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Geoeconomia ed InnovazioneNord Stream 2: quanto è concreto il pregiudizio per...

Nord Stream 2: quanto è concreto il pregiudizio per gli interessi energetici italiani?

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I rapporti tra il Governo Renzi e l’Unione Europea hanno conosciuto tempi migliori. Del resto, i punti di frizione non mancano: in ordine sparso si possono citare la procedura di infrazione sulla gestione del riconoscimento dei profughi, il fallimento dell’accordo sulla relocation, le critiche per il supporto pubblico concesso all’ILVA e, ovviamente, la richiesta italiana di maggiore flessibilità nella disciplina del bilancio di Stato. Non va, tuttavia, dimenticato il fronte della politica energetica sulla quale, con il prospettato ampliamento del gasdotto Nord Stream, Italia ed Europa si apprestano a giocare una partita fondamentale.

Nord Stream 2 è il nome con cui è noto il progetto per il raddoppio della faraonica rete di pipeline che dalle coste del Golfo di Finlandia trasporta dal 2011 il gas russo fino ai porti baltici della Germania. 1.224 chilometri di tubature con cui Gazprom rifornisce quotidianamente il fabbisogno energetico dell’Europa occidentale, bypassando quella lunga fascia di Paesi che, dall’Estonia all’Ucraina, passando per la Polonia, si pongono con frequenza su posizioni diplomatiche e commerciali ostili agli interessi della Federazione. Nord Stream offre al gigante dell’energia russa un canale di contatto diretto con la locomotiva d’Europa, interlocutore affidabile che, al netto delle frizioni sul dossier ucraino, dimostra da sempre sul fronte economico una propensione al dialogo e alla cooperazione con Mosca.

L’ampliamento delle pipeline esistenti, un progetto da undici miliardi di euro, sancirebbe l’ascesa incontrastata della Germania a hub continentale del gas, un ruolo che per ovvi motivi Berlino persegue da tempo. Se non fosse che, al pari degli altri membri della compagine europea, la Germania è parte integrante di quella road map sull’unione energetica che tra i suoi punti prevede un impegno per la diversificazione delle fonti di approvvigionamento poco conciliabile con la prospettiva offerta da Nord Stream 2. Non casualmente, si tratta di una delle argomentazioni con cui da Bruxelles in passato sono state avanzate riserve sulla realizzazione dell’ormai abortito South Stream, il progetto parallelo con cui Gazprom intendeva far giungere il suo gas nell’Europa meridionale sfruttando il tracciato offerto dai fondali del mar Nero. Qui, come ben si immagina, entra in gioco l’interesse italiano. La Penisola e i suoi player energetici – in primis Saipem – hanno rinunciato a investimenti e guadagni considerevoli con la scomparsa del corridoio meridionale e non sorprende quindi constatare come l’attenzione verso il comparto servizi del colosso tricolore dell’energia, Eni, sembri ormai scemare in favore delle attività di estrazione, anche in considerazione delle prospettive aperte dalla scoperta del giacimento di Zohr in Egitto.

Facile immaginare, come suggerito dalla stampa, un coinvolgimento italiano nella realizzazione del gasdotto baltico quale contropartita adeguata per il pregiudizio subito. Eppure la concessione ad aziende italiane di appalti e subappalti o persino l’ingresso formale nel consorzio di imprese a guida tedesca potrebbe non essere stato al centro delle discussioni off the record tra il Premier e la Cancelliera tedesca, incontratisi lo scorso venerdì. Se da un lato i grandi attori economici italiani hanno sbandierato il loro disinteresse per il progetto nord europeo, dall’altra emerge la constatazione che le priorità del Governo in materia di politica energetica dovrebbe focalizzarsi su dossier collaterali. Il riferimento è in primo luogo alla necessità di trovare un punto d’incontro sulla problematica del cosiddetto reserve flow. Con il termine si vuole intendere l’insieme di barriere doganali e normative che impediscono la libera circolazione degli idrocarburi all’interno di un mercato europeo ancora poco integrato e ingessato sulle sole direttive Nord-Sud – dalla Germania verso il Mediterraneo – ed Est-Ovest – dalla Federazione Russa ai Paesi occidentali. Governati su base bilaterale, gli accordi per l’implementazione delle direttive di scambio del gas costituiscono un altro dei punti nodali della cosiddetta Energy Union e obiettivo di fondamentale importanza per l’Italia se intende capitalizzare i suoi nuovi investimenti infrastrutturali – leggesi TAP – e rivolgersi a una clientela che le è stata finora preclusa.

Un’intesa di massima sul reverse flow costituirebbe una garanzia contro l’eccessivo accentramento del mercato energetico europeo e un potente incentivo per uno spostamento dell’Europa meridionale su posizioni più concilianti in merito al Nord Stream, sul quale la Commissione Europea sarà presto chiamata a esprimersi.

SULL’ARGOMENTO LEGGI ANCHE Nord Stream Two: ripartono i lavori della nuova autostrada energetica del nord Europa

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