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TematicheRussia e Spazio Post-sovieticoNeutralità, multilateralismo, minilateralismo, l’evoluzione della politica estera ucraina

Neutralità, multilateralismo, minilateralismo, l’evoluzione della politica estera ucraina

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Terra situata al confine tra due mondi, l’Ucraina ha dovuto storicamente adottare una politica estera volta a preservare la propria sicurezza da attori espansionisti ai suoi confini. Tale politica, originariamente incentrata sulla neutralità, ha in seguito subito una profonda trasformazione in virtù della postura fortemente revisionista assunta dalla Federazione Russa. 

Le radici storiche

Le radici storiche della politica estera ucraina affondano nel tredicesimo secolo, durante il collasso dell’autorità centrale della Rus di Kyiv. Tale processo determinò la nascita di diversi principati autonomi, tra i quali il Principato di Galizia e Volyna, che a seguito dell’invasione mongola dell’Europa Orientale venne a trovarsi in una posizione geografica altamente complessa, stretto ad ovest dai potenti regni di Polonia e Ungheria e ad est dal Khanato dell’Orda d’Oro. Il Principe Danilo di Galizia riuscì nell’impresa di sottrarre il territorio alle mire espansionistiche ungheresi e polacche, adottando una politica estera volta a mantenere buoni rapporti con le monarchie occidentali rimanendo contestualmente vassallo dell’orda. L’intento di tale politica risultava essere l’impiego delle monarchie europee come contrappeso all’influenza mongola e viceversa, preservando quindi il Principato (successivamente evolutosi in regno), da minacce esterne. Nei fatti tale politica non ebbe successo in virtù della progressiva crescita relativa delle capacità polacche rispetto all’Orda d’Oro, tradottasi nell’occupazione della Galizia da parte di Varsavia. 

A seguito della restaurazione della sovranità ucraina tramite la rivolta cosacca, il paese non riuscì ad adottare una politica estera coerente, pendendo prima verso lo Zarato Russo durante il governo di Bohdan Chmel’nyc’ky e poi verso la Polonia sotto il successore Ivan Vyhovsky. Le divisioni insite nella società ucraina tra i sostenitori di Mosca e Varsavia favorirono le mire espansionistiche dei potenti vicini, i quali riuscirono a spartire tra di essi il territorio cosacco tra la fine del diciassettesimo e l’inizio del diciannovesimo secolo. Il nuovo ripristino della sovranità ucraina nel 1917 segnò un terzo tentativo da parte di Kyiv di adottare una politica estera incentrata sull’equidistanza tra i due “mondi”, quello euroasiatico russo e quello europeo, intento espresso tramite l’emanazione della Terza Universale della Rada Centrale, la quale indicava la chiara volontà ucraina di mantenere relazioni pacifiche con tutte le nazioni confinanti. In questo caso il crollo dello stato ucraino derivò dalla combinazione tra la superiorità militare sovietica e l’incapacità polacca di garantire la sicurezza di Kyiv, il che determinò una nuova spartizione del paese tra Mosca e Varsavia.

A seguito del secondo conflitto mondiale l’Ucraina ha cessato di rappresentare una terra “di frontiera”, ritrovandosi al centro del blocco comunista europeo. Durante tale periodo Kyiv mantenne una propria identità distinta da quella sovietica, in linea con i propositi espressi dai bolscevichi ucraini durante il Congresso di Kharkhiv del 1919, occupando anche un proprio seggio alle Nazioni Unite. Nel 1954 l’Unione Sovietica propose la formazione di un sistema di sicurezza paneuropeo, nel tentativo di prevenire un riarmo della Germania Ovest in ambito NATO, prendendo in considerazione una vera e propria adesione all’Alleanza Atlantica. La risposta negativa delle nazioni facenti parte della NATO impedì che ciò avvenisse; tuttavia, l’idea di un sistema di sicurezza paneuropeo avrebbe continuato ad influenzare la politica ucraina negli anni successivi. Il ripristino della sovranità ucraina conseguente alla Rivoluzione sul Granito e il contestuale crollo del comunismo resero nuovamente Kyiv una “terra di mezzo”, ciò comportò la formulazione di una politica estera incentrata sulla neutralità ai sensi del quinto comma dell’articolo nove della Dichiarazione della Sovranità Statale dell’Ucraina, il quale indicava la volontà di Kyiv di non partecipare ad alcun blocco militare, principio ribadito anche nella successiva Dichiarazione d’Indipendenza del paese.

