Lo stallo nel conflitto libico, nella risoluzione delle controversie derivanti dall’annoso dibattito sull’EastMed e nelle dinamiche di confronto/scontro nella macro-regione dell’Africa Settentrionale e del Medio Oriente, sta lentamente portando verso una probabile normalizzazione dei rapporti diplomatici tra gli attori geopolitici regionali. Tuttavia le relazioni turco-egiziane rallentano il processo.
Nell’area MENA si è cristallizzato un labile equilibrio di potenza, scaturito da decenni di dinamiche conflittuali, non ancora risolte. Due attori hanno preso il centro della scena mediorientale e mediterranea: Turchia ed Egitto; sullo sfondo le petromonarchie arabe tentano di contenere l’ascesa regionale della Turchia caratterizzata dal sostegno alla Fratellanza Musulmana e da una postura marittima in via di consolidamento.
Le rivolte del 2011 sembravano portare l’area MENA verso una maggiore democratizzazione. Tuttavia, l’implosione di alcuni Stati come Yemen, Libia e Siria ha scatenato accese rivalità tra i maggiori attori, divisibili in due macrocategorie: revisionisti e conservatori. Nella prima rientrano Turchia e Qatar, nella seconda Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, a cui va aggiunto l’Egitto dopo la destituzione di Morsi nel 2013. Le difficili relazioni tra il Cairo e Ankara hanno avuto inizio da quest’ultima vicenda: mentre nel 2012 il processo di democratizzazione egiziano aveva portato al potere i Fratelli Musulmani, la destituzione di Morsi ha riportato l’Egitto sotto il controllo dei militari con al vertice al-Sisi, fortemente sostenuto dagli emiratini e dai sauditi. Dal loro punto di vista, l’ascesa al potere dell’Islam politico avrebbe potuto sconvolgere il già complesso ecosistema mediorientale. Ciò poneva quindi una minaccia sistemica a livello regionale che avrebbe potuto riverberarsi negativamente nel loro ordine interno.
La rivalità strategica tra Turchia e Egitto ha investito in primo luogo il campo geopolitico, concretizzandosi nella guerra civile libica in cui i due attori sostengono diverse fazioni che si contendono il potere; in secondo luogo il campo ideologico, nel quale la Turchia sostiene la Fratellanza Musulmana – vettore della sua proiezione geopolitica regionale – e l’Egitto che, insieme ai suoi partner, contiene l’avanzamento dell’Islam politico. Nel pantano libico i due campi, geopolitico e ideologico, si sovrappongono.
Per l’Egitto infatti avere una Libia con un governo di orientamento islamista e per lo più sostenuto da Ankara, potrebbe esplicitarsi in una grave minaccia nei confronti della sua stabilità interna e della sua postura geopolitica regionale. Sebbene il Cairo sia stato fortemente influenzato dalla controffensiva delle petromonarchie del Golfo, che temono l’ascesa degli attori revisionisti, sarebbe erroneo sminuire il territorio egiziano come mero spazio in cui sauditi ed emiratini applicano la loro necessità di profondità strategica nei confronti dell’ascesa turca e dell’Islam politico, entrambi attualmente arginati a Tripoli. Il Cairo ha sempre avuto un ruolo centrale nelle dinamiche regionali, ragione ulteriore per cui le petromonarchie non potevano permettere che un attore di un certo peso potesse cadere in mano ai loro rivali strategici. Tale ruolo continua ad averlo tuttora, per motivi sostanzialmente strutturali: capacità demografica, influenza culturale, posizione geografica (Canale di Suez) e quindi centralità nelle dinamiche mediterranee, anche in virtù dei giacimenti gasieri. Dalla crisi delle Primavere Arabe abbiamo quindi assistito ad una rivalità turco-egiziana che si è esplicitata su diversi fronti.
La contingenza attuale rende però impossibile per la Turchia gestire tanti teatri assieme – si pensi all’attivismo turco in Ucraina, in Azerbaigian in Siria e in Libia – e ciò costringe Ankara a scendere a compromessi con le controparti mediorientali.
