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Nuovi riconteggi: il Partito Repubblicano è ancora il partito di Trump

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Sono passati oramai più di 8 mesi dal 3 novembre 2020, data delle presidenziali americane. Verrebbe da pensare che il discorso sui risultati di quell’elezione sia chiuso: effettivamente lo è. O almeno lo è per l’intera popolazione americana, tranne che per il 60-70% dell’elettorato repubblicano, che se interrogato sull’argomento continua a affermare che Biden non possa aver legittimamente vinto quei 306 grandi elettori come racconta la narrativa ufficiale.

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Stimando l’elettorato repubblicano come un po’ meno della metà dei cittadini americani, questi dati vogliono dire che più di un americano su 4 vive in un’altra dimensione. Non è un’iperbole: dopo 80 casi legali e 3 ricorsi alla Corte Suprema che non hanno dimostrato alcuna frode, dubitare di un risultato netto a favore del candidato dem implica l’essere vittima di una disinformazione sistematica, perpetrata dagli ambienti cospirazionisti spesso affini a quella che una volta era l’alt-right americana e parzialmente avallata dallo stesso Partito Repubblicano. Spesso, probabilmente per paura di alienare il proprio elettorato, nei mesi scorsi alcuni politici del GOP hanno cercato di evitare domande sull’argomento o hanno addirittura affermato che, sì, Trump è il vero vincitore di queste elezioni. È improbabile che siano in buona fede in questo atteggiamento, d’altronde il leader repubblicano del Senato, Mitch Mcconnell, si è sempre dichiarato convinto della vittoria di Biden. Tuttavia, anche lui sembra anteporre il bene del partito a quello dell’unità nazionale: il mese scorso è riuscito a bloccare al Senato la proposta bipartisan di istituire una commissione d’inchiesta per fare luce sui fatti del 6 gennaio 2020.

Dopo quegli avvenimenti, i media liberali hanno iniziato a chiamare la versione trumpiana delle elezioni “the Big Lie”, ovvero la grande bugia, prendendo in prestito il termine dalla citazione attribuita a Goebbels che afferma che, se dici una bugia abbastanza grande abbastanza spesso, la gente comincerà ad accettarla come realtà. Ad un certo punto a ridosso dell’attacco al campidoglio il partito repubblicano sembrava sulla strada di un decoupling da Trump, tanto che fu riportato che l’ormai ex presidente stesse pensando di creare un partito tutto suo. Ad oggi il trend sembra ora essersi invertito: the Big Lie sembra essere la posizione ufficiale del GOP e sono i più moderati, quelli che riconoscono che nessuna frode sia avvenuta, a pensare di distaccarsi da un Partito Repubblicano quasi irriconoscibile rispetto a quello di 5 anni fa. 

Quel partito che, probabilmente, Liz Cheney rivorrebbe indietro, ancorata più alle posizioni del padre rispetto a quelle di Trump, tanto da aver votato a favore per il secondo impeachment del tycoon. La Cheney è stata recentemente rimossa per questo dal ruolo di presidente della Conferenza repubblicana al Senato in favore di Elisa Stefanik, che il 6 gennaio aveva perfino votato per sovvertire i risultati elettorali in favore dell’ex presidente. A seguito di questo, 150 esponenti repubblicani, tra cui 4 ex governatori, hanno creato un movimento che minaccia di abbandonare il GOP se continuerà ad essere il partito di Trump. Ma la figlia dell’ex vicepresidente non è la sola a ricevere pressioni per aver messo in dubbio questa posizione. Brian Kemp, attuale governatore della Georgia, era stato fortemente attaccato da Trump e dai suoi seguaci per non essersi prodigato abbastanza per sovvertire i risultati elettorali nel suo stato. Gli insulti e le affermazioni contro di lui potrebbero essere stati essenziali per determinare la posizione del governatore riguardo a una nuova proposta di legge in Georgia che è stata definita da molti come voting suppression. Kemp potrebbe aver deciso di supportarla per riacquistare la fiducia dei suoi elettori in vista della sua candidatura alla rielezione nel 2022. 

Anche Brad Raffensperger, il suo Segretario di Stato, sta seguendo una linea simile. A metà maggio, si è detto favorevole a consentire al team di un certo Garland Favorito, teorico del complotto locale, di effettuare un ulteriore riconteggio dei voti delle presidenziali dopo quelli ufficiali effettuati dallo stato dopo le elezioni. La tesi di Favorito sembra essere che i voti contraffatti siano riconoscibili dalla piega della scheda. In Arizona, invece, si punta più sul tipo di carta. Il Senato dello stato ha infatti commissionato un altro riconteggio ai Cyber Ninjas, un’azienda abbastanza improvvisata guidata da Doug Logan, forte supporter di Trump e grande divulgatore di teorie cospirazioniste. Il riconteggio è inoltre crowsourced da piccoli donatori simpatetici alla causa di Trump e da Mike Lindell, nientemeno che MyPillowGuy, proprietario di una fabbrica di cuscini, da sempre finanziatore delle cause legali pro-Trump. Fra le tecniche utilizzate, vi è quella di cercare tracce di bamboo nelle schede per provare che alcune di esse siano falsi importati dalla Cina e illuminare i voti con luci UV per trovare delle filigrane segrete. 

Tale riconteggio potrebbe avere risultati catastrofici. Le regole ufficiali per un riconteggio bipartisan non sono state seguite ed inoltre vi sono gravi problemi di trasparenza in questa operazione. Una delle persone coinvolte nel maneggiare i voti è Anthony Kern, che essendo stato candidato come grande elettore trumpiano nello stato e avendo preso parte alla manifestazione del 6 gennaio al Campidoglio, crea grandi problemi nella legittimità di questo riconteggio. Vista anche la fretta con cui i voti stanno venendo contati, è probabile che i Cyber Ninjas affermeranno di aver scoperto delle incongruenze dal conteggio ufficiale. Non è chiaro se saranno abbastanza convincenti da poter capovolgere il risultato dello stato, tuttavia sicuramente incoraggerà gli altri stati con legislature statali repubblicane a fare lo stesso. Steve Bannon lo chiama “il primo domino che farà cadere tutti gli altri” e Trump ha varie volte fatto capire di puntare su questa eventualità. Sembra quindi che il Partito Repubblicano, almeno in una sua buona parte, messo di fronte al bivio fra ristrutturarsi accantonando Trump e negare la realtà, abbia deciso per la seconda. 

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