Tra neutralità e multilateralismo

La definitiva formulazione della politica estera ucraina avvenne nel 1993, tramite l’approvazione della legge Sulle Principali Direzioni della Politica Estera Ucraina, la quale statuiva la volontà del paese di entrare a far parte di un meccanismo di sicurezza paneuropeo, concetto ripreso anche nella prima dottrina militare del paese rilasciata nello stesso anno. Il ripristino della sovranità ucraina all’inizio degli anni Novanta avvenne in uno scenario internazionale nettamente più favorevole agli interessi ucraini rispetto a quelli del 1917 e del diciassettesimo secolo. Le nazioni europee occidentali avevano infatti abbandonato ogni mira espansionistica sul paese, risultando contestualmente dotate di un coefficiente di potenza atto a fungere da contrappeso al principale attore passibile di assumere una postura revisionista fonte di pregiudizio per l’integrità territoriale ucraina: la Federazione Russa. Al contempo Mosca risultava all’epoca decisamente poco propensa ad adottare una politica ostile all’Ucraina, la quale avrebbe inficiato la collaborazione con le potenze occidentali giudicata essenziale per la ripresa economica russa. Ciò si tradusse nel mancato supporto di Mosca ai movimenti separatisti nella Penisola di Crimea e al suo riconoscimento dei confini ucraini espresso nel Memorandum di Budapest del 1994. 

Il Presidente Leonid Kuchma impostò pertanto una politica estera definita multivettoriale”, volta a rendere l’Ucraina un ponte tra Occidente ed Oriente. Durante tale periodo Kyiv adottò un’intensa cooperazione con la NATO, arrivando ad adottare nel 1997 una carta volta ad istituire partnership speciale tra le parti. Contestualmente il Presidente Kuchma rimarcò gli storici legami economici e culturali tra Russia e Ucraina, indicando come Kyiv non fosse intenzionata a diventare un pilastro di una struttura di contenimento anti russa, ma anzi anelasse a fungere da ponte tra Oriente e Occidente. La seconda metà degli anni Novanta vide un netto miglioramento delle relazioni con Mosca, tradottosi nella firma del Trattato sullo Status della Flotta del Mar Nero, il quale assegnava l’81% degli asset della Flotta del Mar Nero alla Federazione Russa e il permesso di utilizzo della base di Sevastopol sino al 2017 e del Trattato di Amicizia tra Russia e Ucraina, il quale statuiva l’inviolabilità dei rispettivi confini. 

A dispetto della forte influenza russa sull’Ucraina, gli anni Duemila hanno visto l’inizio del percorso di avvicinamento dell’Ucraina all’Unione Europea e alla NATO. Nel 2002 il Presidente Kuchma indicò ufficialmente l’adesione alla NATO come obbiettivo del paese. Le motivazioni relative al perseguimento di un obbiettivo non in linea con la tradizionale politica estera del paese, furono articolate l’anno successivo  nella legge: Sui Fondamenti della Sicurezza Nazionale (la cui legge d’approvazione venne votata anche dallo schieramento più vicino a Mosca), il quale indicava come l’adesione alla NATO e all’Unione Europea rappresentasse il primo passo verso un sistema di sicurezza paneuropeo statuendo contestualmente la volontà di mantenere relazioni di buon vicinato e partenariato strategico con la Federazione Russa. L’intento di adesione all’Alleanza Atlantica inizialmente reiterato anche nella successiva Dottrina Militare Ucraina varata nel 2004, venne tuttavia abbandonato dopo pochi mesi dal Presidente Kuchma, ma l’ascesa del filo occidentale Viktor Yushenko alla Presidenza, ne sancì il ripristino. 

