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New Start e capacità nucleare della Cina: il caso degli ICBM

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Il 22 e il 23 giugno scorso a Vienna si sono tenute le trattative russo-americane riguardanti il futuro del trattato New Start. Da un lato, la parte russa si presenta al Palais Niederösterreich, luogo in cui si sono svolti i colloqui, con l’obiettivo primario di estendere per altri cinque anni il trattato, dall’altro la controparte americana mira a gettare le basi per una possibile entrata della Repubblica Popolare Cinese nel New Start. La mancata partecipazione di Pechino pertanto riporta all’attenzione i delicati temi del controllo degli armamenti e delle capacita nucleari del dragone.

Il New Start

Il trattato New Start (New Strategic Arms Reduction Teatry), firmato a Praga da Obama e Medvedev nel 2010, costituisce l’unico trattato bilaterale in materia di controllo degli armamenti ancora in vigore fra Russia e Stati Uniti. Le trattative riguardanti il futuro del trattato risultano essere particolarmente significative, soprattutto se analizzate tenendo contestualmente conto della recente uscita degli Stati Uniti dal trattato INF e l’annuncio del ritiro dall’Open Skies.

Il New Start vincola i contraenti a non possedere più di 1550 testate schierate, e più specificatamente fissa a 800 il limite di missili balistici intercontinentali (ICBM), missili balistici lanciati da sottomarini (SLBM) e bombardieri strategici; a completamento di tali disposizioni, il trattato stabilisce che entrambe le parti non possono detenere più di 700 ICBM, SLBM e bombardieri effettivamente schierati. La validità dell’accordo è di 10 anni e pertanto, essendo entrato in vigore il 5 febbraio 2011, avrà effetto fino a febbraio 2021.

Come menzionato, La delegazione russa, guidata dal Viceministro degli Esteri Sergei Ryabkov, si è presentata a Vienna principalmente con l’intento di estendere per altri cinque anni il trattato; d’altro canto Washington, la cui delegazione è stata invece guidata dallo Special Presidential Envoy for Arms Control Marshall Billingslea, ha fortemente richiesto come precondizione essenziale per le trattative la partecipazione della Repubblica Popolare Cinese.

La mancata presenza di Pechino a Vienna il 22 e 23 giugno ha quindi riportato l’attenzione internazionale sulla crescente importanza della RPC nello scacchiere internazionale. Fu Cong, Direttore generale del Dipartimento per il controllo degli armamenti degli Affari Esteri cinese, ha motivato l’assenza di Pechino alle trattative affermando: “Posso assicurarvi che se gli USA dicessero di essere pronti a scendere al livello cinese, la Cina sarebbe felice di partecipare il giorno dopo. Ma, attualmente, noi sappiamo che questo non succederà. Conosciamo la policy statunitense.” Ad oggi, la RPC pertanto non è intenzionata ad unirsi ai negoziati proprio per la mancanza di parità tra il suo arsenale nucleare e quelli dei due paesi facenti parte del trattato.

La capacità nucleare cinese: il caso dei ICBM

Dagli anni ’80 la Repubblica Popolare Cinese ha avviato un programma di modernizzazione dell’arsenale atomico, tanto da arrivare a possedere nel 2019 un numero stimato di 290 testate, suddivise tra 48 SLBM, 180 vettori balistici land-based e alcuni bombardieri strategici. Tale valutazione ha trovato inoltre una conferma nella dichiarazione del direttore della Defense Intelligence Agency (DIA) degli Stati Uniti a maggio 2019: “We estimate (…) the number of warheads the Chinese have is in the low couple of hundreds”.  Nel 2020 tuttavia la stima delle testate nucleari di Pechino sembra aver subito una variazione, come mostrato dall’analisi del Sipri Yearbook del 2020, il quale ha indicato a 320 il totale approssimativo delle stesse.

Nell’analisi della modernizzazione dell’arsenale atomico della Repubblica Popolare Cinese, una menzione speciale va agli sviluppi e i progressi riguardanti gli ICBM, e in particolare relativamente ai Dongfeng-31 (DF-31) e Dongfeng-41 (DF-41).

Il DF-31 e i relativi modelli aggiornati hanno un sistema di lancio che viene definito cold-launched. I sistemi di lancio verticale si dividono in due categorie: sistemi di lancio freddo (cold-launched), in cui il missile viene espulso grazie all’aria compressa prodotta da un generatore di gas che non fa parte del missile stesso, e sistemi di lancio caldo (hot-launched), in cui il missile si accende direttamente nella cellula.

