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La crisi energetica e le riforme di AMLO: impatto e limiti della strategia messicana

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Tra i cavalli di battaglia della campagna elettorale di Andrés Manuel López Obrador nel 2016 c’era la rinazionalizzazione del settore energetico, privatizzato nel 2013. Nell’ultimo anno AMLO è riuscito, con una serie di interventi, a riaccentrare il potere nelle imprese statali e questo ha portato Stati Uniti e Canada ad appellarsi all’USMCA, con possibili risvolti sul futuro economico del Nord America.

La crisi energetica e i rapporti USA-Messico

Quando si parla dei rapporti tra Stati Uniti e Messico, si tende a pensare soprattutto agli scontri sulla gestione migranti e alla war on drugs contro i cartelli messicani. Però, il contesto internazionale attuale ha fatto balzare la questione energetica in cima alle agende di tutte le amministrazioni del mondo. Così, il tentativo del Presidente messicano Andrés Manuel López Obrador di rinazionalizzare il settore energetico messicano non è passato inosservato negli USA, specialmente per gli investimenti di compagnie statunitensi che sarebbero andati persi. E in un periodo di rapporti tesi tra le due amministrazioni, si è arrivati ad una contestazione formale, che potrebbe portare a pesanti provvedimenti. Ma per capire le origini di questa disputa bisogna prima comprendere le vicissitudini interne allo stato latinoamericano.

Il Settore Energetico Messicano: la riforma 2013 e il dietrofront di AMLO

Il 20 dicembre 2013, durante la presidenza di Enrique Peña Nieto, è stata approvata la riforma che introduceva nella costituzione messicana la possibilità di privatizzare le compagnie del settore energetico. Da allora, molti capitali privati, nazionali ed esteri, sono stati investiti nel settore: compagnie come Shell, Chevron, Exxon Mobil e BP hanno investito in giacimenti petroliferi, di gas, oleodotti e impianti di stoccaggio; Exxon e BP hanno spezzato il monopolio della compagnia statale PEMEX sulle stazioni di servizio; molte compagnie straniere, per la maggior parte statunitensi, hanno installato fattorie del vento ed impianti fotovoltaici; le reti elettriche USA e messicana sono state connesse e trasportano elettricità oltre il confine; è stato possibile iniziare ad importare combustibile dall’estero verso il Messico.

Questo ha apportato molti benefici sia al settore energetico che all’economia messicana in generale: il numero di blackout è diminuito drasticamente; il prezzo generale dell’energia è calato grazie ad un mercato più dinamico; l’afflusso di capitali ha dato il via alla transizione green. In più, solo nei primi 4 anni, gli IDE (Investimenti Diretti Esteri) nel settore ammontavano a 9,9 miliardi di dollari. Nonostante questi dati, AMLO considera però quella riforma un “tradimento alla patria” e, fin dalla campagna elettorale che lo ha portato all’elezione, si è prefisso di rinazionalizzare il settore per stroncare la corruzione dilagante che, a suo parere, la privatizzazione ha causato.

Quindi, il Presidente messicano ha deciso di riportare al centro del sistema le due compagnie statali Petróleos Mexicanos (Pemex) e Comisión Federal de Electricidad (CFE). La prima si occupa di estrazione, raffinazione, trasporto e distribuzione di petrolio e gas naturale, mentre la seconda di generazione, trasmissione e distribuzione di energia elettrica e di erogazione di servizi. Per farlo, il Governo ha innanzitutto iniettato molti soldi all’interno delle due compagnie per far fronte ai loro problemi finanziari, in più ha anche iniziato a rallentare, negare e revocare le concessioni al settore privato.

Già dal 2019, AMLO aveva iniziato a favorire la PEMEX concedendogli un’estensione di 5 anni rispetto all’obbligo di mantenere un tetto massimo al contenuto di zolfo nel proprio carburante. Questo ha ovviamente danneggiato i suoi concorrenti, visto che la compagnia statale può vendere ad un costo minore e, non dovendo rispettare quei limiti, ha potuto evitare di importare carburante a basso contenuto di zolfo o di migliorare le sue strutture di produzione. Dall’altro lato, la riforma del Governo messicano vuole rendere la CFE un organo statale e conferirgli il controllo sull’operatore indipendente Centro Nacional de Control de Energía (CENACE). Inoltre, con un emendamento del marzo 2021, è stato applicato un tetto alla quota di generazione privata del 46%, rispetto al 62% attuale, dando quindi priorità all’energia prodotta dalla CFE. Infine, a giugno di quest’anno, è diventato obbligatorio, per gli utilizzatori del sistema messicano di trasporto del gas, dimostrare che il combustibile provenga dalla PEMEX o dalla CFE.

Questi provvedimenti non sono stati ricevuti positivamente né dai privati né dai partner commerciali del Messico, specialmente Stati Uniti e Canada.