Salito al potere a seguito della Rivoluzione Arancione, il neo Presidente Viktor Yushenko inserì nuovamente l’adesione finale all’Alleanza Atlantica nella dottrina militare del paese ed ottenne il sostegno dell’allora Presidente degli Stati Uniti George W. Bush, espresso in una storica dichiarazione congiunta. L’obbiettivo di adesione alla NATO e all’Unione Europea venne altresì espresso nella prima strategia di sicurezza nazionale del paese rilasciata nel 2007, la quale ancora una volta indicava la contestuale necessità di mantenere rapporti di cooperazione con la Federazione Russa. Il 15 gennaio 2008 il Presidente Viktor Yuschenko, il Primo Ministro Yulia Tymoshenko e il Presidente della Verkhovna Rada Arsenyi Yatsenuk inviarono una lettera al Segretario Generale della NATO chiedendo la concessione all’Ucraina del Membership Action Plan. In occasione del successivo summit di NATO Bucarest, il Presidente russo Vladimir Putin tenne un discorso nel quale asseriva come l’Ucraina nella sua presente forma fosse sorta da trasferimenti territoriali avvenuti durante l’era sovietica e che in virtù della forte presenza di minoranze russe, una sua adesione alla NATO avrebbe potuto metterne in discussione l’integrità territoriale. L’Alleanza Atlantica decise in ultima analisi di non concedere il MAP all’Ucraina, ribadendo però il proprio appoggio ad un futuro ingresso di Kyiv. Lo zoppicante percorso di integrazione euro atlantica del paese venne successivamente stravolto dall’ascesa del filorusso Viktor Yanukovich in occasione delle elezioni del 2010.

Dal nuovo neutralismo al minilateralismo

Il neo Presidente indicò chiaramente come l’adesione alla NATO non avrebbe rappresentato una priorità del paese, sancendo il ritorno ad una politica estera basata sul “non allineamento”. Tale concetto venne formulato nell’articolo 11 comma 2 della legge Sulle Basi della Politica Interna ed Estera del 2010 e nell’emendamento della strategia di sicurezza nazionale nel 2012, la quale però preservò la piena adesione dell’Ucraina all’Unione Europea come obbiettivo della politica estera del paese. Sarà proprio la mancata firma di un accordo di associazione con l’UE, a motivare la caduta di Yanukovich. La Rivoluzione di Dignità del 2014, passata alla storia come Euromaidan, la quale terminò nella cacciata del Presidente Yanukovich, non determinò un cambiamento di tale paradigma. Il programma di governo approvato dal Premier Arsennyi Yatsenuk non includeva infatti l’adesione alla NATO, menzionando esplicitamente la volontà di mantenere buone relazioni con Mosca e di perseguire il percorso di integrazione europea, intento condiviso con lo stesso Yanukovich. A dispetto del passato supporto espresso da Mosca per l’adesione ucraina all’UE, il Presidente russo Vladimir Putin, non accettando la nuova postura internazionale ucraina, lanciò una prima invasione del paese, culminata nell’occupazione della Penisola di Crimea e parte del Donbass. Sarà proprio questo atto, a sancire la definitiva fine della storica neutralità ucraina.

Nel dicembre 2014 la Verkhovna Rada abolì ufficialmente lo status di “non allineato” dell’Ucraina, citando la sua inadeguatezza a difendere la sicurezza del paese. La nuova Strategia di Sicurezza Nazionale del paese rilasciata nel 2015 poneva nuovamente come obbiettivo centrale della politica estera del paese l’adesione all’Alleanza Atlantica, ritenendo il coinvolgimento ucraino in contesti multilaterali come l’unica garanzia nei confronti della Federazione Russa, attore ormai considerato come la principale minaccia alla sicurezza del paese. Tuttavia tale strategia si è rivelata disfunzionale, in quanto a dispetto di una certa assistenza fornita dalla NATO tramite il Comprehensive Assistance Package (CAP), l’Alleanza Atlantica non si è impegnata a garantire l’integrità territoriale del paese, né ha fornito tempistiche certe per una futura adesione. Ciò ha quindi obbligato il Presidente Volodymyr Zelensky, eletto nel 2019, a rimodulare la politica estera del paese. Pur rimarcando la ferma volontà del paese di arrivare alla piena adesione alla NATO, Zelensky ha adottato una politica volta alla costruzione di sistemi minilaterali, caratterizzati dall’assenza di barriere d’ingresso, elevata convergenza di interessi tra paesi membri e rapidi processi di decision making. Tale intento è stato successivamente formulato all’interno della strategia di politica estera del paese.

