presidenziale tutt’altro che fluido. Il presidente deve scontrarsi inoltre non solo con i Repubblicani ma anche con resistenze proveniente dal suo stesso partito, incarnate nelle figure di Joe Manchin III, senatore del West Virginia, e Kyrsten Sinema, senatrice dell’Arizona. I due, ancora una volta non sono apparsi ben disposti nei confronti delle Casa Bainca, facendo seguito alle resistenze già mostrate nei confronti dei provvedimenti della Build Back Better Agenda dell’amministrazione. I Repubblicani hanno chiarito in breve poco dopo che non prenderanno parte a nessuno sforzo per riscrivere le regole del Senato per approvare i disegni di legge.
La sfida al Senato: fallimento Democratico
Le intenzioni dei Dem si sono quindi scontrate nelle ultime ore con la realtà, quando al Senato si sono visti respingere ancora una volta il tentativo di far passare la legge, decretandone uno stato di coma non facilmente reversibile.
Se nell’ipotesi di voler far passare la legge bastava l’ostruzionismo repubblicano (cosa che si è effettivamente verificata), il tentativo di modificare il regolamento procedurale è fallito miseramente. Il leader della maggioranza al Senato Chuck Schumer ha infatti cercato, per far riconsiderare la legislazione, una modifica delle regole che consentisse l’avanzamento del disegno di legge con una maggioranza semplice di 51 voti eliminando l’ostruzionismo. Il Senato ha tuttavia respinto quella manovra con 52 voti contrari a 48, con i già citati democratici Manchin e Sinema che si sono uniti a tutti i 50 Repubblicani votando con l’opposizione.
Un finale amaro per i Democratici ma che non lascia affatto sorpresi. Manchin e Sinema avevano già ripetutamente chiarito che non avrebbero voluto cambiare le regole, citandole come strumento per proteggere i diritti dei partiti di minoranza e promuovere il bipartitismo nella democrazia statunitense. Linea che ha il suo senso, certamente, ma che molti vedono come miope di fronte all’eccessiva polarizzazione che attanaglia il Paese. Far passare leggi, negli ultimi decenni, è diventato sempre più difficoltoso, con entrambi gli schieramenti politici che spesso hanno ricorso all’ostruzionismo più per motivi di convenienza politica che in nome dell’interesse generale in un clima che appare irrimediabilmente inasprito.
In questo quadro generale incombono inoltre le sempre più vicine elezioni di metà mandato che si svolgeranno il prossimo 8 novembre. In ballo c’è il totale rinnovamento della Camera e di un terzo dei membri del Senato. I Democratici appaiono fortemente in difficoltà e la prospettiva di perdere almeno uno dei rami legislativi (se non entrambi) non è molto lontana dalla realtà. I campanelli di allarme sono già suonati nei mesi scorsi in occasione della perdita dell’esecutivo in Virginia alle ultime governatoriali.
La popolarità del presidente, anche a causa della fatica nel mandare avanti l’agenda al Congresso, non è mai stata così bassa e lo svantaggio storico che i Democratici si troveranno ad affrontare come partito di governo non lasciano presagire nulla di buono per Biden. La prospettiva di diventare “un’anatra zoppa” preoccupa il presidente e la necessità di portare a casa dei risultati può portare ad agire in fretta forzando la mano e perdendo la bussola, come nel caso dell’ultimo voto al Senato. Sta di fatto che le prossime settimane e i prossimi mesi prima dell’estate saranno cruciali, con le campagne elettorali ormai dietro l’angolo.