Non ci sarà nessuna guerra nell’Artico. Nessuna dimostrazione di forza. Con l’operazione Trident Juncture la NATO mette in atto lo scenario descritto nell’Articolo 5 volto alla difesa collettiva degli alleati. Sotto il comando dell’Ammiraglio James G. Foggo, Comandante del Joint Force Commando di Napoli, l’operazione ha l’obiettivo di testare il sistema di difesa dell’Alleanza e la capacità di tutti i paesi NATO di allenarsi e operare insieme in condizioni estreme.
La collocazione nord atlantica va letta alla luce delle dichiarazioni chiare dall’Ammiraglio Foggo alla vigilia delle operazioni: “È molto importante per la NATO dimostrare che l’Alleanza è pronta a difendere e scoraggiare un possibile nemico in qualsiasi parte geografica questo si trovi – che si tratti del Nord America o di qui in Europa. La Norvegia è un membro molto importante dell’Alleanza, strategicamente situato nel Nord Atlantico”. La NATO è un’Alleanza difensiva”, ha continuato, ” quindi non stiamo cercando una guerra. Ma siamo impegnati nella difesa e nella deterrenza.”
Lo scenario scelto per l’operazione è quello dell’estremo Nord Atlantico e del Baltico. La scelta delle fredde acque del nord sono una contingenza necessaria per il perseguimento di un obiettivo strategico dell’Alleanza, cioè affrontare una sfida che tocca ad alcuni dei paesi alleati: Norvegia, Svezia, Finlandia e Islanda, costretti per motivi geografici ad affrontare le operazioni militari in condizioni di ghiaccio perenne e freddo polare con evidenti difficoltà nel movimento tattico (quindi anche a livello logistico) a causa delle temperature proibitive.
L’operazione Trident Juncture 2018 si muoverà in un “alternative world” come lo chiamano gli americani, un mondo alternativo, dunque non realistico, dove le forze alleate sono chiamate a fronteggiare una minaccia ipotetica. Creato dal Joint Warfare Center (JWC) di Stavanger, in Norvegia, un’organizzazione multinazionale che coinvolge 15 paesi NATO e 250 militari e personale civile, lo scenario fittizio preparato per Trident Juncture 2018, – ha dichiarato Robert Stover, l’Ufficiale di guerra a guida di una squadra di specialisti della creazione di “fiction” per le operazioni militari – “disegna geografie realistiche ma del tutto arbitrarie, ordini di battaglie e costrutti politici: immaginiamo la storia di come sono state sviluppate le forze avversarie, valutiamo le dinamiche politiche, militari ed economiche”.
Nonostante la Trident Juncture sia solo un’esercitazione, resta la più importante mobilitazione militare della NATO dal 2002 – che coinvolge le forze di tutti i 29 paesi membri e nazioni partner, vi partecipano circa 40.000 soldati, oltre 60 navi e 10.000 veicoli da più di 30 paesi dell’Alleanza. La TJ non è una novità, già nel 2015, sotto lo stesso nome, si era svolta una imponente pre-iniziativa di difesa militare tra Italia, Spagna e Portogallo. Anche in quella occasione il movimento di un numero così massiccio di forze era funzionale alla verifica delle capacità di controllo simultanee dell’Alleanza su differenti terreni di azione, in un regime di esercitazione.
La TJ2018 va inquadrata senza troppa enfasi come un’azione difensiva e non una dimostrazione di forza nei confronti del nemico storico russo. È errato interpretare questa come la minaccia di una guerra imminente: benché la propaganda della Federazione si affretti a dimostrare il contrario. Semmai occorre ricordare come sia stata manifestata più volte da parte Russa l’intenzione di rafforzare il proprio apparato militare “allo scopo – si legge nella Russian National Security Strategy – di difendere l’inviolabilità del confine russo e dell’ordine costituito, i diritti di sovranità, indipendenza e integrità territoriale” oltre che “preservare, difendere e di consolidare il suo status di potenza globale”.
