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TematicheAfrica SubsaharianaLe organizzazioni jihadiste nel Sahel

Le organizzazioni jihadiste nel Sahel

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I gruppi jihadisti, in forte difficoltà in Medio Oriente, negli ultimi quindici anni hanno concentrato i loro sforzi nel consolidare ed espandere la loro sfera di azione nel Niger, Ciad, Somalia e più generalmente in tutta la fascia del Sahel.

Con la costituzione dell’AQMI (al Qaeda dans le Magreb Islamique) il 24 gennaio 2007 si assiste alla collaborazione tra al Qaeda di Osama Bin Laden, Ayman al Zawahiri e il GSPC ( Groupe Salafiste pour la Predication et le Combat), originatosi da una scissione della GIA (Groupe Islamiste Armé). La presenza nell’Africa Sub Sahariana di numerose milizie armate e di diffusi traffici illeciti, ha permesso ai gruppi terroristici di acquisire un forte potere economico nella regione e sommando questi fattori alla instabilità politica, sociale, economica e di varie crisi umanitarie, si è assistito a un massiccio reclutamento volontario di giovani, i quali non avendo alcuna prospettiva per il futuro, provano nei confronti delle organizzazioni terroristiche una forte attrazione. Tra queste Harak al Shabaab al Mujahidin (gruppo jihadista somalo) che dal 2016 controlla la regione di Garad, alcune aree rurali e la città di Elbur, e BokoHaram nata nel 2002 per mano di Borno Mohamed Yusef (attivo principalmente nel nord-est della Nigeria), ma è con il suo successore Abubakar Shekau che il gruppo è diventato più violento. Generalmente gli attacchi si concentrano verso le forze di sicurezza governative e civili, con il progetto di imporre la sharia nella proprie aree di influenza.

La presenza militare

Il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld avviò nel 2006 il processo di costituzione dell’AFRICOM, che divenne operativo sotto l’amministrazione Obama  solo dopo il consenso e il coinvolgimento nelle operazioni dell’Unione Africana. Le attività dell’Africa Command riguardano l’assistenza e il supporto militare alle forze di sicurezza, la cooperazione internazionale in materia di counter-terrorism e l’assistenza umanitaria. Le principali operazioni militari sono concentrate nel Sahel, Nord Africa ed Africa Orientale/Occidentale, aree con una forte concentrazione di organizzazioni jihadiste (al Shabaab, AQMI, BokoHaram). A seguito dell’uccisione di quattro berretti verdi statunitensi il numero delle S.O.F. è stato portato a circa 1.300 unità. L’AFRICOM con H.Q. a Djibouti comprende anche la base aerea di Chabelly Airport, dove sono dislocati i velivoli a pilotaggio remoto U.S.A., come piattaforme per attività di monitoraggio e per eventuali attacchi mirati. L’Italia è presente con un contingente di circa un centinaio di unità nella Base Militare Italiana di Supporto (BMIS) per fornire supporto logistico, operativo e umanitario. Una ulteriore minaccia è rappresentata dagli attacchi pirata nell’Oceano Indiano, affrontata mediante numerose operazioni internazionali di contrasto al fenomeno. Il maggior sostenitore del G5 Sahel risulta essere la Francia, che dal 2013 dispone di 4,000 truppe posizionate nel nord del Mali. Pertanto l’intento del Presidente Macron sarebbe quello di far trasferire parte dei finanziamenti che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu destina alle 10,000 truppe di peacekeeping della missione MINUSMA , alle forze multinazionali che operano in Sahel. Si prevede che Parigi destini 1.2 miliardi di euro al fondo per lo sviluppo della regione per i prossimi 5 anni.

Crisi umanitaria

L’aumento dei conflitti violenti consumati nell’Africa Sub Sahariana, assieme alle crisi alimentari, ai fattori locali specifici e alle epidemie di epatite E, meningite, HIV e colera provocano il protrarsi di una serie di scontri e di emergenze complesse che nonostante i vari aiuti umanitari non trovano ancora una soluzione. Inoltre in Nigeria i militanti di BokoHaram e in Somalia quelli di al Shabaab, impongono alla popolazione il divieto di accedere agli aiuti umanitari e ciò avviene anche nelle diverse aree del Sahel. Secondo un rapporto risalente al 2017 delle Nazioni Unite, nell’area Sub Sahariana circa 26 milioni di persone soffrono di carestia, le condizioni alimentari e la malnutrizione tendono a peggiorare e di conseguenza anche la crisi sanitaria. Tuttavia bisogna tenere in considerazione che tali dati non rappresentano la totalità della popolazione saheliana. In occasione di una conferenza di circa 50 paesi donatori tra cui gli Stati Uniti, il Giappone e la Norvegia, Federica Mogherini (Alto Rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza) ha annunciato che l’Unione raddoppierà i fondi destinati alle operazioni multinazionali militari nell’Africa occidentale e nel Sahel per sostenere il corpo di antiterrorismo G5 Sahel nel contrasto alle offensive islamiste e nella gestione dei flussi migratori. Nel giugno 2017 il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha approvato all’unanimità la formazione del G5 Sahel e il 30 ottobre scorso, gli Stati uniti hanno promesso di fornire 60 milioni di dollari al nuovo corpo, che si sono aggiunti a 58 milioni di dollari donati inizialmente dall’Unione Europea. Così, durante la conferenza sono stati raccolti complessivamente 500 milioni a supporto del G5 Sahel.

Per concludere, la presenza militare a livello internazionale rimane una certezza nel lungo periodo.  Gli interventi su cui la comunità internazionale deve concentrarsi sono vari e complessi, dal controllo delle migrazioni al supporto logistico/operativo nei differenti rami della sicurezza come quella sanitaria, alimentare, politica, di controllo del territorio e dello sviluppo economico rurale. Tutti questi fattori sono strettamente correlati e l’attuazione di politiche di sostegno non ben pianificate  potrebbe portare alla degenerazione di una situazione già estremamente critica.

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