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Nuove tensioni tra Cina e Giappone nel Mar Cinese Orientale

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Torna a crescere la tensione tra Cina e Giappone, con riferimento alla disputa territoriale che vede le due nazioni (più Taiwan) fronteggiarsi da decenni nel Mar Cinese Orientale.

Operazioni di ricognizione

Negli ultimi giorni del mese di giugno le autorità giapponesi hanno segnalato una serie di intrusioni rilevanti da parte di imbarcazioni cinesi. La Guardia Costiera giapponese ha fatto sapere che, dal primo gennaio al 31 maggio 2020, il numero di sconfinamenti di navi cinesi all’interno della zona contigua giapponese nel Mar Cinese Orientale è aumentato del 18% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, toccando la cifra record di 495. All’inizio di luglio, le autorità nipponiche hanno inoltre segnalato l’ingresso e la navigazione prolungata di due navi da ricognizione della Repubblica Popolare Cinese all’interno delle acque territoriali giapponesi per un periodo di 30 ore a partire dalle ore 16 circa di venerdì 2 luglio. Si è trattato della più lunga intrusione di navi cinesi nelle acque giapponesi da quando il governo di Tokyo ha acquistato alcune delle isole Senkaku da un privato cittadino, nel 2012. La tensione torna a salire anche a causa della recente decisione, da parte della città giapponese di Ishigaki (nella prefettura di Okinawa), di cambiare la denominazione amministrativa dell’area comprendente anche le isole contese, da “Tonoshiro” a “Tonoshiro Senkaku”, motivando la scelta con la necessità di risolvere un’ambiguità amministrativa. Di tutt’altro avviso è, ovviamente, il governo cinese, che ha definito l’accaduto come una provocazione alla sovranità territoriale della Cina, alla quale Pechino si riserva il diritto di rispondere.

Una disputa che ha radici profonde

L’arcipelago delle isole Senkaku (Diaoyu in cinese), formato da una serie di affioramenti – per lo più isole disabitate e scogliere –, è situato a 170km sia da Taiwan che dall’isola di Ishigaki, e a 330 km dalle coste cinesi. Le isole sono appartenute al Giappone dal 1895, anno della vittoria di quest’ultimo sulla Cina nella Prima Guerra Sino-Giapponese, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando passò sotto l’amministrazione degli Stati Uniti come parte delle Isole Ryukyu. Tale rimase fino al 1971, anno in cui venne restituito a Tokyo. Nel 2012, come già accennato, il governo giapponese “nazionalizzò” tre delle isole contese, acquistandole da un privato cittadino di nome Kunioi Kurihara per 26 milioni di dollari. L’acquisto destò più di un malumore a Pechino, dove fu visto come un atto provocatorio, se non anche un tentativo di sovvertire l’esito della Seconda Guerra Mondiale. Il periodo immediatamente successivo ha visto un costante intensificarsi delle attività militari cinesi nel Mar Cinese Orientale, ad esempio attraverso l’invio di imbarcazioni all’interno delle acque territoriali delle Senkaku.

Il ruolo della guardia costiera cinese

A questo punto è bene ribadire quali siano gli obiettivi strategici della Cina nella regione. La “trasformazione” della Repubblica Popolare Cinese da potenza terrestre a potenza marittima è un fatto relativamente recente, e va di pari passo con la rapidissima crescita economica del dragone. Lo sviluppo del potere navale cinese ha interessato soprattutto le sue capacità di sea denial: la priorità di Pechino è quella di proteggere la sovranità esclusiva reclamata sulle acque all’interno della prima delle “due catene di isole” che separano idealmente il continente asiatico dal resto dell’Oceano Pacifico, ossia quella che circonda il Mar Giallo, il Mar Cinese Orientale e il Mar Cinese Meridionale.

Una delle chiavi di lettura della disputa nel Mar Cinese Orientale è il ruolo svolto dalla Guardia Costiera Cinese. Negli ultimi anni Pechino ha aumentato il budget a essa destinato, espandendone la flotta e potenziandone le capacità. La GCC ha subìto una vera e propria opera di militarizzazione, tanto che nel 2018 il suo comando è passato sotto il controllo della Polizia Armata del Popolo, a sua volta facente capo alla Commissione Militare Centrale. Nonostante ciò, il reale valore della GCC come strumento fondamentale per far valere le pretese territoriali di Pechino risiede nel fatto che l’impiego della Guardia Costiera – piuttosto che della Marina Cinese (PLAN) – in operazioni di pattugliamento nelle zone contese, permette di rafforzare la presenza di Pechino nelle acque del Mar Cinese Orientale muovendosi all’interno della cosiddetta “zona grigia”. Non potendo tali operazioni essere considerate come veri e propri atti di aggressione, ad essere fortemente limitate sono le possibilità di risposta con la forza da parte non solo del Giappone, ma anche degli Stati Uniti.

Cosa dobbiamo aspettarci?

La campagna di potenziamento delle capacità militari che ormai da anni Cina e Giappone stanno portando avanti, più che una preparazione a una possibile resa dei conti per il controllo delle isole Senkaku, assume le fattezze di una corsa al “rendere superfluo” un conflitto vero e proprio. Poiché Pechino punta a tagliare fuori gli Stati Uniti da quello che considera il proprio cortile di casa, è assai difficile che la Cina effettui un atto di aggressione nei confronti del Giappone, specialmente perché questo avrebbe come prima conseguenza l’entrata in gioco di Washington al fianco di Tokyo, in virtù degli accordi di mutua difesa che legano i due alleati. In ultima analisi, la Cina sembra avere il tempo dalla sua parte: l’obiettivo di Pechino è quello di stabilire un fait accompli, imponendo poco alla volta la sua presenza nell’area. Rimane comunque impossibile sbilanciarsi in previsioni su quali possano essere gli sviluppi futuri della contesa, poiché il confronto strategico tra Stati Uniti e Cina si trova ancora in una fase poco avanzata e non è chiaro quali saranno i suoi futuri sviluppi – se si consumerà soprattutto sul piano economico o sfocerà in un conflitto convenzionale, un’eventualità improbabile sebbene non impossibile.

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