Sebbene in Libia sembrava aprirsi uno spiraglio per una riconciliazione tra Emirati e Turchia, il Cairo manifestava inizialmente una sostanziale ritrosia. Il problema, secondo l’Egitto, consiste nel fatto che Ankara detiene tuttora milizie sul campo in grado di influenzare le dinamiche politiche libiche. Nei numerosi incontri portati avanti tra i due paesi, l’Egitto ha fatto più volte presente che le stesse milizie sono un problema per la sua sicurezza nazionale. Inoltre la parziale vicinanza tra la Turchia e Bashaga, ex ministro del Presidente al-Serraj – politicamente vicino ad Ankara – ed oggi attore riconosciuto come Presidente del Governo dalla Camera dei Rappresentanti libica con sede a Tobruk, inquieta l’Egitto che rimane dunque aggrappato al Generale Khalifa Haftar. Ankara continuava comunque a mandare segnali importanti al Cairo in due modi: aprendo ad Israele ed Emirati e chiudendo i media affiliati ai Fratelli Musulmani, elemento che avrebbe dovuto essere apprezzato dal Cairo viste le critiche più volte espresse nei confronti delle interferenze turche nei suoi affari interni per mezzo dell’Islam politico. L’avvicinamento turco ai partner egiziani avrebbe dovuto portare a due possibili scenari: l’isolamento regionale egiziano o l’apertura di nuovi e più stabili rapporti. Le dinamiche hanno preso una strada diversa con la presa di posizione dell’Egitto, il 27 agosto, a sostegno del tentato colpo di stato nei confronti di Dbeibah, Presidente del Governo di Unità Nazionale libico politicamente vicino ad Ankara, che ha ulteriormente incrinato i rapporti turco-egiziani.
A rendere ancora più complicata la questione, secondo l’Egitto, è in primo luogo l’influenza turca nel Corno d’Africa e soprattutto in Etiopia, paese con il quale il Cairo detiene contenziosi per via della questione che investe il fiume Nilo; in secondo luogo l’annosa questione, tuttora irrisolta, relativa alla spartizione del Mediterraneo orientale.
Elementi che presi insieme sembrano non favorire la stabilizzazione dei rapporti bilaterali. Eppure in Qatar, in vista dell’apertura dei Mondiali 2022, il Presidente Erdogan ha incontrato il suo omologo egiziano al-Sisi. I due hanno confermato che l’incontro segnerà l’inizio di nuovi rapporti bilaterali. Difficilmente però una semplice stretta di mano risolverebbe le controversie di lunga data riportate in questa breve analisi. Anche se gli attori del Golfo – tra cui il Qatar, che ha promosso la stretta di mano tra i due presidenti – sembrano orientarsi verso una stabilizzazione regionale, da risolversi in un fronte di contenimento iraniano, il Cairo sente la minaccia turca troppo vicina. Per questo Egitto e Grecia – principale rivale di Ankara – hanno firmato il 22 novembre, pochi giorni dopo l’incontro tra al-Sisi ed Erdogan, un Memorandum d’intesa sulla ricerca e soccorso aeronautico e marittimo con l’obiettivo di creare un quadro di cooperazione tra le autorità egiziane e greche. Protocollo che inevitabilmente si sovrappone alla ZEE turco-libica dichiarata illegale proprio da Egitto e Grecia, che hanno sostenuto quanto il loro accordi siano conformi al diritto internazionale, messaggio chiaramente destinato ad Ankara. Segnale di un rapporto che nel breve termine sembrerebbe insanabile. Se è vero infine che il riavvicinamento del mondo sunnita ha come obiettivo il contenimento iraniano, la fragile congiuntura in cui è caduta Tehran, potrebbe non facilitare il tentativo di stabilizzare i rapporti tra gli attori regionali, in primis quelli tra Egitto e Turchia.