La corsa alle risorse in Artico attualmente non è uno scenario plausibile se parliamo di conflitto armato, altra cosa è vederla nell’ottica di una guerra commerciale. Abbiamo visto come la Cina sia interessata a sostenere lo sviluppo economico della regione e alle nuove opportunità che si stanno delineando per il commercio marittimo. Per ciò che riguarda la cooperazione russo-norvegese, questa riveste un ruolo centrale per il futuro dei progetti energetici nel Mare artico di Barents.
La creazione di partnership commerciali ha consentito ai due attori di trarre l’uno dall’altro il necessario, acquisendo know-how tecnologico per operare sul fondo marino, competenze, di cui la Russia è sprovvista, avendo operato quasi esclusivamente nell’onshore e vantaggio economico, è il caso della Norvegia che ha guadagnato l’accesso ai giacimenti lungo il confine: dalla joint-venture costituita nel 2008 per lo sviluppo del sito di Shtokman, tra Gazprom e Statoil, agli accordi di cooperazione del 2012 tra la seconda compagnia russa Rosneft e quella norvegese, per le esplorazioni nei siti russi e norvegesi nel Mare di Barents (e nel Mare di Okhotsk), a cui sono seguiti altri accordi a giugno e ad agosto dello stesso anno, per l’assegnazione congiunta di quattro licenze offshore nelle acque norvegesi del Mare di Barents.
I due paesi sono inoltre uniti nel perseguire una linea comune in modo bilaterale in materia di Sicurezza Marittima nell’ambito della protezione ambientale, hanno firmato un primo Accordo nel 1994, rinnovato nel 2013 in sede dell’Arctic Council, e hanno ratificato entrambi la “Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS)” e la “Convenzione Internazionale per la prevenzione dell’inquinamento causato da navi (MARPOL)” in sede Internazionale presso l’International Maritime Organization (IMO), per prevenire l’inquinamento causato dalla navigazione. Infine, di gran lunga la più importante delle dispute internazionali, quella sulle Svalbard, è stata risolta nel 2010, dopo un trentennio, segnando un passo in avanti cruciale nelle relazioni bilaterali fra i due paesi e definendo una linea di azione in Artico, volta alla necessità, seguita da una volontà di operare secondo un’ottica win-win e sulla base del Diritto Internazionale.
Nonostante le sanzioni USA-EU, adottate nel 2014, che hanno di fatto proibito l’esportazione della tecnologia per l’esplorazione e la produzione in alto mare verso la Russia e come sappiamo la Norvegia ha aderito alle sanzioni, attenendosi alle disposizioni che vietavano il sostegno ai progetti petroliferi russi, l’unico effetto è stato quello di post-datare l’avvio di alcuni progetti – è il caso di Shtokman (già sospeso anche a causa degli alti costi di produzione) e bloccare i finanziamenti esteri. A sopperire alla mancata partecipazione europea è arrivato il capitale cinese.
Nel prossimo futuro la cooperazione nell’industria energetica offshore, tra Norvegia e Russia, sarà comunque indispensabile, ed entrambi i paesi ne sono consapevoli. Abbiamo visto, quanto sia centrale dal punto di vista strategico per ambedue riuscire a sfruttare le risorse energetiche situate sul ricco fondale di Barents: ne beneficerebbe la prima, riuscendo a conservare inalterata la base della sua economia direttamente legata alla produzione di energia e il suo ruolo di esportatore mondiale; la seconda, nell’obiettivo di sostenere lo sviluppo economico delle regioni più remote e meno industrializzate del paese.
Qualcuno l’ha definita la “Quarta battaglia dell’Atlantico”. I toni catastrofistici sono tipici di un escalation mediatica. “Non è solo un esercizio militare, è un esercizio completo di tutte le dimensioni”, ha detto il Colonnello Stephan Dirr Ufficiale di comando al JFC di Napoli, “Da servizi medici, vigili del fuoco, difesa civile, ferrovia, tutti sono inclusi in questa prova di coordinamento tattico e logistico”.
Una parte dell’esercitazione Trident Juncture sarà gestita proprio da Napoli. Testerà e certificherà il JFC sud come quartier generale del comando della forza di risposta NATO 2019, e durerà dal 14 al 23 novembre.