Il DF-31, schierato originariamente nel 2006, ha una lunghezza di circa 15 metri e ha un’autonomia compresa tra i 7.000 e gli 8.000 chilometri; ha dunque la capacità di raggiungere obiettivi come la Russia occidentale, l’India meridionale e Guam, possedendo pertanto un target propriamente regionale. Nel 2007, per la prima volta, è stata presentata una versione modificata del DF-31, ovvero il DF-31A, con un raggio compreso tra i 11.000 e i 12.000 chilometri; ha di conseguenza la possibilità di colpire target decisamente più lontani come le maggiori città delle coste occidentali degli Stati Uniti.

Durante una parata del 2017, nella quale si celebrava il 90° anniversario dell’Esercito Popolare di Liberazione, la Repubblica Popolare Cinese ha presentato l’ultimo aggiornamento della famiglia dei DF-31, ovvero il DF-31AG; Il nuovo modello non presenta grandi innovazioni per quanto riguarda ad esempio la gittata ma presenta enormi vantaggi per quanto concerne la mobilità. Tale miglioramento consiste nell’utilizzo dei TEL (Transporter Erector Launcher) che, a differenza dei MEL (Mobile Erector Launchers), utilizzati invece dai DF-31 e DF-31A, offre una capacità off-road che consente pertanto uno schieramento da una più ampia gamma di posizioni possibili; ciò che penalizzava di più il MEL era difatti la limitata mobilità dovuta principalmente alla mancanza di possibilità di spostamento fuoristrada.

Per quanto riguarda il programma di modernizzazione dell’arsenale nucleare cinese, la più interessante innovazione, almeno per quanto concerne gli ICBM, è stata la presentazione del DF-41. Il primo ottobre 2019 ha avuto luogo una maestosa parata in celebrazione del 70° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese, durante la quale sono stati mostrati numerosi nuovi sistemi d’arma tra i quali ad esempio il missile balistico a medio raggio DF-17 e il bombardiere H-6N. Il vero protagonista della parata è stato però senza alcun dubbio il DF-41, mostrato per la prima volta proprio in quell’occasione.

Rispetto ai modelli precedentemente analizzati, il DF-41 ha un raggio estremamente più ampio, variando tra i 12.000 e i 15.000 chilometri, riuscendo in tal modo a raggiungere persino le coste orientali degli Stati Uniti.

Si è stimato che tale sistema sia in grado di trasportare e rilasciare 10 testate multiple indipendenti (MIRV) in grado di colpire diversi bersagli simultaneamente. E’ opportuno precisare però, come sottolineato dalll’analisi condotta dal Chinese nuclear forces (2019) del Bulletin of the Atomic Scientists, come il DF-41 abbia in realtà una capacità effettiva stimata di circa tre testate multiple indipendenti, con la capacità di carico utile aggiuntiva che sarebbe invece costituita da testate fittizie e decoys.

Conclusioni

A dispetto delle considerazioni sin qui svolte possiamo dunque comprendere maggiormente la particolare attenzione che gli Stati Uniti riservano alla progressiva importanza del ruolo della Cina nello scacchiere internazionale e al suddetto programma di modernizzazione dell’arsenale atomico cinese.

“La competizione strategica a lungo termine con la Cina” viene difatti presentata nel NDS18 (National Defense Strategy, 2018) come una “priorità principale per il Dipartimento”; Pechino pertanto, secondo quanto riportato dal NSS17 (National Security Strategy, 2017),  sfida “il potere, l’influenza e gli interessi americani, tentando di erodere la sicurezza e la prosperità americane.”

Per quanto concerne la modernizzazione militare e la capacità missilistica cinese, nel Missile Defense Review del 2019 si afferma che “i missili offensivi svolgono un ruolo sempre più importante nella modernizzazione militare della Cina, nelle sue minacce coercitive e negli sforzi per contrastare le capacità militari statunitensi nell’Indo-Pacifico. (…) La Cina ora può potenzialmente minacciare gli Stati Uniti con circa 125 missili nucleari, alcuni in grado di impiegare più testate, e le sue forze nucleari aumenteranno nei prossimi anni”.

Pompeo ha inoltre affermato, proprio in riferimento al trattato New Start, che gli Stati Uniti, la Russia e la Cina sono “tre potenze nucleari con risorse e capacità significative” e che è di fondamentale importanza per loro “unirsi per creare una situazione strategica più solida e maggiormente stabile”. In conclusione possiamo pertanto affermare che non è nei migliori interessi di Washington impegnarsi per un rinnovo del trattato di altri cinque anni che non comprenda la Cina. Pechino dunque rappresenta senza alcun dubbio un elemento da non sottovalutare per il futuro estremamente incerto del trattato New Start.

Elisa Ugolini,
Geopolitica.info

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