La procedura d’infrazione all’USMCA di USA e Canada

Tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022, gli Stati Uniti hanno espresso il loro disappunto per bocca del Presidente Biden e del Segretario all’Energia, Jennifer Granholm. Allo stesso modo, anche vari gruppi d’interesse hanno sottolineato come le decisioni di AMLO fossero discriminatorie e violassero gli accordi presi col United States Mexico Canada Agreement (USMCA), firmato nel 2020 per sostituire il NAFTA. Vista la reticenza al dialogo da parte messicana, gli USA hanno poi deciso, a luglio 2022, di avviare una procedura di risoluzione delle controversie presso le istituzioni del USMCA, seguiti subito dal Canada.

Nella richiesta di avvio di questa procedura, sono stati illustrati tutti i punti di attrito riscontrati. Per prima cosa, viene contestato il sopracitato emendamento alla legge sull’industria elettrica del marzo 2021. Secondo i richiedenti, questo emendamento violerebbe l’articolo 2.3 dell’USMCA (in quanto il Messico non avrebbe garantito a beni statunitensi lo stesso trattamento dei beni nazionali) e l’articolo 14.4 (perché “non viene garantito agli investitori e agli investimenti dagli USA un trattamento non meno favorevole a quelli messicani, in circostanze simili”). Il secondo punto riguarda il rallentamento, il rifiuto e la revoca delle concessioni ai privati per impianti di energia rinnovabile, import/export di elettricità e carburanti, stoccaggio e trasporto di carburante e per la costruzione di stazioni di servizio. Questo ostracismo da parte del Governo messicano non rispetterebbe vari articoli dell’accordo di libero scambio: il 2.3; il 14,4; il 2.11, proibendo o limitando l’import/export di beni; il 22.5.2, perché l’istituzione regolatrice non svolgerebbe il suo ruolo in modo imparziale; e il 29.3, in quanto il Messico non starebbe amministrando le proprie leggi in modo imparziale e non discriminatorio. La terza controversia tratta dell’estensione di 5 anni alla PEMEX per l’adeguamento dei livelli di zolfo nel diesel. Questa decisione violerebbe gli articoli 2.3 e 22.5.2 dell’USMCA, perché verrebbe favorito un prodotto messicano, attraverso una decisione non imparziale dell’organismo regolatore. Infine, viene contestata la decisione di richiedere a chi vuole usufruire del sistema messicano di trasporto del gas di comprarlo esclusivamente da CFE o PEMEX, non rispettando gli articoli 2.3 e 2.11 non fornendo lo stesso trattamento ai prodotti USA e limitando l’import/export di gas statunitense.

I possibili sviluppi

Questi attriti, se non risolti, rischiano di minare il dialogo in un settore strategico come quello energetico. Proprio in un momento così delicato, laddove il contesto internazionale inviterebbe alla cooperazione e al dialogo, il tentativo del Messico di procedere sulla strada del nazionalismo e della chiusura sembra totalmente anacronistico e controproducente. Eppure, le opportunità di intessere un rapporto ancora più stretto con Canada e Stati Uniti, per esempio collaborando sul tema del gas naturale, non mancherebbero. I tre stati, tra i primi 30 paesi al mondo per riserve di gas, avrebbero il potenziale per creare un’iniziativa nordamericana per la sicurezza energetica, aprendo alle concessioni per le compagnie di tutte e 3 le nazioni. Si avrebbe così un’opportunità di leadership geopolitica, crescita regionale e sicurezza energetica, di cui beneficerebbero anche PEMEX e CFE, che invece adesso sono isolate e suscettibili alla volatilità del mercato.

Infine, se i colloqui successivi all’avvio della procedura non andassero a buon fine e se il Messico venisse considerato colpevole dall’organismo giudicante dell’USMCA, si potrebbero configurare pesanti ripercussioni per il singolo settore o anche per l’intera economia messicana. Infatti, una violazione delle regole dell’accordo può portare all’aumento di dazi e tariffe doganali (tra i 10 e 30 miliardi di dollari, secondo le stime), circostanza che potrebbe causare problemi a tutto il Nord America. Anche qui, le vicende internazionali (come il costo della logistica, la guerra in Ucraina e la guerra commerciale tra USA e Cina) fornirebbero al Messico una gigantesca opportunità di attrarre investimenti. In questo contesto, gli Stati Uniti stanno incentrando la loro strategia su nearshoring e friendshoring, riavvicinando le loro supply chain o spostandole in paesi alleati. Dunque, AMLO starebbe potenzialmente perdendo una grande chance di sviluppo: secondo l’Inter-American Development Bank, il nearshoring permetterebbe al Messico di guadagnare 35 miliardi di dollari l’anno in esportazioni. Per non parlare dei problemi che affronterebbero, in caso di chiusure ulteriori e sanzioni, le filiere che si sono sviluppate in Nord America nel corso degli anni, dal settore automobilistico all’aerospaziale. 
Perciò, il Messico dovrebbe riconoscere l’importanza di un mercato aperto e dei legami commerciali, per non dover in futuro guardare a questo momento come ad un’altra occasione persa.

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