Tali sistemi risultano infatti altamente funzionali a fornire all’Ucraina strumenti per incrementare il proprio coefficiente di potenza relativo rispetto alla Federazione Russa, garantendo al paese vantaggi immediati e non legati ad una eventuale adesione alla NATO. Tale iniziativa si è tradotta nella formazione di una vera e propria “cintura di sicurezza”, estesa dal Baltico al Mar Nero, costituita dai vari sistemi minilaterali comprendenti l’Ucraina, nello specifico il Triangolo di Lublino, il forum Quadriga e il Patto Trilaterale. Il Triangolo di Lublino rappresenta un forum costituito da Ucraina, Polonia e Lituania volto ad incrementare la cooperazione tra le tre nazioni nel settore della sicurezza. Il Quadriga rappresenta un incontro annuale tra i ministri degli esteri e della difesa ucraini e turchi che ha favorito il forte incremento della cooperazione militare tra i due paesi e infine il Patto Trilaterale comprendente Regno Unito, Ucraina e Polonia, anch’esso finalizzato all’incremento della cooperazione nella sicurezza. Tale cintura di sicurezza ha mostrato la sua grande rilevanza durante l’invasione russa dell’Ucraina, la quale ha visto un forte supporto militare in favore di Kyiv da parte di tutte le nazioni coinvolte e la chiusura degli stretti del Bosforo e dei Dardanelli da parte della Turchia. Tali azioni hanno contribuito in maniera assolutamente rilevante a salvaguardare la sovranità ucraina nella fase più critica dell’invasione.

Conclusione

In virtù della propria posizione geografica, l’Ucraina è stata storicamente chiamata al difficile compito di adottare una politica estera incentrata sul mantenimento della propria sicurezza a fronte di attori dotati di un elevato coefficiente di potenza sui propri confini. Kyiv ha tentato di far fronte a tale esigenza adottando una politica estera incentrata sull’equidistanza tra i due mondi, quello europeo e quello euroasiatico, separati dal suo territorio. A seguito del crollo dell’URSS al ruolo di “ponte” tra oriente e occidente, si è aggiunto per l’Ucraina il ruolo di stato cuscinetto tra due modelli diametralmente opposti, la liberaldemocrazia occidentale e l’autoritarismo russo. La prevalenza del primo modello rispetto al secondo in ambito interno, non si è tradotta nell’assunzione di una postura antirussa, come mostrato dalla volontà espressa da Kyiv di fungere da ponte tra oriente ed occidente anche nei periodi nei quali l’adesione alla NATO ha rappresentato un obbiettivo del paese. A determinare il brusco cambiamento di tale paradigma è stata la politica fortemente revisionista posta in essere dalla Federazione Russa, tradottasi in un intervento militare risultato nell’occupazione di alcuni territori ucraini, a dispetto del supporto espresso in passato da Mosca agli stessi obbiettivi perseguiti dal governo post Maidan. Le azioni russe hanno quindi costretto Kyiv a rimodulare la propria politica estera, abbandonando la storica neutralità in luogo di un avvicinamento all’unico attore in grado di consentirle di far fronte alla principale minaccia alla propria sicurezza, la stessa Federazione Russa. Tale politica, inizialmente rivolta verso contesti multilaterali, si è via via spostata verso contesti minilaterali, riuscendo in ultima analisi a conseguire il proprio obbiettivo, incrementare il coefficiente di potenza di Kyiv al punto tale da respingere un’aggressione russa. 

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